
"LA RIFORMA DELLLA GIUSTIZIA E' INUTILE E DANNOSA" - NICOLA GRATTERI SMASCHERA IL PIANO DI NORDIO E DEL GOVERNO: "IL TIMORE SERIO È CHE IL PM DIVENTI LA LONGA MANUS DEL GOVERNO DI TURNO, COME NEGLI ALTRI PAESI DOVE C’È LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE. CON LA CONSEGUENZA CHE PERSEGUIRÀ SOLO REATI CHE GLI VENGONO INDICATI DALL’ESECUTIVO. CON BUONA PACE DELLA TUTELA DEI CITTADINI" - "LA RIFORMA NON INCIDE, INVECE, SUI PROBLEMI REALI, CIOE' SUI TEMPI DEL PROCESSO E LA QUALITA' DELLE DECISIONI..." (IL VERO SCOPO DELLA MELONI, ATTRAVERSO LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA, E' DAR VITA A DUE CSM, UNO DEI QUALI DESTINATO A FINIRE SOTTO IL TALLONE DI PALAZZO CHIGI)
Estratto dell’articolo di Virginia Piccolillo per il “Corriere della Sera”
Procuratore Nicola Gratteri il suo programma su La7, «Lezioni di Mafie», ha avuto un boom di ascolti. Se lo aspettava?
«No. Anche se lo speravo. Ma non è il mio programma. È un lavoro di squadra: della produttrice Alessandra Infascelli che ci ha creduto, di Paolo Di Giannantonio, del regista Lorenzo Scurati, di Gianluca Mauri, Mimmo Torrisi e del mio compagno d’infanzia Antonio Nicaso. È stato compreso il senso della nostra iniziativa».
Vale a dire?
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«Non è fare polemica sulle vicende politiche attuali, ma raccontare le mafie che, da oltre 150 anni, avvelenano il nostro Paese. Ci anima la passione civile che da trent’anni porta me e Nicaso nelle scuole a creare consapevolezza».
Perché le «Lezioni di Mafie» piacciono?
«Forse per la nostra semplicità. Voglio pensare sia stata apprezzata la nostra credibilità, il desiderio di condividere le conoscenze acquisite in oltre 30 anni di lavoro su un fenomeno che andrebbe studiato nelle scuole.
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Ricordo un bel documentario che io e Nicaso realizzammo per Raitre sulla ‘ndrangheta. Fu trasmesso tardi, senza promozione, come un riempitivo. Gli argomenti trattati sarebbero da servizio pubblico. In questo senso, La7 ha dimostrato molta più sensibilità».
[…] Di lezioni di mafia ha bisogno anche la politica?
«Non farei distinzioni: è un fenomeno che, per essere contrastato efficacemente, richiede il contributo di tutti, senza eccezioni. Il problema, però, è che ancora troppo pochi ne parlano, lasciando spazio a silenzi e ombre che favoriscono la sua persistenza».
Cosa servirebbe?
«Tante cose, a cominciare dalle scuole. Formare i formatori e promuovere una vera pedagogia dell’antimafia, come fa l’Università della Calabria, mostrando ai giovani la non convenienza a delinquere. Occorrono lavoro, diritti, servizi (in particolare sanitari) e opportunità. Ma soprattutto servono volontà e determinazione nel combatterla».
La riforma della giustizia in ciò è utile o dannosa?
«Per come è concepita, inutile e dannosa».
Perché?
«Inutile perché non incide sui reali problemi: i tempi del processo e la qualità delle decisioni. Non viene introdotta alcuna misura per eliminare inutili orpelli e mettere nelle condizioni i magistrati di analizzare i loro casi presto e bene. Dannosa perché fa perdere al pm la cultura della giurisdizione.
Lui è il dominus delle indagini preliminari, quindi deve comportarsi ragionando come un giudice, per evitare di cercare colpevoli a tutti i costi. Deve rimanere asettico rispetto al caso che ha in esame, senza preoccuparsi di chiedere l’archiviazione. Modificare la Costituzione per un non-problema è davvero inspiegabile».
C’è chi teme che aumenti i poteri del pm. Lei?
«Il timore serio è che il pm diventi la longa manus del governo di turno, come negli altri Paesi dove c’è la separazione delle carriere. Con la conseguenza che perseguirà solo reati che gli vengono indicati dall’esecutivo. Con buona pace della tutela dei cittadini».
Sono le mafie che attirano o chi le cattura?
«Il male è sempre stato più seducente del bene. Uno dei motivi che ci ha spinti a raccontarle è stato il desiderio di contribuire a decostruirne il mito. In molti libri ho cercato di far luce sulla ‘ndrangheta cresciuta nel silenzio. Mi piace sperare che molti siano attratti dalla coerenza e serietà di chi prova a rendere migliore il nostro Paese».
I media hanno influito nel mitizzare la mafia?
«Molte rappresentazioni hanno alimentato stereotipi e fascinazioni che distorcono la percezione del fenomeno. Oggi, i mafiosi non hanno più bisogno di essere raccontati, possono farlo da soli sui social network». […]