donald trump giuseppe conte

COSE MAI VISTE: BELPIETRO E MOLINARI DEDICANO DUE EDITORIALI MOLTO SIMILI AL CASO CONTE-TRUMP - IL DIRETTORE DE ''LA STAMPA'', GIÀ CORRISPONDENTE A WASHINGTON, AVVERTE IL PREMIER: ''È FINITO NELLA MORSA DELLA CASA BIANCA, SIA GLI INTERESSI NAZIONALI AMERICANI CHE QUELLI PERSONALI DI UN PRESIDENTE CHE VUOLE RIVINCERE, PASSANO PER CONTE'' - ''LA VERITÀ'': ''HANNO APERTO UN' INCHIESTA PENALE E TRUMP INTENDE CAVALCARLA. USCIRANNO PROVE E TESTIMONIANZE E QUALCUNO POTRÀ ESSERE INTERROGATO. MEGLIO CHE CONTE VUOTI IL SACCO''

 

 

1. CONTE NELLA MORSA DI TRUMP

Maurizio Molinari per ''la Stampa''

 

Il rapporto politico fra Donald Trump e Giuseppe Conte è al centro di un intreccio fra diplomazia, intelligence e campagna elettorale Usa che riflette le diverse anime dell' amministrazione americana come anche la dura battaglia politica in corso a Washington sullo scenario dell' impeachment.

 

trump conte

Sul fronte della diplomazia la Casa Bianca ha assistito con sollievo alla nascita del Conte bis per la simultanea uscita dal governo di Matteo Salvini, leader della Lega, considerato troppo vicino alla Russia "rivale strategico". Inoltre Conte, passato dalla casacca gialloverde a quella giallorossa, si è affrettato a recapitare a Washington molteplici rassicurazioni: dal numero degli F35 che entreranno in servizio al mantenimento delle truppe in Afghanistan, dal sostegno alle sanzioni alla Russia contro l' annessione della Crimea all' approvazione del "golden power" sul cyber per proteggere la rete delle telecomunicazioni strategiche - incluso il 5G - dal rischio di commesse, e interferenze, della Cina "rivale globale".

 

maurizio molinari premio e' giornalismo 2018

Ciò significa che per Dipartimento di Stato e Pentagono l' Italia del Conte bis, con il Pd al posto della Lega, ha riacquistato credibilità e stabilità, pur nella presenza di questioni pendenti - come i voli della compagnia aerea dei pasdaran iraniani Mahan Air su Roma e Milano - e di perduranti posizioni pro cinesi dentro i Cinquestestelle, il partito che esprime il ministro degli Esteri Di Maio.

 

Ma Trump non è solo il capo dell' amministrazione che esprime Dipartimento di Stato e Pentagono: è anche il presidente che punta alla rielezione nel novembre 2020 ed è in questo momento minacciato da una possibile richiesta di impeachment da parte dell' opposizione democratica al Congresso di Washington per la sua richiesta di "favori politici" al nuovo leader ucraino Volodymir Zelensky.

 

A poco più di dodici mesi dall'"Election Day", Trump punta a respingere questo assalto con una strategia che verte sulla delegittimazione della leadership democratica. Da qui il valore politico dell' inchiesta che il procuratore John Henry Durham sta svolgendo, da maggio, su incarico del ministro della Giustizia William Barr per appurare se l' indagine sul "Russiagate" in precedenza svolta dall' ex capo dell' Fbi Robert Mueller sia stata "legale e corretta".

 

GIUSEPPE CONTE E DONALD TRUMP

Ovvero, se Mueller ha indagato su presunte interferenze russe a favore di Trump nella campagna presidenziale del 2016 ora Durham sta indagando su presunte interferenze democratiche nel 2016 sull' operato dell' intelligence Usa per accusare Trump di legami illeciti con Mosca.

 

Fra le tracce che Durham sta seguendo ci sono le ipotesi di coinvolgimenti di Italia e Gran Bretagna attraverso agenti Usa nel 2016 - quando alla Casa Bianca c' era Barack Obama - e per questo Barr ha chiesto di vedere a metà agosto a Roma i vertici della nostra intelligence, tornando poi il mese seguente con Durham per appurare in particolare cosa avevano trovato a carico di Joseph Mifsud, il professore maltese all' origine delle prime notizie sul "Russiagate" ovvero i blitz degli hacker russi contro le email di Hillary Clinton. Poiché Mifsud è scomparso in Italia Durham ha chiesto ai nostri 007 - e agli inglesi - di trovarlo perché vuole interrogarlo: è il teste a cui tiene di più.

 

JOHN DURHAM

La recente trasformazione del lavoro di Durham in "indagine criminale" significa che avrà più poteri per ottenere la collaborazione di cittadini americani e dunque, la caccia a Mifsud diventerà più incisiva al fine di consentire a Trump di avere maggiori munizioni nella dura battaglia contro i democratici di Nancy Pelosi.

 

Da qui il doppio approccio di Trump a Conte: se il presidente-Trump lo considera un alleato ritrovato in Europa nella sfida strategica a Russia e Cina, per il candidato-Trump è soprattutto il leader straniero che può consegnargli Mifsud e dunque - forse - le prove per inchiodare i democratici e spianargli la strada verso la rielezione.

 

È un binario parallelo che si origina dalla Casa Bianca ma in direzioni diverse: da un lato ci sono gli interessi nazionali degli Stati Uniti e dall' altro quelli di un presidente che vuole vincere nel novembre 2020. Ma entrambi i binari passano per Giuseppe Conte, il presidente del Consiglio italiano, creando una situazione senza precedenti nei rapporti di solida alleanza con gli Stati Uniti.

 

 

2. CONTE VUOTI IL SACCO PRIMA CHE LO FACCIA TRUMP

Maurizio Belpietro per ''la Verità''

 

WILLIAM BARR JOHN DURHAM

Guai grossi in arrivo per Giuseppi. La saponetta di Palazzo Chigi nei prossimi giorni dovrà fronteggiare non solo il risultato elettorale dell' Umbria, che a dar retta alle voci che arrivano da Perugia rischia di trasformarsi in un pesante macigno sulla strada del governo, ma anche l' inchiesta penale aperta negli Stati Uniti per le ingerenze straniere nel caso Russiagate. Ne abbiamo scritto anche nei giorni scorsi, raccontando gli sviluppi di una faccenda dai risvolti oscuri.

 

In pratica, ai tempi della presidenza di Barack Obama, qualcuno all' interno dell' amministrazione americana si sarebbe dato da fare per inquinare i pozzi e far perdere Donald Trump.

 

Pezzi dell' intelligence Usa, pur di scongiurare la vittoria del puzzone repubblicano, avrebbero fatto carte false a favore di Hillary Clinton, la favorita dell' establishment. Fin qui la questione potrebbe anche non riguardarci ed essere di esclusiva competenza degli Stati Uniti. Peccato che la storia si intersechi con i fatti di casa nostra, in quanto le operazioni di inquinamento della campagna elettorale americana sarebbero avvenute nel 2016 e avrebbero avuto per teatro anche il nostro Paese. Agenti doppiogiochisti si sarebbero cioè dati da fare per rifilare all' entourage di Trump qualche polpetta avvelenata, così da poter sostenere che il candidato repubblicano fosse in combutta con i russi.

 

LA VERITA BELPIETRO

Anzi, che la sua campagna elettorale fosse sostenuta da Mosca.

Il risultato dell' operazione sono stati quasi tre anni di indagini a carico di Trump il quale, prima ancora di mettere piede alla Casa Bianca, è stato dipinto come un burattino nelle mani di Vladimir Putin. La strategia della confusione puntava ovviamente a un finale clamoroso, ovvero a una messa in stato d' accusa dello stesso Trump, costretto a dimettersi prima della scadenza del mandato.

 

Le cose però non sono andate come qualcuno si augurava e dunque, passati tre anni a tramare per ottenere l' impeachment, i democratici si sono dovuti rassegnare all' evidenza di un' indagine che non aveva carte per sostenere l' accusa. Qualsiasi altro a questo punto avrebbe gettato la spugna, ma non la sinistra americana, che detesta il presidente. Infatti, da qualche settimana, avendo fallito su un fronte i democratici ne hanno aperto un altro, chiedendo di incriminare The Donald per le pressioni esercitate sull' Ucraina al fine di scoprire i segreti dell' ex vicepresidente di Obama.

 

JOSEPH MIFSUD 1

A quanto pare, Trump questa volta non ha deciso di stare con le mani in mano di fronte all' ennesimo tentativo di farlo fuori, ma ha reagito, avviando una macchina che rischia di travolgere anche qualche passante italiano, come appunto Giuseppi. Ci spieghiamo. Un pezzo dell' operazione contro il presidente degli Stati Uniti sarebbe passato da Roma, perché la capitale è un posto che da sempre è frequentato da spioni e faccendieri internazionali. Dunque, all' ombra di una università privata, la Link campus, si sarebbe mosso un certo Joseph Mifsud, professore maltese dall' incerta specializzazione, ma dalla certa copertura esterovestita. Sarebbe lui l' uomo chiave della parte italiana della trappola anti Trump. E ora gli americani vogliono trovarlo e ne vogliono scoprire i legami. E qui veniamo a noi e a Conte.

 

Quando Trump decide di passare all' attacco, spedisce i suoi uomini a Roma, pretendendo la più ampia collaborazione dei servizi segreti italiani per scovare Mifsud, i suoi contatti e gli eventuali aiuti ricevuti dalle istituzioni del nostro Paese.

 

In quei giorni però la poltrona di Giuseppi traballa, perché Salvini s' è stancato di reggere il moccolo a una maggioranza che non decide. Dunque, Conte rischia di tornare a fare quel che faceva prima, ovvero il semplice docente universitario. Il nostro presidente, che dice di non essere un uomo per tutte le stagioni, ma invece è molto più stagionale di quel che sembrerebbe, nelle settimane il cui il suo posto vacilla s' inchina alla richiesta Usa e mette i nostri 007 al servizio del ministro della giustizia americana.

 

giuseppe conte gennaro vecchione

Una mossa inusuale che Giuseppi, forte della sua delega sui servizi segreti, decide da solo, senza parlarne con nessuno. Che cosa si dicono i nostri 007 e gli uomini di Trump? Che cosa consegnano agli emissari del presidente a caccia di riconferma? Niente, dice Conte al Copasir. Ma Barr e Durham, venuti apposta da Washington in due occasioni, a quanto pare dicono il contrario e raccontano di aver raccolto in Italia elementi importanti. Quali? Hanno a che fare con il nostro governo? Quello attuale o quelli passati?

 

La faccenda insomma rischia di complicarsi, non solo per le risposte evasive di Giuseppi, ma perché negli Usa hanno aperto un' inchiesta penale e Trump intende cavalcarla. Dunque usciranno prove e testimonianze e qualcuno potrà essere interrogato dagli uomini del procuratore americano. Una grana grossa, che sommata a quelle che in Italia Conte ha con la sua maggioranza, rischia di rendere molto accidentato il percorso del presidente del Consiglio. L' avvocato del popolo potrebbe presto trovarsi a fare l' avvocato di sé stesso.

 

 

Ultimi Dagoreport

sergio mattarella quirinale

DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È IMBUFALITO PER I ‘’COLPI DI FEZ’’ DEL GOVERNO MELONI. A FAR SOBBALZARE LA PRESSIONE ARTERIOSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SONO STATI I SUOI CONSIGLIERI QUIRINALIZI - QUANDO HA LETTO SUI GIORNALI IL SUO INTERVENTO A LATINA IN OCCASIONE DEL PRIMO MAGGIO, CON LA SEGUENTE FRASE: “TANTE FAMIGLIE NON REGGONO L'AUMENTO DEL COSTO DELLA VITA. SALARI INSUFFICIENTI SONO UNA GRANDE QUESTIONE PER L'ITALIA”, A SERGIONE È PARTITO L’EMBOLO, NON AVENDOLE MAI PRONUNCIATE – PER EVITARE L’ENNESIMO SCONTRO CON IL GOVERNO DUCIONI, MATTARELLA AVEVA SOSTITUITO AL VOLO ALCUNI PASSI. PECCATO CHE IL TESTO DELL’INTERVENTO DIFFUSO ALLA STAMPA NON FOSSE STATO CORRETTO DALLO STAFF DEL COLLE, COMPOSTO DA CONSIGLIERI TUTTI DI AREA DEM CHE NON RICORDANO PIU’ L’IRA DI MATTARELLA PER LA LINEA POLITICA DI ELLY SCHLEIN… - VIDEO

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE AMERIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO

banca generali lovaglio francesco gaetano caltagirone philippe donnet alberto nagel milleri

DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL ANDRÀ IN PORTO (SBARAZZARSI DEL CONCUPITO “TESORETTO” DI MEDIOBANCA ACQUISENDO BANCA GENERALI DAL LEONE DI TRIESTE), L’82ENNE IMPRENDITORE ROMANO AVRÀ BUTTATO UN PACCO DI MILIARDI PER RESTARE SEMPRE FUORI DAL “FORZIERE D’ITALIA’’ - UN FALLIMENTO CHE SAREBBE PIÙ CLAMOROSO DEI PRECEDENTI PERCHÉ ESPLICITAMENTE SOSTENUTO DAL GOVERNO MELONI – A DONNET NON RESTAVA ALTRA VIA DI SALVEZZA: DARE UNA MANO A NAGEL (IL CEO DI GENERALI SBARRÒ I TENTATIVI DI MEDIOBANCA DI ACQUISIRE LA BANCA CONTROLLATA DALLA COMPAGNIA ASSICURATIVA) - PER SVUOTARE MEDIOBANCA SOTTO OPS DI MPS DEL "TESORETTO" DI GENERALI, VA BYPASSATA LA ‘’PASSIVITY RULE’’ CONVOCANDO  UN’ASSEMBLEA STRAORDINARIA CHE RICHIEDE UNA MAGGIORANZA DEL 51% DEI PRESENTI....