IL CINEMA DEI GIUSTI - ABBIAMO SCHERZATO. ORA, NEL 2013, INIZIANO I FILM VERI, DA TARANTINO A SPIELBERG, DA ANDERSON ALLA BIGELOW - IL PRIMO, “THE MASTER”, UN FILM SUL POSSESSO DELLE PERSONE E DEI LORO SOGNI DA PARTE DELLE SETTE ALLA SCIENTOLOGY, È GIÀ CONSIDERATO UN CAPOLAVORO DA OASCRIZZARE IN AMERICA - SIETE AVVISATI, SI PUÒ TORNARE AL CINEMA….

Abbiamo scherzato. Ora, nel 2013, iniziano i film veri. Il primo, "The Master" in sala dal 3 gennaio, è già considerato un capolavoro in America. Poi arriveranno "Django Unchained" di Quentin Tarantino, "Lincoln" di Steven Spielberg e "Zero Dark Thirty" di Kathryn Bigelow. Siete avvisati, si può tornare al cinema ancora sporco degli avanzi degli orchi rompi cazzo e dei cinepanettoni ormai ammuffiti.

Quando venne presentato a Venezia, in un'incredibile copia in 70 mm, con un tappeto rosso vuoto e bagnato che non avrebbero meritato nemmeno Tanio Boccia e Demofilo Fidani, "The Master" non convinse tutti i critici di casa nostra. Minchia, boh? Figa, boh? Doveva vincere tutti i premi, altro che "Pietà" di Kim Ki Duk. Ha vinto però il Leone d'Argento e la Coppa Volpi per i due attori protagonisti. In America, però, di premi ne ha vinti parecchi. Soprattutto quelli delle associazioni della critica. Miglior Film per la Los Angeles Film Critics Association, secondo Miglior Film per la New York Film Association e tre nomination ai Golden Globe. Per gli Oscar si vedrà.

E' ancora un po' lontano. Proprio sul concetto di lontananza, "away", scrivevo durante il Festival di Venezia, è costruito il film, complessa biografia che Paul Thomas Anderson dedica alle sette americane degli anni 50 e al fondatore di Scientology Ron L. Hubbard. Lontano dalla famiglia, dal proprio paese, dall'amore, dalla guerra, ma anche lontani da se stessi e dall'accettazione della propria sessualità.

Un non riuscire a ritrovarsi, a tornare a casa che lo psicopatico Freddy, interpretato da un Joaquin Phoenix che si è totalmente reinventato, anche fisicamente, sente sul proprio corpo martoriato e schizzato, un fascio di muscoli e nervi sempre pronti a esplodere, e che si placa solo con l'amicizia, anzi l'amore, di quello che si presenta come il suo Master, cioè la guida spirituale, il guaritore e capo della setta, Lancaster Dodd, filosofo e medico cialtrone interpretato alla perfezione da Philip Seymour Hoffman.

Ma Freddy rimane alla fine lontano anche da lui. Corpo impossibile che riesce a avvicinarsi solo alla donna di sabbia che ha costruito in riva al mare in guerra, e corpo in lotta con se stesso che riuscirà a tornare troppo tardi dal suo amore Doris, che aveva abbandonato anni prima, per scoprire che lei è partita, si è sposata con un certo Jim Day, ha fatto due figli ed è diventata così Doris Day, proprio come la star del cinema.

Solo in una sala di cinema, guardando un cartone animato di Casper, il fantasmino in cerca di amici che non può toccare, Freddy sogna che il suo Master gli abbia telefonato, dicendogli che finalmente ha capito in quale vita lo ha già incontrato. Ma già sappiamo quanto sia irrecuperabile, sballato Freddy e distante da qualsiasi amore."Fissa un punto, parti e ritorna", gli dice in pieno deserto il Master mettendolo su una moto.

Freddy parte per un punto infinito e sappiamo che non tornerà. Da quello stesso deserto abbiamo visto uscire dentro uno scrigno sepolto, come in un cartoon di Bugs Bunny e Elmer Fudd, il manoscritto inedito del santone. Un romanzo enorme che, dirà un affiliato della setta, si poteva ridurre in un pamphlet di tre pagine. Massima offesa.

Anche "The Master" si poteva ridurre in un pamphlet di tre pagine, e molti critici a Venezia lo avevano ritenuto troppo lungo e ingombrante, poco chiaro rispetto alla dipendenza da Scientology del regista, una spanna sotto i suoi gli altri suoi film, da "Il petroliere", che ha la sua stessa struttura e un gran lavoro musicale di Johnny Greenwood dei Radiohead, a "Magnolia", che già trattava il tema del guru. Ma non è proprio così. "The Master" è un film sofferto e difficile, con un inizio memorabile, qualche pesantezza nella parte centrale e un bel finale, costruito quasi a imitazione de "Il petroliere".

Ma ha sempre una tale messa in scena, una tale e continua ricerca visiva, un livello così alto di recitazione da lasciarsi comunque senza parole. Certo, "Il petroliere" partiva da un romanzo possente e aveva un'impostazione narrativa più solida. Ma in qualche modo "The Master" continua lo stesso discorso sulla storia americana, le sue ossessioni, i suoi non detti, il suo non volersi accettare per quello che si è.

Se quello era un film sul possesso del petrolio e quindi sul potere imperialistico americano, sulla rapacità, proprio il "greed" alla Stroheim, "The Master" è un film sul possesso delle persone e dei loro sogni, su un'America disgregata degli anni ‘50 che prova a ricompattarsi su un delirio religioso costruito su sentimenti confusi di libertà e d'amore (come nel meraviglioso "Elmer Gentry" di Richard Brooks) e sulle invenzioni più assurde legate alla fantascienza e alla letteratura di serie Z.

Tutto finto, certo, a cominciare dai sentimenti di libertà e d'amore deviati del Master. Tutto ambiguo, se pensiamo alla tensione sessuale che il Master prova per Freddy, il discepolo sbagliato. Anche se l'unico sentimento vero, alla fine, è proprio l'amore che prova il Master per Freddy, il corpo che nessuno riuscirà possedere, nemmeno Freddy stesso.

 

PHILIP SEYMOUR HOFFMAN - THE MASTERvenezia-2012-paul-thomas-andersonThe-Master-primo-posterthe master the master the-master-joaquin-phoenixthe master-joaquin-phoenixjoaquin-phoenix

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