DAGOREPORT – DONALD TRUMP È OSSESSIONATO DAL NOBEL PER LA PACE: LE BOMBE DI NETANYAHU SU GAZA E I MISSILI DI PUTIN SULL’UCRAINA SONO GLI UNICI OSTACOLI CHE HA DI FRONTE – CON “BIBI” È STATO CHIARO: LA PAZIENZA STA FINENDO, LA TREGUA NON SI PUÒ ROMPERE E NON CI SONO PIANI B, COME HA RICORDATO AL PREMIER ISRAELIANO MARCO RUBIO (IN GRANDE ASCESA ALLA CASA BIANCA A DANNO DI VANCE) – DOMANI L’ACCORDO CON XI JINPING SU DAZI, TIKTOK, SOIA E NVIDIA (E STI CAZZI DI TAIWAN). IL PRESIDENTE CINESE SI CONVINCERÀ ANCHE A FARE PRESSIONE SUL SUO BURATTINO PUTIN? SE NON LO FARÀ LUI, CI PENSERÀ L’ECONOMIA RUSSA AL COLLASSO…
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VIGNETTA ELLEKAPPA - IL NOBEL PER LA PACE A TRUMP
Trump è ossessionato. Nella sua testolona platinata frulla solo un’immagine: la medaglia del Nobel per la Pace.
L’egomane di Mar-a-Lago (talmente esaltato che sta trasformando la Casa Bianca in una Versailles cafona) ci crede davvero: quando ieri la neo-premier giapponese, Sanae Takaichi, gli ha offerto il suo sostegno alla candidatura, ha gonfiato il petto come un tacchino e ha sorriso, gongolante. Il tycoon “pacificatore”, però, ha fatto i conti senza gli osti Netanyahu e Putin.
Ieri il premier israeliano ha ripreso a bombardare la Striscia di Gaza, dopo l’imboscata dei terroristi di Hamas ai soldati dell’Idf, a Rafah.
Pressato dai suoi alleati di ultra-destra, Ben Gvir e Smotrich, che gli chiedono di “finire il lavoro”, “Bibi” si sentite anche preso per il culo dai miliziani, che continuano a nicchiare sulla restituzione dei cadaveri degli ostaggi: consegnano i corpi sbagliati e ieri avrebbero persino messo in scena un finto ritrovamento.
Per questo, ha ordinato la ripresa dei bombardamenti, ammazzando un centinaio di persone in meno di 24 ore. I resoconti dei giornali dicono che abbia avvisato la Cia, ma non Donald Trump (ufficialmente, causa fuso: il presidente Usa è in Asia).
Un atteggiamento, quello di Netanyahu, che irrita ogni giorno di più gli Stati Uniti. La pazienza di Trump, che da mesi è ormai in rotta di collisione con il suo alleato a Tel Aviv, sta per finire: la tesi è che “Bibi” abbia già usato ogni suo credito con il raid in Qatar a settembre. Colpendo Doha, principale alleato degli Usa in Medio Oriente, Israele ha convinto Trump a rimetterlo al guinzaglio, e a siglare il cessate il fuoco con Hamas. Che dopo appena tre settimane lo metta in discussione, è inaccettabile per Washington.
marco rubio benjamin netanyahu
L’amministrazione Usa l’ha fatto capire in ogni modo al riottoso premier israeliano: nelle scorse settimane, sono stati spediti in Terra Santa tutti i vertici del Governo, in modalità “Bibi-Sitter”: prima i fautori dell’accordo, Steve Witkoff e Jared Kushner, poi il mastino “Hillbilly”, JD Vance, e infine il Segretario di Stato, Marco Rubio.
Inaspettatamente è toccato a Rubio indossare i panni del “poliziotto cattivo”, mentre il vicepresidente era stato piuttosto morbido, a dispetto della sua reputazione. Oggi però, Vance, che era in Israele mentre la Knesset ha votato la mozione per l'annessione della Cisgiordania, ha sbottato: "Mi sono sentito insultato dal voto".
Con decisione, ha ricordato a Netanyahu che “non ci sono piani B”, e di fronte alle lagne di “Bibi”, che a un certo punto ha minacciato di chiamare Trump, ha ostentato sicurezza: “Chiamalo, vediamo se hai le palle”, è il senso della risposta del figlio di esuli cubani.
donald trump - nobel per la pace - vignetta by osho
Rubio è in grande ascesa nell’ultimo periodo: isolato inizialmente dall’ala “Maga”, essendo un “falco” interventista, ha preso dimestichezza con il suo ruolo e ha fatto valere la sua esperienza.
Circondato da bambinoni viziati, ex anchorman e yesmen, per lui non è stato difficile ritagliarsi il ruolo di “adulto nella stanza”, alzando la voce quando non è d’accordo.
Nonostante molti media statunitensi riportino di un suo ruolo diretto nel tentativo di deporre Nicolas Maduro, si vocifera di un grosso scazzo con il Segretario della Guerra, Pete Hegseth, sui raid in Venezuela: Rubio, un latinoamericano di origini cubane, si è smarcato di fronte alle minacce di guerra su Caracas.
Poi c’è la guerra in Ucraina. Ci sono volute più umiliazioni, ma alfine Trump ha capito di essere stato portato per il naso per mesi da Putin. Per questo, ha deciso di affrontare il tema direttamente con il burattinaio di “Mad Vlad”: Xi Jinping.
Domani il tycoon incontrerà il presidente cinese a margine del vertice APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation): i due firmeranno un accordo già preparato nei minimi dettagli.
Le questioni sul tavolo sono sempre le solite: la fornitura di terre rare da Pechino (che ha il monopolio assoluto dei minerali critici), gli acquisti di soia americana da parte del regime cinese, e poi l’ok all’uso dei chip Nvidia per i colossi asiatici, e la vendita della divisione statunitense di TikTok. Per quanto riguarda i dazi, saranno ridimensionati, riportati attorno a percentuali ragionevoli.
IL TWEET DI BENJAMIN NETANYAHU - NOBEL PER LA PACE A DONALD TRUMP
Come riporta il “Wall Street Journal”, citato da Elena Dal Maso su “MF”, “Washington sarebbe pronta a tagliare del 50% i dazi del 20% imposti sulle esportazioni cinesi collegate al fentanyl, in cambio di un maggiore impegno di Pechino nel contrastare la produzione e l’export delle sostanze chimiche utilizzate per sintetizzare l’oppioide.
Trump ha inoltre accennato alla possibilità di affrontare con Xi la questione delle esportazioni di chip Nvidia Blackwell verso la Cina, mentre ha minimizzato l’ipotesi che Taiwan sia oggetto di discussione”. Sul futuro di Taipei, si confermerà l’approccio “ambiguo” degli Stati Uniti: i cinesi potranno continuare a reclamarla come cosa loro, e la questione è rimandata.
Il vero successo dell’incontro, però, dipende dal dossier Ucraina: Trump spera di uscire dal faccia a faccia con la sensazione, anche se vaga, che Xi Jinping intercederà su Putin, convincendolo a chiudere una volta per tutte il conflitto.
Anche se la Cina continuerà a rifornirsi sottobanco di petrolio russo, come ha sempre fatto, aggirando le fresche sanzioni Usa sui colossi Lukoil e Rosneft, l’economia di Mosca difficilmente potrà risollevarsi.
Come scrive Anna Zafesova sulla “Stampa”, “che le casse dello Stato russo stiano mostrando il fondo lo si capisce anche dalla decisione della Duma di aumentare al 22% l’Iva, nonostante il rischio già elevato di inflazione”.
Anche le istituzioni di regime non possono ignorare la realtà: “Il Comitato per la statistica russo ha reso noti i dati della crescita industriale a settembre: 0,3%, una riduzione di ben 20 volte rispetto al boom dell’anno scorso […]: 18 settori su 24 dell’industria di trasformazione – in altre parole, l’80% del made in Russia – mostrano un segno “meno”.
[…] Ma soprattutto a mostrare segni di improvviso rallentamento sono le fabbriche militari, che avevano trainato l’economia di guerra fino a pochi mesi fa. La produzione di “prodotti metallici”, eufemismo onnicomprensivo per l’industria bellica, a settembre è arrivata a meno 1,6%, dopo essere cresciuta di un terzo nel 2024, mentre quella degli “altri mezzi di trasporto” (cioè militari) è aumentata soltanto del 6%, e anche l’Uralvagonzavod, la fabbrica di vagoni ferroviari e carri armati particolarmente amata da Vladimir Putin, ora lavora soltanto quattro giorni su sette.
Vladimir Putin nella fabbrica di Uralvagonzavod
E per i dismessi dalle fabbriche non c’è più nemmeno l’opzione di guadagnare andando in Donbas: diverse regioni russe stanno riducendo drasticamente i premi per chi si arruola al fronte”.
Aggiungere a questo quadro la pressione di Xi, vero e unico “padrone” della Russia, e sembra arduo credere che Putin possa resistere ancora a lungo, prima di andare a Canossa da Trump e siglare una tregua che comunque lo avvantaggia: congelare la situazione com’è ora significherebbe consolidare la presa su quasi il 20% del paese occupato.
trump nobel per la pace vignetta ellekappa
vladimir putin e donald trump - anchorage alaska
DONALD TRUMP SBARCA DALL AIR FORCE ONE DOPO L INCONTRO CON PUTIN IN ALASKA



