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“ROMULUS È UN PO’ ESTREMA, CHIARAMENTE NON È PER RAI1” – PARLA MATTEO ROVERE, IL REGISTA DELLA SERIE EVENTO DA DOMANI IN ONDA SU SKY: “LA SCENA DELL’ORGIA? HA UNA COREOGRAFIA CURATISSIMA. DEVONO ESSERCI RIFERIMENTI CHIARI E BISOGNA SAPERE DOVE METTERE LE MANI. A VOLTE, LETTERALMENTE” – “L’ITALIA È UN PAESE VECCHIO ED È ANCHE UN PAESE PIENO DI REGOLE SCRITTE DALLE GENERAZIONI PRECEDENTI. UNA CINEMATOGRAFIA CHE NON PRODUCE ESORDI È UNA CINEMATOGRAFIA CHE MUORE”  – VIDEO

 

Gianmaria Tammaro per Dagospia

 

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Prima ancora di pensare a Il primo Re, il film con Alessandro Borghi che ha diretto quasi due anni fa, Matteo Rovere aveva già immaginato Romulus, la serie originale Sky prodotta da Groenlandia e da Cattleya in onda da domani su Sky Atlantic e in streaming su NowTv.

 

“Secondo me”, dice, “oggi è la serialità ad esplorare questo tipo di racconto: un racconto con tanti personaggi, con tante linee che si incontrano, con l’amore, l’azione, con tanto femminile. I film sono grandi eventi unici. E in questo caso c’erano l’occasione e il desiderio di approfondire. La serialità è il modo migliore per farlo”.

 

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E allora perché ha aspettato così tanto per lavorare in tv?

“Negli anni mi sono state proposte moltissime serie. Alla fine sono state realizzate da altri registi. Ma non ho mai ricevuto una proposta veramente interessante”.

 

Dove c’è più libertà oggi, sul grande o sul piccolo schermo?

“Il cinema, storicamente, è il luogo della sperimentazione. Ora la sala è in crisi, ma il linguaggio cinematografico e i film restano. La sala è un po’ il luogo dell’inconscio. Vivi un’esperienza con la E maiuscola, diversa da quella che vivi guardando la tv. Romulus prova a conquistare gli spettatori. Ho fatto una lunghissima riflessione sul pubblico femminile. Questo è solo apparentemente un racconto maschile”.

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Qual è stata la scena più difficile da girare? Quella della battaglia nel bosco, tra gli alberi, o quella dell’orgia nella caverna?

“Sono state due scene molto complicate. E in un certo senso anche molto simili”.

 

Addirittura. Perché?

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“Entrambe hanno una coreografia curatissima. Non si può improvvisare nulla in una battaglia o in un’orgia. Devono esserci dei riferimenti chiari e bisogna sapere dove mettere le mani. A volte, letteralmente”.

 

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In entrambe le scene c’è Francesco Di Napoli. Come se l’è cavata?

“Ha approcciato queste due scene come il suo personaggio: per entrambi, sono state la prima battaglia e la prima orgia”.

 

Il personaggio interpretato da Marianna Fontana ricorda, per certi versi, quello di Xena.

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“Ci sono molti racconti di donne guerriere. L’idea, qui, è quella di una ragazza che da servitrice di una dea, Vesta, diventa servitrice di Marte, il dio della guerra. E in questo passaggio, viene fuori il suo vero carattere. Perché è lei a voler servire Marte. Le divinità, in questo caso, sono uno strumento”.

 

Girare tutto in protolatino è stata una sfida o un’opportunità?

“Il protolatino è una lingua fortemente musicale e fisica. Si sposa molto bene con il racconto dei corpi che si muovono nello spazio. Il consiglio che do agli spettatori è di provare a vedere la serie, soprattutto le puntate d’azione, in originale e senza sottotitoli”.

 

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Ma perché ridoppiare in italiano una serie pensata in un’altra lingua?

“Personalmente ero pronto a girare Romulus anche in italiano. Ma c’è stato molto interesse da parte dei co-produttori, in particolare da parte di Riccardo Tozzi di Cattleya, nel protolatino. C’è stata la voglia di proporla al pubblico, anche a quello internazionale, in questa lingua. Ho seguito personalmente il doppiaggio. Lo spettatore che vede la serie in italiano non si perde niente. Era importante renderla accessibile a tutti”.

 

L’Italia è un paese vecchio?

“È un paese vecchio ed è anche un paese pieno di regole. Regole che, per inciso, sono state scritte dalle generazioni precedenti. Una cinematografia che non produce esordi è una cinematografia che muore. È con gli esordi che si crea il futuro”.

 

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La presenza di tanti player internazionali nel nostro paese, come Netflix e Amazon, è una cosa positiva o, al contrario, è una cosa negativa?

“Secondo me, è una cosa positiva. Ma solo se utilizziamo questi strumenti, questi aiuti, per portare le nostre serie all’estero. Se invece ci lasciamo appiattire da un gusto che non è il nostro, se proviamo in tutti i modi a seguire il punto di vista di qualcun altro, diventa un problema. L’Italia è un paese di eccellenze, fonte di storia, di cultura, di racconti. Quello che dobbiamo fare noi è lavorare con tutti i player, ricordandoci sempre chi siamo e da dove veniamo”.

 

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Prima mi parlava dell’importanza della prospettiva femminile. Tra i prossimi film di Groenlandia, ce ne sono alcuni diretti da donne?

“Sì. A dicembre inizieranno le riprese del film di Francesca Marino, per esempio. E poi, sempre a dicembre, ci sarà l’esordio di Giulia Steigerwalt. Stiamo lavorando molto sulla costruzione di spazi per le donne”.

 

Parla di quote rosa?

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“No, non parlo di quote rosa: non me ne può frega’ de meno. Parlo di avere le donne al comando. Il problema è un altro”.

 

Quale?

“Si identificano le donne con le tematiche femminili, e non va bene. È estremamente limitante. Le donne devono poter raccontare qualunque tipo di storia”.

 

Lei ha lavorato sia con Sky, per Romulus, che con Netflix per L’incredibile storia dell’isola delle Rose, che ha prodotto. Qual è stata l’esperienza migliore?

“Non risponderò neanche in presenza del mio avvocato”.

 

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Qual è la differenza, allora?

“Sono due soggetti che vengono da percorsi diversi e hanno esigenze diverse. Ma ognuno ha, secondo me, un grande potenziale. Io non lavoro a un film in base al player. Prima lavoro al film o alla serie, poi li propongo a un player. La creatività resta la prima cosa”.

 

Se il player non è importante, quando vedremo un’orgia su Rai1?

“Questo non dipende da me. Romulus è una serie con elementi un po’ estremi e chiaramente non è per Rai1. Ma anche la tv generalista sta facendo passi in avanti”.

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