ARIDATECE GHEDDAFI! - DUE ANNI DOPO LA MORTE DEL RAÌS, LA LIBIA È UNA POLVERIERA IN MANO AI MILIZIANI CHE HANNO IMPOSTO LO STOP ALLA PRODUZIONE DI PETROLIO

Nancy Porsia per "Il Fatto Quotidiano"

Il 20 ottobre 2011 Muammar Gheddafi veniva ucciso a Sirte dai combattenti rivoluzionari in un'operazione congiunta con la Nato. Quando il corpo dell'ex raìs, martoriato, giaceva nel mercato delle verdure di Misurata dove venne esposto per circa una settimana, la Nato dichiarò che l'operazione di supporto alle forze rivoluzionarie era terminata. E il 23 ottobre 2011, il governo di transizione celebrava la Dichiarazione di Liberazione.

La Piazza Verde di Tripoli, ribattezzata Piazza dei Martiri, pullulava di speranza. Un combattente diceva "Sappiamo che americani, francesi, britannici e italiani non sono venuti qui per nulla. Puntano al nostro petrolio". Poi serafico aggiungeva "Che si prendano la loro percentuale! Se la sono meritata. Qui ce n'è per tutti!".

Ma a due anni da quel giorno, gli umori in strada e nei palazzi sono cambiati. Il Paese è un pantano dove sguazzano milizie di ogni colore e sigla; e il governo non è in grado di assorbire sotto il suo controllo tutti i gruppi armati. I circa 220 mila uomini che la Libia vanta di avere a disposizione per la sicurezza e che presto verranno addestrati da Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna e Turchia, sono miliziani a pieno titolo seppure al libro paga del governo.

I salafiti la fanno da padrone nella regione orientale della Cirenaica, dove le forze di sicurezza del Libya Shield, formato da ex gruppi rivoluzionari al libro paga del ministero della Difesa, si sono praticamente ritirate per cedere il posto agli uomini della milizia islamista di Ansar Al Sharia. Solo le milizie del movimento federalista rappresentano a Bengasi, capitale della Cirenaica e culla della rivoluzione del 2011, un'alternativa ai miliziani del gruppo salafita affiliato ad al Qaeda.

Anche a Ovest, in Tripolitania, gruppi di potere della Fratellanza musulmana insieme con gruppi salafiti si sono insediati nei fortini della Rivoluzione. Misurata, città passata alla storia della Rivoluzione per la strenua resistenza opposta al regime, pare sotto controllo delle forze armate fondamentaliste. A Sirte, città natale di Gheddafi, si contano anche migliaia di uomini schierati tra le forze salafite. Tra le città forti della Libia, solo Zintan resta a oggi libera dai tentacoli dei "sunna", come chiamano qui i fondamentalisti islamici.

Anche la catena di produzione petrolifera è allo stremo. Le milizie hanno imposto lo sciopero ai lavoratori negli impianti di estrazione, nelle raffinerie e nei terminal sulla costa. A Ovest, miliziani dei gruppi etnici di minoranza libici, berberi, tuareg, chiedono il riconoscimento nella Costituzione, mentre a Est i federalisti della Cirenaica tengono gli impianti sotto scacco.

IL PREMIER ALI ZEIDAN lo ha detto, ancora in pigiama, dopo il suo rapimento-lampo il 10 ottobre: "Vogliamo costruire uno Stato con un esercito, ma ci sono delle forze politiche che ostacolano questo processo". Alcuni uomini lo avevano sequestrato per costringerlo alle dimissioni, in accordo con pezzi del Parlamento. E ciò ha sancito il suo definitivo isolamento politico.

Molti analisti hanno suggerito una connessione tra il raid delle forze speciali statunitensi che, il 5 ottobre, hanno portato alla cattura a Tripoli di un presunto membro di al Qaeda, Nazih Abdul-Hamed al-Ruqai, alias Al-LibiAbu Anas Al Libi, e il sequestro del primo ministro avvenuto circa una settimana dopo. Tuttavia in tanti oggi affermano "Il sequestro di Zeidan non ha relazione con la cattura di Al Libi. Al Qaeda si vendicherà certo. E allora le conseguenze saranno ben peggiori e spettacolari".

2. CONTI IN SOSPESO - "I 150 MILIARDI DEL RAÃŒS NELLE MANI DEGLI EX AMICI"
M.D. per "Il Fatto Quotidiano"

Ogni regime, dittatura o democrazia, ha come parte non emersa una grande quantità di beni materiali, oro, petrolio, valute, diamanti, opere d'arte, che soggiacciono nei loro flussi clandestini alle famose ideologie", ha detto tempo fa Marc Ferro, direttore della rivista Les Annales.

Incontrando in un albergo romano un emissario del governo libico, mi sono ricordato di quella frase. "Nelle anticamere di ogni guerra, la ragione di Stato si coniuga spesso con gli interessi finanziari", così esordisce il mio interlocutore, sorseggiando un bloody mary. "In Libia come altrove abbiamo cercato e in parte trovato dei veri tesori. Ora tocca all'estero. Si tratta di un patrimonio che stimiamo in 150 miliardi di dollari.

Grazie a una rendita petrolifera che portava a 70 miliardi di dollari all'anno, la Libia di Gheddafi ha così ammassato una fortuna colossale e ha investito cifre rilevanti ovunque nel pianeta. Quando la guerra contro Gheddafi è scoppiata, la Libia era un paese molto ricco, non nel disastro in cui ci troviamo oggi. Pensi che siamo costretti a importare il petrolio e quasi dovunque manca la luce elettrica".

Dominique Strauss-Kahn, allora presidente del Fondo Monetario Internazionale, trasmise a Gheddafi un comunicato che sanciva la sua eccellente gestione economica e finanziaria, visto che ogni dinaro libico aveva un valore equivalente di parità con l'oro. Prima della fine di Gheddafi l'Fmi guidato da Strauss-Kahn spingeva per una diffusione dell'euro come moneta della transazione nel mercato petrolifero al posto del dollaro.

"Quasi tutti i paesi del mondo, hanno sotto differenti forme di investimento della liquidità libica, che ha sostenuto e sostiene, spesso le economie e le banche, altrimenti traballanti. Inoltre non mancano partecipazioni finanziarie a gruppi petroliferi, imprese di costruzioni e industrie manifatturiere".

L'interlocutore ricorda poi quando Saif al-Islam Gheddafi dichiarò a Euronews: "Innanzitutto bisogna che Sarkozy renda i soldi che ha accettato a suo tempo dalla Libia per finanziare la sua campagna elettorale". Si era ai tempi dei primi colpi lanciati dai francesi con inaspettata solerzia contro le truppe di Gheddafi che avanzavano su Bengasi, il figlio non prevedeva certo che sarebbe stato con l'aiuto francese che sarebbe stato messo a tacere suo padre qualche mese dopo, con il brutale assassinio.

"Ma la Francia si è privata non a caso di un testimone fondamentale", spiega il libico, che approfondisce: "Il vecchio primo ministro di Gheddafi, Mahmoudi Baghdadi, è stato arrestato in Tunisia, a settembre del 2011 ed ha affermato alla Corte di Tunisi di aver supervisionato il dossier del finanziamento della campagna di Sarkozy. Dopo di che, è stato estradato in Libia ed è incarcerato in una prigione di massima sicurezza e molto probabilmente sarà condannato a morte. Così i francesi avranno chiuso indirettamente un'altra bocca".

Per quanto riguarda l'Italia, in particolare, voce in capitolo ce l'hanno indubbiamente le ricercatrici francesi Leslie Va-renne e Roumiana Ougartchinska, che stanno investigando sul ruolo avuto nella caduta del raìs.

 

 

gheddafi napolitano sarko gheddafi MUAMMAR EL GHEDDAFI E SILVIO BERLUSCONI DOMINIQUE STRAUSS KAHN INTERVISTATO DALLA CNN DOMINIQUE STRAUSS KAHN SAIF AL ISLAM - SECONDOGENITO DI GHEDDAFI - CATTURATO DAI RIBELLISARKO GHEDDAFI GHEDDAFI International Society for Human Rights muammar

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