PER SEMPRE FRANCA - VALERI, 70 ANNI DI CARRIERA IRRESISTIBILE: “ULTIMAMENTE VEDO POCO. È UNA FORTUNA, COSÌ DAL PALCO NON MI ACCORGO DI CHI SBADIGLIA O CERCA DISPERATAMENTE UNA VIA D’USCITA” - “LA MORTE NON MI FA PAURA, CERTO NON RIESCO A IMMAGINARE IL MONDO SENZA DI ME” - “DINO RISI? LA MISANTROPIA PRODUCE REGISTI ADORABILI. MI RIMPROVERANO DI NON AVER CREATO UN MIO GENERE, COME VERDONE. MA IO NON SONO CAPACE DI DIRIGERE. E HO CERCATO DI FARE SOLO COSE CHE MI RIESCONO BENE”…

Malcom Pagani per "il Fatto Quotidiano"


La strada è senza via d'uscita. In fondo alla curva dove l'edera copre la vista, la pioggia confonde le ombre e il silenzio della notte si appropria dell'inverno. Tra i viali alberati in cui Roma si illudeva di fuggire da se stessa già alla fine degli anni 50, nel quartiere collinare dedicato a un Premio Nobel, vive Franca Valeri. L'ex signora Norsa che prese in prestito cognome e lezione di Paul Valéry: "La stupidità non è il mio forte". La bambina che Petrolini prendeva in braccio, la ragazza che dava del tu a Chaplin: "Faccia Charlotte gli dissi un giorno".

L'attrice che intorno al desco, ascoltava consigli da Laurence Olivier: "Mangi tranquilla, non vada a recitare, si faccia desiderare" e non gli dava retta. Su un divano verde e bianco, circondata da nipoti e grati quadrupedi in batteria, Franca l'anarchica, scodinzola ancora. Sinceramente addolorata: "Conoscevo bene Mariangela Melato, dolore enorme". Libera e tenuta in piedi dal manifesto dell'ironia: "Ultimamente vedo poco. È una fortuna, così dal palco non mi accorgo di chi sbadiglia o cerca disperatamente una via d'uscita".

Tra signorine snob, Sore Cecioni e Cesire a cui piangeva il cuore, gli anni sono 92 e i ricordi, giovani. "Papà detestava la prevaricazione ed era spiritoso, ironico ed educato. Non buono, ma educato. Di un'educazione non ereditata dalla costrizione o dal collegio. Mamma poi era proprio una comica. Diceva cose spiritose, feroci e spesso, non si tratteneva. Nel 1930 non era un'attitudine diffusa tra le donne".

Sua madre si esibiva anche in pubblico?
Una volta, in tram. Lei in piedi, dritta come un fuso e io piccola, attaccata alle maniglie. Incontriamo una cantante troppo grassa e abbastanza famosa. La pinguedine le aveva impedito una carriera in linea con i mezzi canori. Ora è seduta di fronte a noi. Mamma la osserva con espressione disgustata. Poi parla: "Al suo posto, io non mangerei più". La poverina non si riebbe.

A casa ridevate?
Non somigliava a una caserma, dissacravamo. La levità mi aiutò all'epoca delle persecuzioni, che sinistre, avanzavano nell'aria ben prima delle leggi razziali. I Norsa erano di origine ebraica e mio padre, ferocemente antifascista, aveva dovuto lasciare il suo posto di lavoro alla Breda. Era disperato per noi e mamma, terrorizzata. Mio fratello peggio. Aveva un carattere fragile. Era troppo gentile. Troppo buono. Non riusciva a sopportare il sopruso. L'arbitrio.
Ero così ribelle e talmente pervasa dall'odio, da sfiorare l'incoscienza. Di una cosa non ho mai dubitato. L'avremmo spuntata noi. Avrebbero perso. Quando a Parigi, che vedevo per la prima volta, entrarono i tedeschi piansi. Un trauma.

Il Duce?
Quando ero molto piccola lo vidi a Riccione, in mezzo al mare, in una cacofonìa di applausi. All'orizzonte, nello specchio d'acqua, i pattìni avevano formato un cerchio e al centro galleggiava un pallone. Una specie di testa di Mussolini. La gente voleva vedere lo spettacolo, io ero convinta che lui sarebbe finito male. Forse un po' meno di come non finì davvero.

A Piazzale Loreto.
C'ero e mi ricordo ogni cosa. Mi diede massima soddisfazione, non lo nego. Non mi aspettavo di potermi scoprire contenta per l'orrore, però accadde.

La guerra rende cattivi.
Gli amici persi, i documenti falsi, i nascondigli. I battesimi inutili fatti al solo scopo di ottenere un'indulgenza che non giunse mai, la paura di essere scoperti e la precarietà. Poi Radio Londra in cucina con l'Orchestra Angelini in sottofondo a coprire il rumore, i suoni del 25 Aprile in piazza Cordusio, le portinaie complici che offrono caffè avuto chissà come. La guerra. Non ho dimenticato niente. Ma chissà perché non la sogno mai.

Dorme poco e scrive all'alba?
Mai dormito tanto, neanche da giovane. Ho il sonno postdatato degli attori di teatro. Gente che non ha orari, mangia alle 2 di notte e ha fama di destarsi non prima dell'una. Quando si finiva tardi, con Silvana Ottieri, Nora Ricci e Peppino Patroni Griffi, la setta spirituale della mia vita, l'orologio perdeva importanza. Oggi mi sveglio presto, scrivo di giorno, non di rado sul letto e di preferenza parlo da sola o con i miei cani.

Dicono che recitare sia prerogativa dei nevrotici.
Fatico a capire la nevrosi e ancor di più i nevrotici che corrono a sdraiarsi su un lettino per raccontare a uno sconosciuto infanzia, maturità, amori e dolori.

Diffida della psicanalisi?
So che è stupido, ma va oltre le mie possibilità. Sono fortunata. Sono molto equilibrata. Ma non c'è medico, pur bravo, che possa aiutarti se non vuoi aiutarti da solo. Nonostante l'impegno di mia madre, mai andata in analisi

L'impegno?
Ogni tanto tirava fuori un raccontino utile a gettarti nelle braccia di uno psichiatra per la vita. Partiva così: "Un giorno è venuta la donna che porta i bambini. L'ho chiamata per far compagnia a Giulio, tuo fratello. La signora è arrivata e aveva con se un fagotto".

E dentro c'era lei?
Al momento del saldo la donna che porta i bambini dice soltanto: "Fanno 100 lire". Mia madre, non si fida e sospettosa, chiede di aprire il lenzuolo : "Ma è una bimba, avevo chiesto un maschio!". Allora chiudono la trattativa per 50 lire e mamma conclude: "Ed è così che ti ho preso, eri tu, Franca".

Terribile.
Me ne fregavo, andavo da Giulio correndo. Felice: "Tu costi di più, mi hanno pagata meno di te, abbiamo risparmiato".

Mai stata venale?
Per necessità. Le donne che mi aiutano a casa pensano che sia ultramiliardaria, in realtà fatico a pagarle, ho un patrimonio esiguo, non ho accumulato niente. Come mi diceva mio padre, che sul tema era uguale a me, sono una spendacciona irredimibile.

Il primo successo coincise con il teatro dei Gobbi.
Volevamo crearci uno spazio, sperimentare una comicità surreale ma non tenera e dire la nostra. In Italia, una costante, il clima verso la novità era un po' ostile. Invece di attendere il destino, andammo a cercarcelo. Io, Vittorio Caprioli e Alberto Bonucci. In macchina, attraverso le frontiere, con l'illusione del cabaret e dello scambio culturale.

Come andò?
Facemmo qualche mese di gavetta, poi esordimmo in un minuscolo teatro di Montmartre, accolti da un'attenzione inverosimile. Alvaro e Flaiano plaudirono all'operazione. Per i francesi diventammo "Les gobbì" e in un istante fummo fuori della nebbiosa provincia di casa. Noi tre, che quando un uccello sfiorava il parabrezza ci sentivamo subito onorati alfieri della Corte di Francia..

Lei Caprioli lo sposò.
Convivenza felice, mai piana. Qualche tradimento, molta condivisione, allegria e divertimento a piene mani. Sul set di Leoni al sole, il suo primo film, l'atmosfera era lietissima. Il matrimonio, fugace, durò un anno e mezzo. Insieme saremo stati una decina d'anni.

Matrimonio fugace?
Matrimonio tra attori, a Ventimiglia, di corsa. Il prete preoccupato domanda: "Tutto a posto con gli anelli?" e Vittorio, come un fulmine, esce dalla Chiesa per acquistarne uno. Mamma sintetizzò a suo modo: "Sicura che sia valido?"

Perché finì l'esperienza dei gobbi?
Perché ci si perde di vista, si seguono le proprie inclinazioni, a volte si va legittimamente altrove come capitò a Bonucci e non sempre bastano i ritorni dal Brasile degli amici storici. A Fiumicino sbarcò Luciano Salce, persona di rara simpatia, ma Vittorio era già altrove. Non resistette alle sirene del cinema. Ed evase.

Salce e Caprioli affrontarono una carriera diseguale. Un grafico impazzito.
Come registi hanno avuto molto meno di quel che meritassero. Autopromuoversi è un talento. Un secondo lavoro.

Arduo navigare in solitaria?
Un'esigenza ineluttabile, anche per me. Un giorno, in un ristorante di Parma, Paolo Grassi, con virtù soprannaturali, ci scovò al telefono per proporci una scrittura. Vittorio prendeva tempo: "Non so, mi pare complicato, ci piacerebbe ma...". Gli strappai la cornetta: "Tra tre giorni sono a Milano, viaggio da sola".

Non voleva rinunciare al teatro, ma non rifiutò la televisione. Signorine snob, Sore Cecioni, lascive bionde romagnole deluse dall'incontro con Morandi: "Insomma, Gianni, fai più scena in tv che al dunque".
Partecipai a tutti o quasi i programmi di Antonello Falqui. Lunga preparazione, perfezionismo, severità, amore per il mezzo. Oggi vieni invitato a fare un'apparizione e dalla porta sbuca un funzionario: "Le dispiace se faccio entrare gli autori?". Gli autori per quattro battute in tv? Cose inascoltabili. Inaudite.

Chissà cosa avrebbe detto la Sora Cecioni.
Nacque da una colazione nella casa ai Castelli romani in cui vivevo con Vittorio. Una domenica invitammo a colazione Antonello: "Ho un nuovo personaggio, poi mi dici cosa ne pensi". Caprioli e Falqui ridevano come pazzi. La Sora Cecioni è un prototipo. Elaboro mentalmente un tipo umano, ci penso, diventa mio e lo scrivo.

Qualcuno si riconosceva?
La gente riconosce gli altri e non individua mai se stessa. Per delineare una maschera ti servono decine di suggestioni, ma non c'è mai un modello fisso. Depotenzierebbe la possibilità che l'umorismo ti sorprenda.

Kezich rimpiangeva il mancato salto di ruolo: "Vien da chiedersi perché Franca non abbia fatto il passo... perché non abbiamo un cinema targato Valeri come ne abbiamo di Benigni o Verdone".
Ecco, ci siamo, me l'hanno sempre rimproverato. Credo di non essere proprio capace di dirigere un film, c'è una collaborazione tecnica misteriosa che mi sfugge nel modo più assoluto. Benigni è un caso a parte. Grande se diretto da altri, alterno se il film lo firma con il suo nome. La vita è bella per metà era bello e per metà no.

De Sica la adorava.
Ricambiato. Il mio mito. Arguto, acuto, intelligente. Bravissimo nel scegliere gli attori e far esordire gli sconosciuti. Alla prima di UmbertoD. piangevamo tutti. Vittorio De Sica ci guardava, con l'aria consapevole di chi aveva realizzato un obiettivo.

La aiutò molto.
Ho scritto tre film. Scusi facciamo l'amore, Parigi o cara e il Il segno di venere di Risi. Per quello di Dino, Vittorio ci appoggiò con una generosità che oggi mette i brividi.

Lei gli legge la mano in una fumosa trattoria: "Si vede che è un'artista lei, mano sensibile, articolata, sinuosa".
E lui risponde: "Le donne e la poesia, che c'è d'altro?". Restituiva la profondità di giudizio e la naturalezza che possiedono i soli geni, De Sica.

Lei incontrò anche Dino Risi, il grande misantropo.
Si vede che la misantropìa produce registi adorabili. Non urlava mai. Sapeva quel che voleva. Eravamo coetanei, entrambi milanesi, de Il vedovo i ventenni conoscono le battute a memoria.

Lei e Sordi.
Altro genio, di rara correttezza professionale. Ha presente cosa significhi bravura? È sinonimo di Alberto. Che non è mai imitazione di qualcosa, ma sagace osservazione di ciò che ti circonda. Sordi era rapido e non sbagliava mai uno sceneggiatore. Da De Bernardi a Flaiano. Se sul set a noi attori veniva per caso una battuta, stia sicuro che Sordi trovava il modo di farla mettere nel film.

Verdone racconta che nella villa di Sordi all'Aventino, l'attore vivesse quasi in ritiro monacale. Con le tende tirate e i bagni chiusi a tripla mandata. Irraggiungibili.
Era austero, certo e le vere padrone di casa erano le sorelle, ma la storia del bagno mi fa sorridere. Il mio ha la porta blindata. Ho dovuto sostituirla e per non comprarla nuova, ho usato uno scarto da cantina. Chi non lo sa, rimane chiuso dentro.

Memorie del principe De Curtis? Con lui interpretò Totò a colori e Arrangiatevi!
Ma solo nel primo recitiamo insieme. Totò non improvvisava sempre, aveva però un repertorio infinito. Un lascito del teatro di rivista, che all'epoca in cui lo conobbi aveva quasi già smesso di fare. Ci capivamo nei silenzi. Come me, era abituato a parlar pochissimo fuori scena. Se capitava, discutevamo di cani. Aveva una specie di asilo abbaiante a casa sua, e un altro, lo aveva fatto costruire.

Signora Valeri non abbia una buona parola per tutti
Ho avuto antipatie e intolleranze, ma sono molto gentile, amo pazzamente i miei amici che se proprio devo esprimere un cruccio, non sono esattamente uno stuolo. Ho sempre avuto frequentazioni intense, ma limitate. Gente a cui ho voluto e voglio veramente bene.

Cova rimpianti?
Non tutti i trattamenti di cui mi innamoro sono adatti a me e sono lucida sulle mie possibilità. Esistono testi stupendi che anche volendo, non potrei mettere in scena. No so se sia modestia o presunzione. Quel che scelgo, di solito, lo faccio bene.

Cosa era per lei Roma all'inizio degli anni 50?
Non venivo dalla clausura, ma, in una parola, libertà. Era meravigliosa. Internazionale nel suo provincialismo, agitata, vitale. Oggi, affogata nelle pessime gestioni, è molto peggiorata. La amo, come Milano e la mia preferita, Parigi. Contrariamente ai più, vado pazza per i francesi. Senso civico e razionalità.

Il suo cane, Aroldo, russa.
Il nome viene da un'opera di Verdi.

Ci sarebbe spazio per un Rigoletto ad Arcore?
Materia per una pièce sgradevole.

Lei con le ragazze di Berlusconi fu durissima: "Mi mettono malinconie gli squadroni di mignotte in gita ad Arcore". Disse proprio così?
È probabile, lo penso. È stato incredibile. Pagina indimenticabile.

Le ha viste proprio tutte?
Speriamo di no. Per esempio non mi arrendo alla forzata attualizzazione di ciò che appartiene a un'altra storia. L'altra sera ho visto su Sky un'opera di Donizetti.

Mancava qualcosa?
Figure elisabettiane con la borsa firmata a tracolla, impiegati della corona in giacca e cravatta come broker della City. Un incubo. Ho avuto un travaso di bile. Perché offendere il passato? Scrivete altro se siete capaci, no? La moda di oggi è spaventosa e gli uomini contemporanei non possono rappresentare un'epoca storica perché hanno perso qualunque autorità fisica.

Rimane la letteratura.
I miei francesi. Proust, Sthendhal, Molière. Li leggi, viaggi, capisci il loro tempo. Per questo detesto le regie postmoderne. In un'ora di Balzac c'era la vita, in 60 minuti di televendita c'è tutto ciò che avvicina alla morte.

Le fa paura?
Paura no, sarebbe ottimistico e sbagliato. Non hai il tempo di provarla in certi casi. Però a dire il vero, anche a sforzarmi non riesco.

A fare cosa?
A immaginare il mondo senza di me.

 

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