LA ROMA DEI GIUSTI - SE AVEVO NON POCHE PERPLESSITÀ RISPETTO AL “FRANKENSTEIN” DI DEL TORO, TROPPO NETFLIX, NE HO ALTRETTANTE PER “DRACULA. L’AMORE PERDUTO” DI LUC BESSON, TROPPO ALLA BESSON E UN PO’ TIRATO VIA - MENTRE DEL TORO, DA VECCHIO MESTIERANTE, SI SFORZA DI METTERE IN SCENA UNA QUALCHE ORIGINALITÀ ATTRAVERSO UNA STORIA SENTITA E RISENTITA, BESSON RICICLA UN PO’ TROPPO L’USATO SICURO DEI CLASSICI PREESISTENTI – IL PROTAGONISTA, CALEB LANDRY JONES, È BRAVISSIMO, MA AVREBBE BISOGNO DI… - VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
C’era bisogno di un nuovo Dracula? Ma possiamo anche dire, c’era bisogno di un nuovo Frankenstein? Ovviamente non avevamo nessun bisogno né di un nuovo Dracula né di un nuovo Frankenstein. Anche se le firme dei due nuovi horror sono potenti, Guillermo Del Toro per “Frankenstein” e quella di Luc Besson per “Dracula”, che si intitola in realtà “Dracula: A Love Tale”, da noi “Dracula. L’amore perduto”.
Va detto però che se il messicano Del Toro fa parte da anni dell’internazionale del cinema fantastico, e nasce con l’horror, il francese Luc Besson ha trattato sì tanti generi, ma poco ha da spartire con l’horror e il fantastico. Infatti il suo “Dracula: A Love Tale” è soprattutto un kolossal sentimentale e una grande occasione per Caleb Landry Jones, già protagonista del suo “Dogman”, di lanciarsi come star di prima grandezza.
Bravo, bravissimo, anche se avrebbe bisogno, come accadde al Dracula di Gary Oldman diretto da Francis Coppola, di avere un grande ricchissimo e perfetto film dove muoversi. Cosa che non capita sempre, perché non è un film così ricco (…passò quel tempo, Enea), e qualche caduta di tono c’è, vedi i gargoyles animati che fanno i servitori del Conte, vedi l’Esposizione di Parigi del 1900 ridotto a due baracconi da festa de noartri, vedi l’incredibile confine tra Francia e Romania, che non esiste (!!), risolto con un cartello da film di Franco e Ciccio.
E poi, chi l’ha detto che i francesi sappiano fare i film di Dracula, quando mai li hanno fatti? Insomma… se avevo non poche perplessità rispetto al “Frankenstein” di Del Toro, troppo Netflix, ne ho altrettante per il “Dracula” di Besson, troppo alla Besson e un po’ tirato via. Da vecchio mestierante però, mentre Del Toro si sforza di mettere in scene una qualche originalità attraverso una storia sentita e risentita, Besson ricicla un po’ troppo l’usato sicuro dei classici preesistenti.
Così riprende, come hanno scritto in molti, il meraviglioso “Dracula” di Francis Coppola, anche se il parruccone bianco di Gary Oldman qui diventa una sorta di parruccona bianca con treccia alla Barbara Alberti in una puntata di “Amici”, ma soprattutto ingloba come idea originale lo strepitoso inizio di “Sleepy Hollow” di Tim Burton, facendone la storia di sangue e di sesso infinita del giovane infoiatissimo Vlad II o Conte Dracula con la bella Elisabetta di Zoë Bleu, attrice che non conoscevo affatto ma che vedo ebbe già un ruolo di Vampire Queen nel lesbo-horror “Mother, May I Sleep With Danger?”.
Dracula viene portato via dai suoi e dalla Chiesa mentre sta scopando la bella Elisabetta per andare a impalare gli ottomani e salvare l’Occidente, ma non la rivedrà più. Gli morirà tra le braccia in una bella scena sulla neve con i cavalli che rimangono feriti dalle trappole nemiche. Mortacci… Non la prende affatto bene, anche perché ci metterà 400 anni per ritrovarla.
Dal mondo fantasy di Tim Burton riprende oltre alla storia del cavaliere senza testa e a qualche bella decapitazione anche la musica di Danny Elfman, compositore perfetto per l’horror romantico, decisamente superiore all’Alexandre Desplat di “Frankenstein”. Divide però con il film di Del Toro il ritorno sulle scene maggiori di Christoph Waltz, lì usato in un ruolo in fondo marginale e qui esaltato come simil Van Helsing, prete uccidi-vampiri con borsa piena di paletti di frassino e acqua santa.
Direi anzi che Christoph Waltz ha un ruolo alla Peter Cushing che lo rende degno avversario del Dracula di Caleb Landry Jones, vampiro feroce ma innamorato, più giovane del solito, che ricorderemo come ricorderemo il suo ottimo Dogman. Da vecchio regista maschio cresciuto secondo i modelli del cinema francese più sessista, non ci sono divagazioni gay o lesbo nel rapporto tra le belle ragazze e il vampiro o tra le vampirette e i giovanotti.
Matilda De Angelis, che interpreta la vampiretta Maria, quella che scoprirà a Parigi per conto del suo padrone Dracula in Mina, la fidanzata dell’avvocato Jonathan Harker, Ewen Sabid, la reincarnazione della adorata e perduta Elisabetta, è una ragazza dai canini in fuori affamata di sesso selvaggio, carne e sangue freschi. Guardate come batte i canini e agita la lingua. Devo dire che è molto divertente, mentre Zoe Bleu è bella ma un filo noiosa.
Maria, inoltre riunisce una serie di personaggi, come Renfield e Lucy. La storia classica del romanzo di Bram Stoker arriva però dopo mezzora, cioè dopo il lungo racconto della giovinezza del Conte Dracula e la perdita di Elisabetta. C’è più o meno tutto, da Jonathan Harker alla bella Mina Murray, anche se si salta il viaggio in mare con Dracula nella bara, i topi e i marinai morti di peste, perché l’azione è spostata da Londra alla Parigi del Capodanno del 900.
E non esiste Renfield. “Nosferatu” di Robert Eggers era meglio? Era più alla moda, che non è un complimento. E qui Caleb Landry Jones e Christoph Waltz sono in gran forma. Esce in sala il 30 ottobre.
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