
“SIA LODATO DAGOSPIA” – FULVIO ABBATE GLORIFICA I 25 ANNI DI QUESTO DISGRAZIATO SITO: “È UN COSMODROMO CHE RESTITUISCE OGNI COMMEDIA UMANA E SPETTACOLARE, DUNQUE POLITICA, TRA SPLENDORI, BASSEZZE, IRRILEVANZA TALVOLTA SUPPONENTE, ORA ISTITUZIONALE ORA MONDANA, ORA RIFERITA AI MAGHEGGI DELLA FINANZA, PERFINO AI SOTTOSCALA DELLA CULTURA IN UN PAESE AFFLITTO DA AMICHETTISMO, FAMILISMO E CLIENTELISMO - DAGOSPIA E’ UNA DELLE PIÙ SIGNIFICATIVE VOCI D’OPPOSIZIONE CULTURALE ALL’ESISTENTE ODIERNO DOVE SI MANIFESTA UNA DESTRA REGRESSIVA E MAI EMENDATA - L'IMMENSO TITOLO RIFERITO A UN CASO DI CRIMINALE SPERIMENTAZIONE SU UNA INCOLPEVOLE SCIMMIA: “MACACO ER CAZZO”...
Fulvio Abbate per “l’Unità”
Sia lodato “Dagospia”, sia reso grazie al suo motore mobile primo, Roberto D’Agostino, monotipo, pezzo unico romano. Si dice sempre che la lettura dei giornali, secondo logica del filosofo Hegel, nell’età moderna, avrebbe sostituito l’antica preghiera religiosa mattutina.
Personalmente, e non reputo d’essere mosca bianca, mi ritrovo appunto a “pregare” di continuo, ingordo, instancabilmente, scorrendo proprio il “rullo” di Dagospia, ininterrottamente, mani giunte in attesa di nuovi “lanci” dalla redazione affacciata su Castel Sant’Angelo, poco importa se riferiti alla cronaca globale o piuttosto piccina circoscrizionale, setacciando altrettanto “Cafonal” e “Cafonalino”, inizialmente accompagnati dagli scatti di Umberto Pizzi, verranno poi quelli di Luciano Di Bacco, amico indimenticato, avendo così percezione concreta e lucente d’essere finalmente al mondo delle cose.
Riferire quest’ultimo - il mondo, sì, proprio il mondo delle notizie - alla cosiddetta ordinaria “informazione”, nel caso di Dagospia, sarebbe davvero misera cosa, poiché in verità la creatura di D’Agostino è un cosmodromo che restituisce ogni possibile commedia umana e spettacolare, dunque politica, tra splendori, bassezze, irrilevanza talvolta supponente, ora istituzionale ora mondana, ora riferita ai magheggi della finanza, perfino ai sottoscala e al retrobottega della cultura, di più, della subcultura che formicola in un paese afflitto dall’amichettismo, categoria da riferire alla sinistra, dall’altra parte vivono invece familismo e clientelismo storici.
ROBERTO DAGOSTINO CON LA MOGLIE ANNA FEDERICI E IL FIGLIO ROCCO
Occorre davvero immaginare più volte al giorno i miei occhi su Dagospia: Altare della Patria, Muro del Pianto, Pantheon, Vittoriale, Sacro Bosco dei mostri di Bomarzo, Arco di Costantino, Arco di Travertino, Porta Furba (questa la capiranno solo i romani) della pubblica vita stessa globale.
Se tutto questo, la sua frequentazione, valesse un voucher per la vita eterna, diciamo pure in questo caso giornalistica, potrei davvero dire d’essere credente, come D’Agostino nel suo profondo cattolicesimo romano, meglio, d’essermi già garantito, insieme a lui, un’altana perfino abusiva nel celeste paradiso.
Altri, in questi giorni di osanna, pensando all’opera di resistenza di Dago e della sua squadra, lo hanno detto forse assai meglio di come personalmente potrei, con acume analitico, eppure occorre anche qui precisare che il “disgraziato sito”, come eufemisticamente lo chiama il titolare e intestatario, va ritenuto ormai l’Ur-giornale, l’Iper-testata per definizione, e non si dica, come affermano i detrattori, con tanfo di moralismo perbenista sotto un naso da tartufi, che si tratti di una ripugnante testata online di “gossip”.
Dagospia - Messa di ringraziamento
Alta portineria, semmai, nella sua sostanza più assoluta, al di là dei suoi esemplari scoop come nel caso della “froceria” evocata da Bergoglio o della sit-com Totti-Ilary Blasi, sia detto filosoficamente parlando, ricordando il ruolo centrale che nel racconto dell’esistenza stessa Louis-Ferdinand Céline attribuisce proprio alla figura della portinaia nella sua guardiola, solo in apparenza angusta e buia.
Redazione di Dagospia - Messa di ringraziamento
Sempre personalmente, ritengo ancora, sempre insieme ad altri, che Dagospia, pensando all’Italia, sia una delle più significative voci d’opposizione politica e culturale all’esistente odierno dove si manifesta una destra regressiva e mai emendata, per populismo vittimistico, dal sottoscala della piccineria fascista, custodendo, grazie all’irregolarità doverosamente narcisistica del suo fondatore, un sentimento liberatorio, spassionato, oltre che antifascista, in ogni piega del suo linguaggio, dei suoi titoli, del suo racconto fotografico, lontano da ogni forma di moralismo: nessun asterisco o “pecetta” nera a camuffare parole come “cazzo” o “scopata”, “fregna” o, appunto, “fascisti”.
Dago - Messa di ringraziamento
Cristiana opposizione all’ovvietà e all’ipocrisia, e forse non è un caso che proprio D’Agostino, per “celebrare” nei giorni appena trascorsi i 25 anni del “suo” portale abbia scelto di raccogliere sé stesso, la redazione, gli amici, i “complici”, i compagni di strada, gli ammiratori lontano da ogni “celebrazione o feste trullalà”, al Mausoleo di Santa Costanza per una “Messa di ringraziamento come riconoscimento per ciò che si è ricevuto dalla vita, a partire dal fatto che si è ancora in piedi, vivi e vegeti.
Oltretutto, avendo ricevuto più di ciò che abbiamo dato, è stato un ‘rendere grazie’, un Alleluja, che la Messa esprime in modo sublime, ai tanti lettori che ci seguono da un quarto di secolo, senza i quali Dagospia non esisterebbe. Ma anche il desiderio da parte di tutta la redazione di poter ricordare coloro che non ci sono più (un ciao al nostro carissimo fotografo, Luciano Di Bacco, che ci ha lasciati)”, parole sue, testuali.
Senza ironia alcuna, senza compiacimento di sorta da parte di un ex pischello, Roberto, romano di via dei Volsci a San Lorenzo, quartiere di resistenti, padre saldatore, madre bustaia, l’esordio lavorativo a 18 anni come ragioniere alla Breda, “due anni dopo la madre ottenne una raccomandazione per la Cassa di Risparmio di Roma a suo favore, dove rimase a lavorare per dodici anni,” come restituisce Wikipedia.
Occorre ricordarne ancora l’attitudine da disk jockey, i fulgori personali accanto a Renzo Arbore a “Quelli della notte”. Il Mausoleo di Santa Costanza, sia detto per completezza iconica narrativa, ha luogo in via Nomentana, poco lontano da una storica caserma degli artificieri, vicino a dove si svolge una delle scene più esemplari di “I soliti ignoti”: lì Giuseppe 'Peppe er Pantera' Baiocchi -Vittorio Gassman, modesto pugile rionale, prova, zagajando, a rimorchiare la “servetta” Carla Gravina fingendosi settentrionale e qualificandosi giocare di polo.
Quando Dagospia era appena ventenne, età tuttavia da fidanzamento ufficiale, pubblica fama già riconosciuta tra, appunto, i fuochi d’artificio degli ammiratori, momento di presentazioni in famiglia, c’era modo di notare ogni doverosa parola di plauso, apprezzamento e forse anche invidia per lui, Roberto, e ancora per l’intero equipaggio dei suoi straordinari redattori: il vicedirettore Riccardo Panzetta in primo luogo, e ancora Alessandro Berrettoni, Francesco Persili, Luca D’Ammando, Federica Macagnone, Ascanio Moccia, Gregorio Manni
così a Roma, città che non sempre rinuncia a modi curiali da vicereame vaticano con mitria, sedia gestatoria, flabelli innalzati da camerieri segreti, cavallerizzi maggiori, marchesi di baldacchino e poi aspiranti ruffiani, marchette, mezzecalzette, stupidi ritenuti al contrario menti raffinate cui affidarsi, proprio allora non avevo potuto fare a meno di ritenere immenso un titolo riferito a un caso di criminale sperimentazione sugli animali, segnatamente su una incolpevole scimmia, che recitava esattamente: “Macaco er cazzo”, a incoronare la foto di una povera e inerme creatura appartenente a quel genere di primati cui alcuni infami in camice bianco avevano impiantato un occhio supplementare sulla tempia.
DAGOSPIA CITATA DA THE GUARDIAN PER LO SCOOP SUL PAPA E LA FROCIAGGINE
Titolo più straordinario non poteva esserci.
Sia in difesa delle creature animali vilipese, umiliate, torturate, sia, ripeto, rispetto al conformismo linguistico e lessicale che solitamente rende il paesaggio della lettura giornalistica, volendo utilizzare una parafrasi che giunge dal discorso di Calgaco, capo dei Caledoni, popolo che si ribellò contro i Romani nell'83 d.C., ovvero: hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato informazione.
DAGOSPIA CITATA DA REUTERS PER LO SCOOP SUL PAPA E LA FROCIAGGINE
Dagospia, nella sua direzione ostinata e contraria, risponde in nome dell’estro e del sarcasmo liberatori a ogni ipocrisia borghese e, va da sé, piccolo borghese, compreso il conformismo di sinistra che ipocritamente, in nome e per conto della veltroniana “vocazione maggioritaria”, reputi che la parola, il verbo, l’immagine fotografica stessi debbano essere poliziescamente depurati da ogni carnalità, eliminando ogni significante ritenuto “osceno”, in nome di una equivoca idea del consenso e delle buone presunte maniere.
Non è necessario chiamare in causa Carmelo Bene per puntualizzare proprio quest’ultima categoria espressiva: l’Osceno restituisce la verità delle cose, come appunto ogni “Cafonal”. D’Agostino, detto anche questo per inciso, ospite del “Maurizio Costanzo Show”, riferendosi proprio all’uomo apparso alla Madonna, chiese: “Ma se lei non esiste, perché si tinge i capelli?”. Dio, e il suo vice, salvino ora e sempre Dagospia.
DAGOSPIA GURU DELL ELITE ITALIANA - DA IL FATTO
DAGOSPIA LETTURA OBBLIGATA - DA IL GIORNALE
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