re luigi xiv

IO SONO LA MIA FICTION: QUEL GRANDE COMUNICATORE CHIAMATO RE SOLE – SPETTACOLI DI CORTE, FESTE, BALLETTI TORNA LA CELEBRE BIOGRAFIA DELL' INGLESE PETER BURKE CHE ESALTA LE ATTITUDINI MEDIATICHE E L'IMPEGNO DI LUIGI XIV NEL FABBRICARE L' IMMAGINE DI SÉ – LA PASSIONE PER LA DANZA

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Benedetta Craveri per la Repubblica

 

Ammirato o esecrato, Luigi XIV continua, a tre secoli dalla sua scomparsa, a far parlare di sé.

 

A partire da Il secolo di Luigi XIV, il saggio fondatore di Voltaire (1751), il monarca francese ha avuto l' onore, riservato prima di lui soltanto a Pericle e ad Augusto, di dare il suo nome una intera epoca e da allora non si è più smesso di discutere sui suoi meriti e le sue colpe.

 

Nell' inaugurare una sorta di storia globale della società sotto il duplice segno della potenza e della cultura, Voltaire metteva infatti al centro della ricostruzione delle molteplici sfaccettature del Grand Siècle la figura poliedrica e accentratrice di Re Sole, il suo stile di governo, la sua politica di conquista, le sue riforme amministrative, il suo mecenatismo artistico, la sua messa in scena della regalità. Da quel momento la figura e l' opera del sovrano non sarebbero state più appannaggio esclusivo di biografi e di specialisti di storia politica ed evenemenziale ma anche, a seconda delle stagioni e del variare delle mode, di letterati, sociologi, strutturalisti, psicanalisti, storici delle mentalità, esperti d' arte, di architettura, di giardini come pure di cerimoniale o di scienze esoteriche.

 

IL RE SOLEIL RE SOLE

In questo vasto panorama, il saggio pubblicato nel 1992 dallo storico inglese Peter Burke, La fabbrica del Re Sole, si è imposto come un libro di riferimento sulle strategie di autorappresentazione di Luigi XIV e bene fa il Saggiatore a riproporne ora la ristampa (traduzione di Lucio Angelini, pagg.345, euro 27). Meno comprensibile, invece, il cambiamento del titolo in un più generico Il Re Sole, visto che è l' autore stesso ad aver precisato le ragioni della sua scelta del termine « fabbrica ».

 

Ad interessarlo è infatti «il processo di fabbricazione» dell' immagine regia ad opera di Luigi XIV e dei suoi ministri «come contributo alla storia della comunicazione, alla storia della produzione, della circolazione e della ricezione delle forme simboliche ». Il linguaggio adottato un po' provocatoriamente dallo storico è quello moderno dei «media» che costituisce, per altro, proprio l' aspetto più datato di un' opera ancora utile e interessante.

 

Burke segue dunque l' evoluzione dell' immagine pubblica di Luigi XIV attraverso le sue diverse forme di rappresentazione, delineandone l' impatto sull' immaginario collettivo. Un inventario analitico a tutto campo che va dalle arti visive - la pittura, la scultura, gli arazzi, le incisioni, le medaglie - , agli spettacoli di corte - le feste e i balletti - , a quelli teatrali - che vedono scendere in campo Molière, Corneille, Racine, Lully - , alle grandi cerimonie del regno - l' incoronazione, le entrate reali - , alla letteratura encomiastica - versi, sermoni, discorsi accademici, gazzette.

 

Se era stato Colbert, nel segno del mecenatismo artistico reale, a dirigere questa campagna promozionale senza precedenti, è tuttavia Luigi XIV a fornire il manifesto più eloquente della sua concezione della monarchia con la creazione di Versailles e dei suoi giardini. È in questo décor di un fasto senza precedenti, dove tutte le arti erano state convocate per celebrare la sua gloria, che Re Sole si sarebbe dato lui stesso in spettacolo come emblema vivente della regalità.

 

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Eppure questo sovrano che avrebbe rivendicato nelle sue Memorie «l' accesso libero e facile al principe» e la sua visibilità in ogni momento del giorno come connotato distintivo della monarchia francese, era anche l' uomo del segreto. È Lucien Bély, illustre specialista delle relazioni diplomatiche dell' Antico Regime, a fare dell' arte della dissimulazione una delle chiavi di lettura della politica di Re Sole.

In un libro appassionante ( Les Secrets de Louis XIV. Mystères d' État et pouvoir absolu, Tallandier, 2013), Bély mostra bene come il segreto di Stato - quello Stato di cui Luigi si vuole l' incarnazione - sia una dimensione essenziale dell' assolutismo che va di pari passo con la volontà di penetrare nei segreti pensieri dei cittadini. Un arcanum regni che può dunque nascondere, dietro l' immagine luminosa del monarca, episodi inconfessabili di arbitrio e di violenza, di cui la revoca dell' editto di Nantes costituisce l' episodio più grave.

 

Nel quarto di secolo trascorso dall' inchiesta di Burke sulla campagna «multimediale» finalizzata alla gloria di Luigi XIV, l' attenzione si è spostata sulla contropropaganda orchestrata dai suoi nemici (Charles-Édouard Levillain, Vaincre Louis XIV. Angleterre- Holande- France, Champ Vallon, 2010; Le procès de Louis XIV. Une guerre psychologique, Tallandier, 2015) e molte delle forme artistiche da lui prese in esame hanno dato luogo a nuove interpretazioni.

 

Nel bel libro consacrato a La Fontaine ( Le poète et le roi, Editions de Fallois, 1977), Marc Fumaroli ritorna sul modello archetipico del «primo stato assoluto che aveva inventato la propaganda su grande scala e perfezionato la società dello spettacolo», per denunciare l' incompatibilità tra una letteratura al servizio del potere e la creazione artistica. L' ostilità reale nei confronti del troppo indipendente poeta delle Favole mostra bene, come illustra la metafora quanto mai suggestiva di Fumaroli, il divorzio consumatosi tra il Parnaso e l' Olimpo.

 

E mentre Emmanuel Le Roy Ladourie con Saint- Simon ou le système de la cour (Fayard, 1997), Gérard Sabatier, con Versailles et la figure du Roi (Albin Michel, 1999), Hélène Himelfarb, con Saint- Simon, Versailles, les arts de la cour (Perrin, 2006) non si stancano di approfondire la complessa strategia politica che regola nei minimi dettagli la vita della reggia e ne informa il cerimoniale, un grande studioso dell' opera barocca, Philippe Beaussant, ha scelto ne Le Roi- Soleil se lève aussi (Gallimard, 2000) di ricostruire l' immagine della regalità perseguita da Luigi XIV a partire dalla sua passione per la danza.

re luigi xivre luigi xiv

 

Luigi ha ballato, come lui stesso dirà, «pubblicamente» dai tredici ai trentadue anni, vale a dire dal 1651 al 1670. Fin dal tempo dei Valois la danza è uno degli svaghi preferiti della corte e, bello, elegante, aggraziato, il giovane sovrano condivide questo piacere con i nobili del suo seguito, lasciando al cardinale Mazzarino le responsabiltà di governo. Ma non è solo la vanità a spingerlo a consacrare molte ore del suo tempo a prove estenuanti per esibirsi in coreografie sempre più difficili.

 

 

La danza è infatti il momento in cui ci si offre interamente allo sguardo del pubblico e, nell' attesa di assumere personalmente la direzione degli affari, il re intende dimostrare di essere il migliore ballerino del regno, così come ambisce a primeggiare nell' equitazione e nella caccia - lo sport aristocratico per eccellenza. L' evoluzione che Luigi XIV imprime al balletto di corte annunzia infatti per Baussaint l' idea di regalità che connoterà il suo stile di governo. Dopo avere ballato, primus inter pares, con i suoi sudditi il sovrano «passerà insensibilmente a una coreografia incentrata su lui solo, in funzione esclusiva della sua gloria».

 

Ma lo spettacolo in assoluto più straordinario di questa vita in perenne rappresentazione, Re Sole lo avrebbe interpretato al momento di lasciare per sempre la scena. È nel corso della lunga, dolorosa agonia, destinata a concludersi il 1 settembre del 1715, che il sovrano seppe imporsi per la sua dignità e il suo stoicismo all' ammirazione dei suoi stessi nemici. Proprio da La mort de Louis XIV (Gallimard 2015) Joël Cornette ha preso spunto di recente per un bilancio d' insieme della avventura politica del Grande Re. E se Luigi XIV può andarsene affermando, a giusto titolo, «lo Stato rimane», non può certo immaginare che la sua concezione della monarchia si prepara a scomparire con lui.

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