MOROZOV, L’INNOVAZIONE ERA UNA PAROLACCIA ORA È UNA FILOSOFIA: “MA LA TECNOLOGIA NON RISOLVE TUTTO”

Serena Danna per il "Corriere della Sera"

A un certo punto è successo. L'enciclopedia online Wikipedia è diventata un modello di partecipazione politica; le recensioni su Amazon un baluardo della «nuova» critica letteraria, Facebook una piattaforma per l'impegno civile.

Parole come democrazia digitale, Twitter revolution, parlamento «wiki», hanno cominciato a far parte del nostro lessico culturale e politico: nuovi paradigmi per orientarsi nel caos del XXI secolo.

To Save Everything, Click Here, il nuovo libro dello studioso dei new media Evgeny Morozov, racconta come siamo arrivati fino a qua, ponendosi l'ambizioso obiettivo di «liberare il discorso tecnologico dai vari erronei e insani assunti».

Nel processo al dibattito sulla tecnologia - dove Morozov si autoproclama unico giudice -, il primo a sedere sul banco degli imputati è l'internet-centrismo, nella persona di «The Internet». Al pari di «la Scienza» con la s maiuscola nel Novecento, «The Internet» simboleggia per lo studioso l'esistenza di un'entità astratta e ontologicamente autonoma che modella individui e società.

«Un termine - scrive Morozov - capace di escludere il pensiero critico e automaticamente i non-geek dalla discussione» (geek è l'esperto d'informatica, ndr). Si crea così la falsa illusione che le conseguenze politiche, sociali e culturali della rivoluzione digitale siano materia per addetti ai lavori.

Non è così. Per invertire la rotta, Morozov propone innanzitutto di considerare la Rete non più una categoria analitica ma - al pari del mondo fisico - un contenitore di casi e soggetti multipli che richiedono, dunque, approcci diversi. «Appena entra a far parte di "The Internet" - scrive Morozov - qualsiasi tecnologia finisce con il perdere la sua storia e la sua autonomia intellettuale, diventando semplicemente parte della grande narrativa di "The Internet"».

Nel suo primo libro L'ingenuità della Rete (Codice Edizioni), lo studioso (classe 1984) aveva mostrato il lato oscuro di Internet, raccontandone l'utilizzo da parte di dittatori e regimi. Quel testo, che ha avuto il merito di portare spirito critico in un settore spesso monopolizzato da facili entusiasmi, ha fatto dello studioso originario della Bielorussia il capofila dei tecnoscettici: protagonisti di una nuova corrente di pensiero - più mediatica che filosofica - che vede nel web un agente capace di renderci stupidi, soli, ignoranti. Nel nuovo libro Morozov si sfila dal gruppo e accusa i tecnoscettici dello stesso errore dei loro nemici: la fede assoluta in una verità intrinseca del mezzo.

Conseguenza naturale e letale dell'internet-centrismo è quello che Morozov chiama soluzionismo, la tendenza a vedere nella tecnologia la scatola magica dei rimedi extra-tecnologici. Ed è qui che l'analisi dello studioso decolla. Non quando riconosce nella Silicon Valley un generatore automatico di soluzioni hi-tech, e neanche quando ribadisce che gli algoritmi non salveranno l'industria (né tanto meno il mondo): il salto concettuale di Morozov consiste nel dimostrare quanto impervia e difficile sia la strada dell'innovazione.

Benoit Godin, docente dell'Institut National de la Recherche Scientifique di Montreal e autore di una storia intellettuale dell'innovazione, ha scoperto che per 2.500 anni il termine ha avuto un significato negativo. Secondo lo studio - citato in To Save Everything, Click Here - fino al 1960 la parola innovatore era associata a «eretico, rivoluzionario, traditore». Solo negli anni Sessanta diventa sinonimo di creativo, coraggioso e geniale.

I capitani d'impresa della Silicon Valley coltivano i loro rivoluzionari business in quel clima, costruendo il mito di una tecnologia che può migliorare il nostro rapporto non solo con gli oggetti, ma anche con la politica, la finanza o il crimine in città.

«Non tutte le cose devono essere aggiustate», scrive Morozov. E non è detto che la richiesta di «efficienza, certezza e perfezione» sia sempre legittima e appropriata. Siamo sicuri che la trasparenza in politica sia un valore assoluto? O l'efficienza sempre utile? Che open sia sinonimo di buono? Lo storytelling di progresso che accompagna la rivoluzione digitale ha finito con il mettere da parte una verità fondamentale: l'innovazione è fatta di errori, stop-and-go, tentennamenti.

E certo non sarà una piattaforma online il crocevia per la democrazia digitale o un contatore automatico di calorie il rimedio per la fine dell'obesità. In quest'ottica si comprende la critica che Morozov rivolge alle Ted Conferences, le famose conferenze (diventate un business milionario) su «idee e persone che cambiano il mondo» che l'autore definisce «la Woodstock degli intellettuali rammolliti». Il limite del modello Ted consiste nel fare della tecnologia una questione di business, relegandola così al paradigma binario di successo/insuccesso del capitalismo neoliberista.

Quello di Morozov è un appello contro il riduzionismo e per l'ingresso dell'etica nel dibattito tecnologico. «Prima di chiederci se qualcosa è possibile grazie alla tecnologia - scrive - chiediamo se sia giusta o sbagliata per l'umanità». Un invito che accompagna la storia del progresso dagli inizi dell'era industriale, e che - anche in questo caso - non si può non raccogliere.

 

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