huston john

CIAK, TE LA DO’ IO LA GUERRA… - NELL’AUTUNNO DEL 1943 IL GRANDE REGISTA JOHN HUSTON RAGGIUNSE A NAPOLI LA V ARMATA STATUNITENSE PER SEGUIRE, CON UNA TROUPE CINEMATOGRAFICA, LA SUA AVANZATA VERSO ROMA - CRUDO E REALISTICO, ‘’THE BATTLE OF SAN PIETRO’’ FU BOCCIATO DAI VERTICI MILITARI E HUSTON ACCUSATO DI AVER FATTO UN FILM CONTRO LA GUERRA: FU PRESENTATO SOLO NEL 1945 – HUSTON RICORDA: ‘’NAPOLI ERA COME UNA PUTTANA MALMENATA DA UN BRUTO… UN POPOLO AFFAMATO, DISPERATO, DISPOSTO A FARE DI TUTTO PER SOPRAVVIVERE. I BAMBINI OFFRIVANO SORELLE E MADRI IN VENDITA. ERA VERAMENTE UNA CITTÀ SENZA DIO…” - VIDEO

 

CAPITOLO 9

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Da “Un libro aperto” – l’autobiografia di John Huston (ed. La nave di Teseo)

 

Nell'autunno del 1943 la mia "vacanza" in Inghilterra ebbe termine. Ricevetti l'ordine di spostarmi in Italia per documentare il trionfale ingresso delle forze americane a Roma.

 

A un party, a Londra, avevo conosciuto il grande scrittore di thriller Eric Ambler e - sempre in base al principio che i nostri due Paesi dovessero unire gli sforzi nel produrre documentari sulla guerra - gli proposi di venire con me, cosa che lui accettò di fare con entusiasmo. Partimmo immediatamente ma, quando arrivammo in Italia, scoprimmo che le nostre truppe erano un bel po' lontane da Roma.

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Dopo i primi successi, a partire da Salerno e continuando con Napoli, la campagna italiana era a un punto fermo. Dopo Caserta, a nord di Napoli, iniziò il maltempo, i tedeschi puntarono i piedi e gli attacchi alleati furono un disastro.

 

Napoli era come una puttana malmenata da un bruto: denti spezzati, occhi neri, naso rotto, puzza di sporcizia e di vomito.

 

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Mancava il sapone, e persino le gambe nude delle ragazze erano sporche. Le sigarette erano la merce di scambio comunemente impiegata, e per un pacchetto si poteva avere qualsiasi cosa. I bambini offrivano sorelle e madri in vendita. Di notte, durante l'oscuramento, dalle case sbucavano a frotte i topi e se ne stavano lì, a guardarti con gli occhi rossi, senza muoversi. Si camminava evitandoli.

 

Salivano vapori su dai vicoli, lungo i quali c'erano locali che mettevano in scena atti "carnali" fra degli animali e dei bambini. Gli uomini e le donne di Napoli erano un popolo diseredato, affamato, disperato, disposto a fare di tutto per sopravvivere. L'anima della gente era stata stuprata. Era veramente una città senza Dio.

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Una delle poche volte che mi sia mai capitato di dover tirar fuori la mia pistola d'ordinanza fu a Napoli. In una piazza alla periferia della città mi imbattei in una folla in tumulto che assediava un agente della polizia militare a cui era stato tolto il manganello.

 

La folla gli si agitava intorno e sembrava che ognuno litigasse con la persona che si trovava accanto. Il militare era proprio alle strette, così il mio autista e io corremmo in suo aiuto. Come gli fummo vicini, il tumulto raggiunse il suo culmine e cominciò a placarsi. I vecchi negli androni facevano i gesti classici napoletani, battendosi con i pugni il petto e la fronte e levando le mani in alto verso Dio.

 

Con la coda dell'occhio colsi una scena veramente surreale. Un uomo e una donna se ne stavano abbracciati, in un'immobilità da statue in mezzo a tutta quella frenetica attività. Li guardai un paio di volte; dopo che il tumulto fu cessato stavano ancora lì, apparentemente insensibili a tutto quanto avevano intorno.

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Finalmente furono separati e si scoprì che la donna aveva stretto il naso dell'uomo fra i denti. Il naso era stato trapassato dal morso e gli pendeva di traverso sul viso. Il tumulto era iniziato, scoprii, per una questione di sigarette. A Napoli mi imbattei nel fotografo Robert Capa.

 

L'avevo conosciuto a una festa di fine anno a New York qualche tempo prima che iniziasse la guerra e lo avevo visto di quando in quando per anni, ma fu soltanto allora che diventammo amici. Un giorno camminavamo per strada quando ebbe inizio un'incursione aerea.

 

Queste incursioni erano sporadiche e senza molti effetti, ma gli italiani le tenevano in gran considerazione: al primo suono di sirena le strade si vuotavano, e se per caso eri seduto al ristorante, i camerieri sparivano. Quando iniziò il raid, Bob e io ci infilammo in un androne per sfuggire alle schegge dei proiettili provenienti dal nostro stesso fuoco antiaereo.

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Allora a Napoli girava il tifo e c'erano voci di un'epidemia di colera. Le malattie furono alla fine debellate, ma nei primi tempi morirono in molti. I morti venivano sepolti in piccole bare fatte in serie, tutte della stessa misura. Si usavano ancora i tradizionali carri funebri barocchi: grandi veicoli di ebano, tirati da una pariglia di cavalli neri, tutti piumati e bardati.

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Dall'androne, Bob e io vedemmo uno di questi carri girare l'angolo a grande velocità. Il cocchiere era in piedi e frustava i cavalli al galoppo sul selciato. Portava un cappello a tricorno, brache, calze di seta e scarpe con la fibbia.

 

Le sirene dell'allarme gemevano, i cannoni tuonavano, e proprio nel momento in cui il carro funebre passava alla nostra altezza, le porte posteriori si spalancarono e le bare furono scaraventate fuori.

 

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Colpendo il selciato, le casse si sfasciarono e la strada fu cosparsa di cadaveri che lentamente abbandonavano le loro posizioni contratte. Era grottescamente divertente. Che avremmo potuto fare se non ridere?

 

Il nostro quartier generale a Caserta era un grande palazzo di quattro o cinque piani, al centro di un enorme quadrilatero di circa un centinaio di metri di ampiezza. Di fronte al palazzo c'erano una quantità di specchi d'acqua. I piccoli aerei da ricognizione muniti di galleggianti usavano atterrare su questi laghetti, non più larghi di otto-dieci metri. Il palazzo era pieno di truppe americane e noi del Servizio fotografico - compreso il mio diretto superiore, il colonnello Gillette - dormivamo tutti in un solo stanzone nei nostri sacchi a pelo.

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Questo si sopportava, Ma il russare di Eric Ambler no. Eric russava più forte di chiunque io abbia mai udito. Era distruttivo. Il rumore echeggiava per i corridoi e fuori, nel cortile. C'erano venticinque o trenta uomini tutti a dormire nella stessa stanza, e la mattina seguente si alzavano tutti con la stessa idea in testa - dato che nessuno aveva chiuso occhio per tutta la notte - e mi guardavano. Capii che dovevo mettere Eric fuori dalla stanza, e urgentemente.

 

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Mi fu assegnata una squadra di sei uomini... più Eric. Dopo qualche tempo arrivarono nuovi ordini. Dovevamo dirigerci al fronte e fare un film che spiegasse al pubblico americano perché le forze statunitensi in Italia non avanzassero più.

 

Ai primi di dicembre del 1943 le nostre forze si installarono sulla valle del Liri, situata a una cinquantina di chilometri a nordovest di Napoli e a circa trentacinque a sudest di Roma. La mia unità faceva parte del 143° reggimento di fanteria della 36ª divisione di fanteria del Texas. Il 143° ebbe numerose perdite il giorno dello sbarco a Salerno, fu il primo a entrare a Napoli, il primo a superare il Volturno e il primo a dar battaglia nella valle del Liri.

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La statale numero 6, l'unica grossa arteria verso Roma, correva lungo la valle del Liri. All'imbocco della valle sorgeva il piccolo villaggio di San Pietro, che doveva essere uno dei punti chiave più aspramente contesi della campagna italiana. Il 143° aveva di fronte quattro battaglioni nemici, asserragliati in una linea di trincee e roccaforti collegate, che si estendeva davanti a San Pietro e attraverso la valle, da un gruppo di colline all'altro.

 

Un altro battaglione tedesco difendeva l'altopiano a nordovest di San Pietro: tutte le strade di accesso a queste posizioni erano fittamente minate e sbarrate da filo spinato e ordigni esplosivi mimetizzati. Gli ufficiali di campo più esperti affermavano che la posizione tedesca non era espugnabile con un assalto frontale.

 

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Ciononostante, fu un ordine di assalto frontale che venne trasmesso agli ufficiali e agli uomini del 143°. La decisione costò cara.

 

La notte prima dell'attacco la nostra artiglieria sparò tutte le munizioni che aveva contro i tedeschi ma, a giudicare da ciò che seguì, con scarso risultato. I tedeschi erano ben attestati e le loro roccaforti erano praticamente invulnerabili, a meno di non piazzare colpi diretti.

 

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Nello spazio di duecento metri l'attacco fu rallentato nel momento in cui le nostre truppe incontravano filo spinato, fitto fuoco di sbarramento e mine antiuomo. Seguì il fuoco dei mortai e dell'artiglieria: il nemico aveva un'eccellente visuale dal Monte Lungo e dominava il nostro attacco, e il numero dei morti fu altissimo. Molti uomini sacrificarono la vita cercando di scavalcare il filo spinato, raggiungere le roccaforti e gettare granate attraverso le strette fessure che sputavano fuoco. L'attacco non arrivò mai oltre i cinquecento metri dalla linea di partenza.

 

In seguito lanciammo altri due attacchi frontali contro San Pietro. Entrambi furono respinti con pesanti perdite. I tedeschi eressero uno sbarramento di armi automatiche, fuoco di mortai e artiglieria, tanto sui rilievi che sulle strade di accesso a San Pietro. Delle pattuglie di volontari che cercarono di spingersi avanti e di raggiungere le postazioni nemiche nessuno tornò mai indietro vivo.

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Fu quindi deciso di attaccare San Pietro con i carri armati, Questo era il piano più folle del mondo, sicuramente ideato da qualcuno che se ne stava in retroguardia e non sapeva assolutamente un accidente del terreno attorno al villaggio.

 

Sedici carri armati ebbero l'ordine di attaccare da est, lungo una stretta strada polverosa tutta curve a gomito e sotto la vista diretta del nemico. Su questa strada era sì e no possibile far passare due piccole auto una di fianco all'altra, ma non c'era certamente lo spazio per manovrare un carro armato. Sul lato destro c'era il fianco d'una montagna, a sinistra un dirupo. Una volta partii, i carri armati non potevano fare la conversione per tornare.

SECONDA GUERRA MONDIALE - BORDELLO A NAPOLI

 

I tedeschi lasciarono che i carri armati arrivassero a qualche centinaio di metri dal paese prima di distruggere gli ultimi due con cannoni anticarro nascosti dietro i massi. Tre altri tank urtarono le mine sulla strada e furono abbandonati. Dopo di che 'artiglieria e i cannoni anticarro passarono a colpire gli altri carri armati uno per uno. Soltanto quattro di questi riuscirono a tornare.

 

Potevamo vedere i tank bruciare ed esplodere, e gli uomini correre cercando di nascondersi. Dopo che fu tutto finito strisciammo allo scoperto e fotografammo i disastrosi risultati.

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Non fu piacevole. Qua c'era uno stivale - con il piede e parte della gamba ancora dentro -, là un tronco bruciato, e altre parti di quelli che erano stati esseri umani sparse tutt'intorno.

Queste scene erano comprese nella versione integrale del film. Subito prima dell'inizio dell'attacco avevo intervistato parecchi degli uomini che avrebbero preso parte alla battaglia. Alcune delle cose dette erano più che eloquenti: stavano combattendo per ciò che il futuro poteva riservare a loro, al loro Paese e al mondo.

 

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In un secondo momento si vedevano quegli stessi uomini morti. Prima di mettere i corpi nelle bare per la sepoltura, la procedura era di deporli in fila sui loro materassini, effettuare - quando era possibile - l'identificazione, quindi coprirli. A quel punto bisognava sollevare il corpo in alto, e io feci piazzare le cineprese in modo che i volti dei morti venissero davanti all'obiettivo. Nella versione integrale le voci dei vivi che parlavano delle loro speranze per il futuro si sovrapponevano ai volti degli stessi uomini morti.

 

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Tenendo conto dell'effetto emotivo che questo avrebbe avuto sulle famiglie di quegli uomini, e anche di come il pubblico americano di allora poteva reagire alla cosa, in seguito decidemmo di non includere queste immagini. Ma la generazione di adesso potrebbe sopportarle: ormai è assuefatta a quasi tutto.

 

L'impasse militare fu finalmente superata quando, il 16 dicembre, Monte Lungo cadde nelle nostre mani. Si scoprì che Monte Lungo era stato il punto chiave nel piano di difesa del nemico. Nello stesso momento in cui cadde, ci furono segni che i tedeschi si preparavano a ritirarsi.

 

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Ci era stato detto che dovevamo aspettarci un contrattacco tedesco a copertura della loro ritirata. Il nostro servizio di spionaggio riferì che i tedeschi avevano già evacuato il villaggio di San Pietro. Partii immediatamente per il paese con altri due ufficiali e la mia squadra: volevamo essere sul posto non appena fosse iniziata l'occupazione da parte dei nostri, così da poter filmare l'intero corso delle operazioni.

 

Salimmo attraversando la zona degli attacchi e contrattacchi; non ho mai visto tanti morti come quel giorno, Durante la notte aveva piovuto. Si vedevano postazioni di mitragliatrici, cannoni ed equipaggiamento puliti e scintillanti, con le munizioni che brillavano nel sole del primo mattino, mentre tutt'intorno erano sparsi i morti. Ricordo di aver fatto notare a qualcuno che quel giorno avevamo visto più morti che vivi.

 

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Finalmente raggiungemmo la periferia del paese. San Pietro era a soli duecento metri da noi e poco più avanti potevamo vedere la strada che collegava la statale con il paese. Discutemmo se raggiungere il villaggio risalendo la collina o continuare sulla strada. La strada poteva essere ancora nelle mani del nemico, anche nel caso che i tedeschi avessero sgomberato il villaggio.

 

D'altro canto, la collina era sicuramente minata. Mentre tentavamo di decidere cosa fare, una mitragliatrice dall'alto aprì il fuoco contro di noi. Ci riparammo gettandoci a terra dietro un muretto di sostegno e per fortuna nessuno di noi fu colpito. Il servizio segreto si sbagliava: i tedeschi ovviamente occupavano ancora San Pietro. Stavamo acquattati a domandarci come diavolo uscirne. A questo punto i tedeschi spararono alcuni colpi di mortaio. Questi fortunatamente crearono abbastanza polvere e fumo da impedire la vista al cecchino, e ci permisero di uscire di corsa uno per uno.

 

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Non passò molto tempo che i tedeschi si ritirarono davvero da San Pietro. La mia troupe e io - insieme a Eric e a un altro ufficiale - fummo i primi a mettere piede nel villaggio e potemmo filmare le prime pattuglie delle truppe americane che entravano.

 

Per di più avemmo anche modo di riprendere uomini, donne e bambini italiani nel momento in cui scendevano dalle grotte situate lungo il fianco della collina, dove avevano vissuto durante il combattimento. Non c'erano uomini giovani fra loro: da tempo erano stati portati via per combattere altrove.

 

Dopo poco che eravamo lì, il nemico cominciò a bombardare il paese. In quel momento a San Pietro c'erano solo piccole pattuglie avanzate del nostro esercito, ma i tedeschi dovettero pensare che fossimo là in forze. L'artiglieria americana fece lo stesso sbaglio e pensò che i tedeschi fossero ancora lì, così che aprì anch'essa il fuoco e inviò i bombardieri. A questo punto entrambe le parti sparavano a zero sul villaggio e il terreno letteralmente tremava e ansimava. Gli abitanti tornarono di corsa nelle loro grotte e noi ci affrettammo a fare altrettanto.

 

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All'interno di una grotta volsi lo sguardo sul mio operatore e scoprii che tremava in tutto il corpo. Si accorse che lo guardavo: "Non è niente, capitano," spiegò. "Ogni tanto mi succede, ma passa sempre. Non si preoccupi, capitano. Tra un secondo starò bene."

 

Ma il tremito non cessava. Dopo un po’ ci fu una tregua nel bombardamento e guardammo fuori. Tanto gli americani che i tedeschi avevano alzato il tiro sulla campagna circostante.

 

Sentivo che dovevo fare qualcosa per il mio cameraman, per cui disi: "Venga sergente, facciamo una ripresa fuori. "Uscimmo all'aperto e gli feci fare una panoramica. Tremava ancora, così gliela feci ripetere.

 

Questa volta andò molto meglio. Quindi gliela feci fare una terza volta e lui stette saldo come una roccia: un'intera panoramica a trecentosessanta gradi di un unico cerchio di fuoco d'artiglieria.

 

SECONDA GUERRA MONDIALE - BORDELLO A NAPOLI

Nella grotta in cui ci eravamo rifugiati con alcuni degli abitanti del villaggio c'era una bambina di sette od otto anni che si sedette sulle mie ginocchia. Continuava a passarmi la mano sulle guance, accarezzandomi il viso. Il suo gesto mi stupì e in seguito lo spiegai con il fatto che non aveva mai visto un uomo sbarbato da quando era nata. C'erano soltanto vecchi nel villaggio e tutti avevano un po' di barba sulle guance.

 

Dopo un po’ vedemmo levarsi in alto del fumo e, guardando giù, potemmo scorgere i tedeschi che contrattaccavano sul fondovalle. Così capimmo che non se ne stavano ancora andando da lì ma che anzi era in atto un movimento di copertura.

 

Era ora che ce la filassimo da San Pietro: cosa che facemmo. Questa volta eravamo venuti in jeep, quasi sfiorando i tank fuori uso sulla strada, e tornammo per la stessa strada, con la coda fra le gambe. Eric e io eravamo su una jeep, guidata da un tenente.

 

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La troupe ci aveva preceduto ed era fuori di vista. Mentre superavamo i tank, notammo una macchina del comando - una delle nostre - venire verso di noi. D'improvviso la macchina si fermò e restò lì, bene in vista, a una cinquantina di metri di distanza. Sapevamo che la strada era sotto la diretta osservazione del nemico e urlammo di muoversi. Un momento dopo l'auto del comando - che era piena di uomini - fu colpita in pieno da un proiettile calibro 88. Si disintegrò. Quando arrivammo alla sua altezza non ce n'era più traccia. Si era semplicemente disintegrata.

 

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Continuammo giù per la strada e arrivammo a un ponte di ferro consistente in due travi che attraversavano un burrone. Le travi erano spaziate in modo da adattarsi facilmente all'interasse delle ruote dei carri, ma l'interasse della jeep, più stretto, faceva sì che gli pneumatici incontrassero i bordi interni rialzati delle travi da tutte e due le parti. Il tenente che guidava la jeep portò una ruota su questo bordo rialzato: il mezzo si bloccò.

 

"Cristo, tenente! - dissi. - Non ha visto che è successo a quell'auto del comando? Ci tolga di qui, dannazione!"

 

Il tenente mi si rivolse dicendo: "Non le andrebbe di guidare lei, capitano?". A questo punto Eric Ambler si rivolse al conducente con tono casuale e misurato: "Sul serio, tenente... la posizione è estremamente precaria. Dovremmo toglierci da questo ponte il più rapidamente possibile."

 

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La jeep continuava a non muoversi e io sentivo che ci sarebbe toccata. I tedeschi avevano la strada inquadrata nel mirino così precisamente che potevano colpire una moneta, e mi sembrava che avessero molto più tempo per prenderci di quanto ne avessero avuto con l'auto del comando. Finalmente il tenente riuscì a rimettere in moto la macchina, superammo una curva e uscimmo di vista. Perdonai al mio cameraman di essersi fatto prendere dai tremori nella grotta.

 

Eric Ambler era uno degli uomini più calmi che abbia mai visto in battaglia. Insonciant è il termine giusto per lui. Quando si cominciava a ballare sotto un fuoco di fila d'artiglieria mi guardavo intorno e vedevo Eric che si spolverava uno stivale.

 

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A parte il fatto che russava, era un buon compagno da avere al proprio fianco. Il 17 dicembre i tedeschi sgomberarono una volta per tutte la zona di San Pietro e il villaggio fu nostro. Quando tornammo cercai, e infine trovai, la bambina della grotta. Avevo creduto che fosse un'orfana e avevo preso in considerazione l'idea di adottarla. Fui felice nell'apprendere che mi ero sbagliato.

 

Quando la ritrovai era sana e salva con i suoi genitori, Che accoglienza ci fece la gente di San Pietro! Intere torme di formaggio e bottiglie di vino comparvero Dio sa da dove, perché il villaggio era stato saccheggiato dai tedeschi. Guardando le macerie intorno a me, non potei non stupirmi che gli abitanti potessero trovare qualche cosa da festeggiare. Ma gli italiani hanno una innata gaiezza e la capacità di ridere su se stessi nei momenti neri.

Napoli 1943

 

 

 

Ricordo una volta, dopo avere preso Mignano, che giravo per le strette strade del paese. I bambini avevano già imparato il linguaggio raffinato delle nostre truppe e correvano di fianco alla jeep urlando: "Fuck the Germans!" Il nostro autista, che aveva un pronto senso dell'umorismo, disse: "Fuck the Americans!"

 

I bambini non potevano credere che dicessimo questo di noi stessi. Sembravano sconcertati e fecero: "No, no! Fuck the Germans!" E l'autista di rimando: "No! Fuck the Americans!" A questo punto uno dei bambini capì lo scherzo. Fece un sogghigno e disse: "Fuck the Italians!" e tutti scoppiarono a ridere.

(continua.1)

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