IL NECROLOGIO DEI GIUSTI – ALVARO VITALI SE NE VA. PER FELLINI ERA UN PICCOLO EROE, NON LO DOPPIAVA MAI. AVEVA QUELLA VOCE PARTICOLARE, QUEL FISCHIO, UNA SORTA DI RISPOSTA ORGOGLIOSA, TUTTA TRASTEVERINA, DI UN MONDO SEMPRE PRESO DI MIRA, SBEFFEGGIATO, MA PRONTO OGNI VOLTA A RISPONDERE – NEL 1981 “PIERINO” ERA STATO UN SUCCESSO INASPETTATO, PROPRIO QUANDO LA COMMEDIA SEXY SEMBRAVA ESSER FINITA, CHE ALIMENTÒ ANCHE RABBIE E RANCORI NEL MONDO DEL CINEMA ROMANO. INOLTRE, L’HA MARCHIATO PER SEMPRE COME PIERINO… - VIDEO

alvaro vitali. 5

Marco Giusti per Dagospia

 

Alvaro se ne va. L’ultima volta che l’ho visto, un mese fa, era diventato più piccolo. In questo sempre più personaggio felliniano, come l’Alvaro che imita Fred Astaire del Teatrino della Barrafonda di “Roma”, il cuore del cinema di Fellini e di tutto il paese, il nostro. O come l’imperatore farlocco che recita con il Vernacchio di Fanfulla.

alvaro vitali. 2

 

Falsi, ombre di un cinema e di un impero che da tempo non esistono più, sempre presentati da personaggi troppo più grandi e grossi di lui. Ma per Fellini, Alvaro è un piccolo eroe. Riesce a tener testa a Vernacchio, al pubblico feroce del Teatrino della Barrafonda che gli ha lanciato un gatto morto, che lui rilancia (“Mi hai lanciato la tua cena”). Come riesce a dar vita alla piccola troupe de “I Clowns”, clown lui stesso, e alla classe dei ragazzi discoli di “Amarcord”, da dove nasce tutto il filone della commedia sexy scolastica dei film di Edwige diretti da Nando Cicero e Mariano Laurenti.

 

FEDERICO FELLINI E ALVARO VITALI

Fra tanti attori doppiati, Fellini non doppiava mai Alvaro. Aveva quella voce particolare, quel fischio, una sorta di risposta orgogliosa, tutta trasteverina, di un mondo sempre preso di mira, sbeffeggiato, ma pronto ogni volta a rispondere. Come la Cabiria della Masina. Elettricista, cresciuto dalla nonna, non è mai stato chiaro chi lo avesse portato da Fellini per il Satyricon. Ci sono storie diverse, anche tra i cercatori di talenti che Fellini sguinzagliava per la città. Ma Alvaro faceva ridere, faceva ridere anche Dino Risi che lo aveva subito preso per piccoli ruoli nei suoi film.

ALVARO VITALI IN ROMA DI FEDERICO FELLINI

 

E faceva ridere anche in “Che?” di Roman Polanski, incredibile rilettura della violenza della Manson Family, quando dipinge di blu le gambe di Sidne Rome. Lo conoscevo da quando lo intervistai, credo il primo in assoluto, per “L’Europeo” un secolo fa dopo il successo di “Pierino”. Viveva ancora con la nonna. Mi colpì che teneva incorniciata a casa la copertina di una rivista con la scritta “Ma siamo proprio così volgari?”. Sotto la sua faccia in versione Pierino e un paio di chiappe femminili.

alvaro vitali

Nel 1981 il film era stato un successo inaspettato per tutti, proprio quando il genere sembrava esser finito, che alimentò anche rabbie e rancori nel mondo del cinema romano. “Mi ricordo che Sergio Leone andò a vedere il film e al cinema e non credette ai suoi occhi, quando gli spettatori si alzarono per applaudire una battuta particolarmente divertente”. Per Alvaro era stato se non il grande successo che lo aveva sfiorato negli anni d’oro della commedia sexy, un buon successo che lo aveva riposizionato quando tutti gli altri protagonisti, Fenech, Bouchet, Banfi, Montagnani, erano stati benedetti da Canale 5 e dalla Rai e daranno vita alla tv degli anni ’80. Tutti. Tranne lui.

 

alvaro vitali carmen russo

Per il cinema italiano, recuperare Alvaro per i canali generalisti era troppo. Vai a sapere perché. Gli incassi, i grandi incassi, erano finiti nelle mani dei produttori. Si sa. A Alvaro-Pierino erano finiti gli spiccioli. E intanto si erano fatti avanti i falsi Pierini, una massa di comici pronti a rubargli la scena. “Di Pierino ce n’è uno, tutti l’artri n’so nessuno”, chiude il trailer del suo secondo film “ufficiale”, “Pierino colpisce ancora”, sempre diretto da Marino Girolami. Ma era stato un fuoco di paglia.

 

Inoltre, marchiato per sempre come Pierino, Alvaro era ancora più lontano di prima da quello che era stato possibile per Lino Banfi&Co, cioè dal sogno della popolarità televisiva da prima serata. Ombra, alla Fellini, di un mondo reale che vive solo sulla scena, Alvaro finì a fare delle incredibili sit-com per la tv di Nonno Ugo Rossetti, sketch costruiti sulla Pierino Family. Ma anche lunghissime dirette con Alvaro clown per i bambini. Nonno Ugo era una specie di sub-sub-sub-prodotto felliniano. Sembrava già parte del mondo di “Ginger e Fred”.

 

alvaro vitali

Quando andai a intervistarlo per Stracult Nonno Ugo viveva in questi capannoni fatiscenti dove si erano mosse le sue star sexy, le “donne più belle del mondo”, da Moana a Carmen Russo, oltre che Alvaro e la sua sit-com. Sembrava il set perduto di “Il viaggio di G Mastorna”, il film maledetto e mai girato di Fellini. Pochi mesi fa non era andato a vederlo a teatro assieme a Sergio Di Pinto, e me ne dispiace, ma lo avevo incontrato in occasione di una giornata in ricordo di Mario Carotenuto.

 

alvaro vitali. 7

Che Alvaro aveva sempre visto come un padre artistico. Chi ha visto “Paulo Roberto Cotechino, centravanti di sfondamento lo sa bene”. Non era per nulla in forma. Mi aveva molto colpito un paio d’anni fa a Bologna, per il restauro de “I Clowns”, dove aveva dato vita assieme a Blasco Giurato, grande operatore del film e grande amico, scomparso da poco, a un numero memorabile di ricordi felliniani. E ho pensato che Alvaro era davvero l’ultimo, assieme a Blasco, a poterci parlare di questo piccolo film personale pieno di segreti, l’unico che avesse seguito tutta la lavorazione.

alvaro vitali. 4

 Più di vent’anni fa, dopo un dotto articolo di Pietrangelo Buttafuoco sulle pagine de “Il Foglio”, che non riesco ahimé a ritrovare, che definiva di destra sia la commedia sexy sia i Pierini di Alvaro, risposi con un articolo su “Il Manifesto”, intitolato “Giù le mani da Alvaro Vitali”, su quanto fosse invece di sinistra sia la commedia sexy sia Alvaro, che più tardi dirà di essere sempre stato militante comunista, oltre che trasteverino.

 

Feci anche una puntata di Stracult con Alvaro sullo stesso tema, quando in tv si poteva scherzare sul tema destra-sinistra. E ricordo uno sketch basato sulla domanda il culo è di destra o di sinistra con Eva Henger girato dai Manetti. Bei tempi. Il mio articolo sul Manifesto del 18 agosto 2001, invece, ve lo giro integralmente.

nadia bengala alvaro vitali pierino torna a scuola

 

 “Giù le mani da Alvaro Vitali, ragazzi anche perché Alvaro Vitali è roba che scotta. Il comico simbolo di tutto un cinema italiano di genere, il punto più alto o più basso della commediaccia scoreggiona degli anni '70. Il ricordo perenne della disfatta del cinema dell'impegno e della noia all'italiana sopravvissuto con i finanziamenti statali e televisivi dei decenni successivi. Tanto che in tv, ancora oggi gli unici film italiani che reggono almeno la seconda serata, sono proprio i famigerati capolavori di Alvaro e soci, oltre ai Monnezza e ai polizieschi.

 

Tutto il resto ricompare in ore da post-Gabriele La Porta o da Fuori orario su Amos Gitai. I black block del cinema di genere italiano lo sanno bene. Come sanno che il manifesto ha difeso da subito, in quanto cinema popolare, in quanto controtendenza al cinema di papà, gli Alvaro's movies e tutti i generi meravigliosi di quello che un tempo era il nostro cinema. In anni non sospetti, cioè quando questi film uscivano.

annamaria rizzoli alvaro vitali lino banfi l’insegnante al mare con tutta la classe

 

Lo so e perfettamente, perché sono stato, grazie all'esperienza del Patalogo e all'amicizia con Giovanni Buttafava, il primo alvarologo italiano e il manifesto ha da sempre difeso e sostenuto questa mia chiamiamola debolezza. Come ha difeso e sostenuto il poter passare dalla cultura delle pratiche alte a quella, come la chiamava Giovanni, delle pratiche basse. E senza dover pagare alcun dazio sociologico e snobistico.

 

Analizzavamo i film di Alvaro o di Bombolo come se fossero stati di Straub. Il gioco era quello della serietà del discorso critico e della pratica militante, nonché della riscoperta della visione cinematografica come piacere ludico. Perché no? E' comico, allora, vedere questi neo-fighetti della destra che non saprebbero distinguere un film di Raoul Walsh da uno di William Wellman, ma neanche uno di Mariano Laurenti da uno di Nando Cicero (Buttafuoco non vale una scarpa di Buttafava) e che parlano di sinistra che riscopre Alvaro Vitali (ieri sul Giornale).

alvaro vitali pierino medico della s.a.u.b

Probabilmente è stata un'estate con troppe manganellate e un bel po' di confusione. E gli spostamenti tra destra e sinistra sono molto rapidi. Per non parlare del gioco, forse da spiaggia, di vedere chi sta andando di là e chi resta ancora di qua. Chi frequenta Sgarbi e chi no. Ora, sappiamo tutti benissimo che non siamo di fronte a Nascita di una nazione di D. W. Griffith, film che ha diviso per un secolo i cinefili di mezzo mondo (difenderlo in quanto capolavoro del cinema o maledirlo in quanto razzista?), o alla poesia di Ezra Pound, ma il cinema di Alvaro Vitali e, soprattutto, il suo personaggio hanno una loro forza reale, un'essenza primaria e, una incorruttibilità.

 

Per questo Alvaro non ha più lavorato se non nei meravigliosi spot termondisti della Mas, i magazzini popolari di piazza Vittorio a Roma adorati anche da Piotta ai tempi di Supercafone, o i programmi come Stracult . Alvaro è l'icona massima di un'idea di cinema popolare. Si fonde con questo cinema. E per questo è indigeribile, non tanto dalla destra o dalla sinistra, ma dall'opportunismo piccolo borghese della nostra cultura, dal conto miserabile del "mi rovino la platea".

 

alvaro vitali pierino medico della s.a.u.b

A maggio scorso, cercai di portare Alvaro Vitali come ospite a sorpresa della cerimonia dei David di Donatello, davanti a tutto il cinema italiano. Non ci fu niente da fare. Alvaro è un nome che, ancora oggi, può fare paura. Perché oltre non puoi andare.

 

E proprio per questo cercai di averlo in uno sketch maledetto di Stracult dal titolo La supplente si fa il popolo di Seattle, andato in onda la notte del 18 luglio, solo poche ore prima dello scatenarsi della violenza a Genova, e ormai improponibile per ovvi motivi e chiamare Alvaro è un po' come disotterrare l'ascia di guerra. E proprio in un momento come questo, di spostamenti facili di scelte di convenienza, di opportunismi orrendi, Alvaro e il manifesto hanno qualcosa di simile. Sono chiari.

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