
“BIBI” HORROR SHOW – DAVANTI ALL'ASSEMBLEA GENERALE DELL'ONU RIMASTA QUASI VUOTA PER PROTESTA, UN NETANYAHU SENZA PIÙ FRENI HA LANCIATO UN ANATEMA CONTRO I PAESI CHE HANNO RICONOSCIUTO LO STATO PALESTINESE: “LA VOSTRA VERGOGNOSA DECISIONE INCORAGGERÀ IL TERRORISMO CONTRO GLI EBREI”. HA NEGATO LE ACCUSE DI GENOCIDIO NELLA STRISCIA DI GAZA: “I MILITARI ISRAELIANI INVIANO MILIONI DI VOLANTINI PER AVVISARE LA POPOLAZIONE CIVILE, È HAMAS CHE LA TIENE PRIGIONIERA”. E HA FATTO SAPERE CHE NON INTENDE INTERROMPERE IL MASSACRO: “FINIREMO IL LAVORO” – L’AMBASCIATORE ETTORE SEQUI: “MOLTA RETORICA SIMBOLICA E SCARSA SOSTANZA GEOPOLITICA NEL DISCORSO DI NETANYAHU, CHE NON HA SCIOLTO DUE NODI CRUCIALI: COME REAGIRÀ CONCRETAMENTE ISRAELE AI NUOVI RICONOSCIMENTI DELLO STATO PALESTINESE E QUALE POSIZIONE PRENDERÀ SUL PIANO AMERICANO PER GAZA...”
NETANYAHU GELA L'ONU "FINIREMO IL LAVORO"
Estratto dell’articolo di Paolo Mastrolilli per “la Repubblica”
NETANYAHU ALLE NAZIONI UNITE - 5
La vostra vergognosa decisione incoraggerà il terrorismo contro gli ebrei e le persone innocenti ovunque». Davanti a un'Assemblea Generale dell'Onu rimasta quasi vuota, il premier israeliano Netanyahu ha scelto di lanciare questo anatema contro i Paesi occidentali che lunedì hanno annunciato di riconoscere lo Stato della Palestina, oltre a ribadire la necessità di «completare il lavoro» per debellare Hamas e tutti gli altri nemici, e negare che a Gaza siano in corso una carestia, o peggio ancora un genocidio.
[…] Quando è entrato nell'aula, quasi tutte le delegazioni sono uscite, ma anche Usa e Gran Bretagna hanno lasciato rappresentanti diplomatici di livello minore. Fuori, davanti al suo albergo e a Times Square, lo avevano accolto le proteste.
BENJAMIN NETANYAHU - ASSEMBLEA ONU - CARTELLO QUIZ
Tutto questo però non ha frenato Netanyahu, anzi forse lo ha motivato: il riconoscimento della Palestina, ha rinfacciato a chi lo ha deciso, «dimostra che uccidere gli ebrei paga». Mostrando un grafico della regione intitolato "The Curse", la maledizione, ha elencato i nemici che sta combattendo e sconfiggendo: Hamas, Hezbollah, l'Iran, gli Houthi.
Tutti conflitti in cui, secondo le parole del cancelliere tedesco Merz che Netanyahu ha scelto di citare, «Israele sta facendo il lavoro sporco per tutti noi». Ma ha anche dovuto difendersi dall'opposizione degli alleati, che ha accusato apertamente: «Quando il gioco si è fatto duro, vi siete piegati».
ALTOPARLANTI NELLA STRISCIA DI GAZA TRASMETTONO INTERVENTO ALL ONU DI NETANYAHU
Salito sul palco, il premier israeliano ha ricordato le atrocità dell'attacco del 7 ottobre, perché «combattiamo per questo e per questo dobbiamo vincere». Quindi ha letto i nomi dei prigionieri ancora nelle mani di Hamas e si è rivolto a loro direttamente: «Voglio parlare agli ostaggi.
Ho fatto piazzare altoparlanti intorno a Gaza, così sentiranno il mio messaggio: non vi abbiamo dimenticato, neanche per un minuto. Non riposeremo finché non vi avremo riportati a casa». Perciò ha aggiunto che Israele «non ha ancora finito il lavoro, ma deve completarlo il più velocemente possibile. Ci sono ancora resti di Hamas a Gaza City».
DELEGAZIONI LASCIANO ASSEMBLEA GENERALE QUANDO PARLA NETANYAHU - 1
Ha negato le accuse di genocidio, perché i militari israeliani inviano «milioni di volantini per avvisare la popolazione civile e sollecitarla a mettersi al sicuro, è Hamas che la tiene prigioniera». Stesso discorso per la fame: «Noi distribuiamo il cibo. Se manca è perché Hamas lo ruba».
Quindi ha riposto a chi ha riconosciuto la Palestina, dicendo che la sua creazione sarebbe «un suicidio nazionale» per Israele e un premio per Hamas, «pura follia». Perciò ha avvertito: «Israele non vi permetterà di imporci uno Stato terrorista. Non commetteremo un suicidio nazionale perché voi non avete il coraggio di affrontare i media ostili e le folle antisemite che chiedono il sangue di Israele». […]
donald trump benjamin netanyahu
Per Netanyahu Anche Mahmoud Abbas e l'Autorità Palestinese sono «corrotti fino al midollo». E gli stessi palestinesi «non credono ai due Stati. Non ne vogliono uno vicino a Israele, ma al suo posto». Quindi ha ripetuto che l'offensiva potrebbe finire subito, se Hamas accettasse le sue condizioni: «Deponete le armi e finirà la guerra».
Lunedì Trump lo aspetta alla Casa Bianca, e ieri ha ripetuto: «Siamo molto vicini ad un accordo a Gaza, che libererà gli ostaggi e porterà la pace».
LE TRE CREPE NEL DISCORSO DI UN NETANYAHU SENZA FRENI
Estratto dell’articolo di Ettore Sequi per “La Stampa”
benjamin netanyahu - assemblea generale onu
Il discorso di Benjamin Netanyahu all'Onu ha rilanciato un messaggio di forza e sfida, con molta retorica simbolica e scarsa sostanza geopolitica. La sala che si svuota, la mappa sul podio, gli altoparlanti a Gaza e la lettura dei nomi degli ostaggi hanno costruito l'immagine di un Paese assediato su sette fronti, deciso a «finire il lavoro».
Il messaggio era triplice: rassicurare l'interno, intimidire i rivali regionali e ribadire l'opposizione alla comunità internazionale, parlando al tempo stesso ai Paesi del Golfo.
Rivolgendosi alla platea interna Netanyahu ha unito fermezza e memoria: promessa di distruggere Hamas, ultimatum esplicito e nomi degli ostaggi per tenere insieme una società divisa. Eppure, il binomio ostaggi-vittoria resta la sua vulnerabilità: ogni incidente può erodere il consenso più di qualsiasi pressione esterna.
benjamin netanyahu e donald trump nello studio ovale
Agli avversari regionali ha ricordato la capacità di colpire ovunque (Hamas, Hezbollah, Houthi, comandanti iraniani). A Beirut ha chiesto il disarmo di Hezbollah e ha lasciato intendere la possibile conclusione di un'intesa con la Siria, evocando un ordine regionale centrato sul contenimento dell'Iran. Ai Paesi del Golfo ha ribadito forza e volontà di rapporti stabili nel solco degli Accordi di Abramo.
Alla comunità internazionale Netanyahu ha opposto una sfida. Ha definito «marchio d'infamia» il riconoscimento della Palestina, accusando oltre 150 Paesi di premiare il terrorismo. Ha respinto come «menzogne antisemite» le accuse di genocidio, sostenendo che per Israele ogni vittima civile è una tragedia e per Hamas una strategia.
Ha anche attaccato i leader «deboli» che, secondo lui, hanno «ceduto» e «vacillato» di fronte alla crescente indignazione internazionale verso Israele. È un linguaggio roboante, che congela i compromessi ma rischia di rafforzare, per reazione, la spinta al riconoscimento dello Stato palestinese.
Il discorso di Netanyahu mostra tre crepe strategiche. Primo, la fragilità interna: la questione degli ostaggi può ribaltare il consenso e minare la leadership più di qualsiasi condanna esterna. Secondo, il fronte legale e umanitario.
Senza prove di proporzionalità, tutela dei civili e gestione credibile degli aiuti, Israele rischia isolamento e restrizioni; l'emergenza a Gaza può alimentare nuovo fondamentalismo e terrorismo globale. Terzo, la faglia transatlantica: se Israele spinge verso l'annessione, si scontra con Washington, che ha già fatto sapere di non accettarla.
netanyahu alle nazioni unite 6
[...] A questo punto diventa cruciale il suo incontro di lunedì con Trump. Il presidente americano vuole infatti presentarsi come architetto di un piano per Gaza che preveda un comitato palestinese sotto supervisione internazionale e una possibile «autorità transitoria» alla cui guida ambirebbe Tony Blair.
Il progetto escluderebbe sfollamenti forzati da Gaza e marginalizzerebbe Hamas. Per non irritare Washington, Netanyahu ha evitato di parlare di annessione della Cisgiordania, pur scontentando i falchi della coalizione. Dopo il raid a Doha, si apre anche una finestra per una mediazione turca sugli ostaggi: Ankara, forte di canali diretti con Hamas, può risultare un interlocutore efficace (Trump ha visto due giorni fa Erdogan).
Il discorso di Netanyahu non ha quindi sciolto due nodi cruciali: come reagirà concretamente Israele ai nuovi riconoscimenti dello Stato palestinese e quale posizione prenderà sul piano americano per Gaza. Netanyahu ha legato la strategia di Israele alla protezione americana, elogiando Trump come alleato imprescindibile.
donald trump benjamin netanyahu foto lapresse2
Ma questa scelta lo espone a una duplice pressione: il riconoscimento internazionale della Palestina, senza garanzie di sicurezza, e la spinta interna all'annessione, che rischia di metterlo contro Washington.
Netanyahu sa che la sua forza militare non basta a trasformare una vittoria tattica in stabilità strategica. Sa che l'alleanza americana è essenziale, ma non illimitata. E sa che la comunità internazionale sta costruendo, passo dopo passo, un nuovo equilibrio che potrebbe ridurre il margine di manovra israeliano.
Lunedì, davanti a Trump, Netanyahu dovrà dimostrare di saper aprire un corridoio stretto ma vitale: quello che separa la vittoria tattica dall'isolamento strategico. Nella geopolitica del Medio Oriente, ciò che conta non è solo chi vince una battaglia, ma chi riesce a trasformarla in ordine.
benjamin netanyahu nella striscia di gaza
E oggi, per Israele, questa è la sfida più difficile. Netanyahu brandisce Gaza come teatro di forza, ma ogni nuova distruzione avvicina Israele all'isolamento e all'erosione della sua stessa sicurezza. La sua guerra può «finire il lavoro» militare, ma rischia di aprire ferite politiche e morali che nessuna vittoria saprà chiudere.