
“SCRISSI ‘IO CHE NON VIVO SENZA TE’ PER LA RAGAZZA DI CUI ERO INNAMORATO. È ANDATA BENE, VISTO CHE SIAMO SPOSATI DA 60 ANNI” – PINO DONAGGIO SUL SUCCESSO DELLA SUA CANZONE PRESENTATA A SANREMO ’65, CHE HA VENDUTO OLTRE 80 MILIONI DI COVER ED È LA CANZONE ITALIANA CON PIÙ COVER AL MONDO (462): “DOPO LA PRIMA DI DUSTY SPRINGFIELD L’HANNO RIFATTA TANTISSIMI IN TANTE LINGUE DIVERSE. DA ELVIS PRESLEY (MI FECE CHIAMARE A CASA PER DIRMELO) A TOM JONES” – LE COLONNE SONORE PER I FILM E LA FUGA DA HOLLYWOOD: “TROPPO ALCOOL. TROPPA DROGA. NON FUMO. E NON MI SONO MAI FATTO UNA CANNA. MI DICEVANO: “MA COME, NON HAI BISOGNO PER CREARE”? E IO RISPONDEVO…” - VIDEO
Estratto dell’articolo di Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
E quante volte è stata incisa la sua canzone più famosa?
«Trecentotrenta, credo».
Macché: Pino Donaggio, nell’intervista pubblica a Casa Corriere al Festival del cinema di Venezia, si sbagliava. Troppo modesto. Le cover di You Don’t Have to Say You Love Me , la versione inglese di Io che non vivo (senza te) sono 462. Primo posto a livello planetario tra gli autori italiani, dice il database di «secondhandsongs» davanti a Quando , quando, quando di Tony Renis e Nel blu, dipinto di blu di Domenico Modugno.
Stupito?
«Non più di tanto. Dopo la prima di Dusty Springfield l’hanno rifatta tantissimi in tante lingue diverse. Da Elvis Presley (mi fece chiamare a casa per dirmelo) a Tom Jones, da Connie Francis a Cher, da Claudio Baglioni a Gianna Nannini, a Il Volo...».
Ottanta milioni di dischi.
«Non so. Ho smesso di contarli...».
[…] Sognava di diventare primo violino?
«Quello era il mio sogno. Avevo del talento. Giovanissimo entrai fra i solisti veneti del maestro Claudio Scimone. Poi a Milano sarei dovuto andare coi solisti di Claudio Abbado. Avevo, a Venezia, un grande maestro. Solo che...».
Finì a Sanremo.
«Avevo scritto delle canzoni e le avevo portate alle Edizioni Curci. Una, Ho paura , l’aveva subito incisa Mina. Così gliene avevo data un’altra, Come sinfonia . Solo che in quel 1961 a Sanremo Mina ne aveva già due, di canzoni. Fu lei a volere che la cantassi io. In coppia con Teddy Reno».
Com’era, allora, Mina?
«Molto simpatica, estroversa, bravissima. Un giorno le feci sentire, sempre per Sanremo, Una casa in cima al mondo . Una volta. Una sola. E la rifece subito senza sbagliare una parola, una nota, una sfumatura... Inarrivabile».
Fatto sta che anche lei, al debutto, con un ciuffo moderato e l’occhio suadente, sfondò...
«In realtà arrivai solo quinto. Ma le vendite schizzarono subito su. La gente che la cantava per strada. Una cosa travolgente».
[…] A Burano diventò più famoso dei merletti.
«Non esageriamo. I merletti di Burano erano famosi da secoli. È vero però che l’osteria “Da Romano”, dove andavano a mangiare anche Charlie Chaplin ed Ernest Hemingway, chiuse apposta per far festa con tutti noi buranelli. Una giornata difficile da dimenticare».
Mai quanto il trionfo del ‘65 con «Io che non vivo».
«Quell’anno vinse Bobby Solo con Se piangi, se ridi ... Ma la mia canzone esplose. Fu lì la svolta. Insieme con la scelta di Dusty Springfield di inciderla in inglese. Il primo granello della valanga».
Ricorda come le capitò di scriverla?
«Mi avevano appena consegnato un pianoforte, stavo provandolo e il tema venne fuori così... Era carino. Pensai: se domani me lo ricordo ci faccio una canzone. Rischiai».
[…] «Io che non vivo / più di un’ora senza te / come posso stare / una vita senza te»: a chi era dedicata?
«A Rita. La ragazza di cui ero innamorato».
Che fine ha fatto?
«Visto il risultato l’ho sposata (ride). Ormai sessant’anni fa. Abbiamo due figli. E siamo ancora insieme».
Cosa rara nel mondo dello show, ancor più a Hollywood dove sfondò con le colonne sonore.
«Mah, Hollywood... Non è che ci sia stato tanto...».
Come arrivò, questa seconda vita?
«Avevo fatto dieci festival di Sanremo come cantante, quattordici come autore. Speravo di vincere, una volta o l’altra. Niente. Per carità, facevo una serata dietro l’altra. Ma era una vita da matti... Due o tre volte, tornando a ore impossibili, rischiai la pelle. Mi pesava. Una notte, tornando all’alba da una serata, in vaporetto, mi notò Ugo Mariotti, un giovane produttore che era lì per le riprese di un horror di Nicolas Roeg, Don’t look now , a Venezia. Disse che nel “caligo”, la nebbia veneziana, gli sembrai un’apparizione inviata dall’Aldilà».
Addirittura...
Pino Donaggio con Brian De Palma
«Mi chiese se ero in grado di fargli tre o quattro pezzi musicali per quel film. Con Julie Christie e Donald Sutherland... Ci provai. Andò bene. Era il 1973».
E lì cominciò a far concorrenza a Ennio Morricone.
«Non esageriamo. Inarrivabile. Però di colonne sonore ne ho scritte davvero tante».
Più o meno?
«Duecentotrenta. Metà e metà, grosso modo, per film o serie televisive italiani (da Non ci resta che piangere di Roberto Benigni e Massimo Troisi a Inferno berlinese di Liliana Cavani, da Trauma di Dario Argento a Don Matteo ) e le pellicole straniere, inglesi, tedesche, americane…».
[…] L’avrà imparato, con gli anni, l’inglese...
«Mai. O meglio, quando cominciai a cavarmela decisi che preferivo vivere in laguna. Rispetto a Hermann, comunque, cambiai qualcosa».
pino donaggio de palma spielberg
[…] C’è una foto con lei, De Palma e Steven Spielberg.
«Era il compleanno di Brian, nella sua villa. C’erano tutti, quella sera. Persone straordinarie. Ma io, come sempre, presi un taxi e prima possibile tornai in albergo».
Si annoiava?
«No. Diciamo che c’è anche un risvolto che non mi piaceva, a Hollywood. Troppo alcool. Troppa droga».
E lei?
«Non fumo. E non mi sono mai fatto una canna. Mi dicevano: “Ma come, non hai bisogno per creare”? No, grazie. “Non occorre che fumi, ci sono anche caramelle speciali”. No, grazie. Niente caramelle».
[…] Meglio Venezia...
«Sicuro. Mai avuto grilli per la testa da divo». […]
pino donaggio
pino donaggio de palma
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milva pino donaggio
pino donaggio 2
Omicidio a luci rosse di Brian De Palma
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