OBAMA ORA CHE FAI: BOMBARDI IL MINNESOTA? GLI AMERICANI DELLA JIHAD E IL FALLIMENTO DELLA “DEMOCRAZIA DA ESPORTAZIONE”

1-L'INTERNAZIONALE DEL TERRORE
Vittorio Zucconi per "La Repubblica"

Volevamo esportare la democrazia contro il terrore. Abbiamo esportato il terrore contro la democrazia. Da Boston a Nairobi, da Londra a Kabul, il "blowback", il ritorno della vampata quando si appicca l'incendio, torna a smentire l'assunto fondamentale della guerra al terrore come fu propagandata e lanciata dodici anni or sono, che esista una soluzione militare alla metastasi del fanatismo che uccide.

La "internazionale del massacro" che ha fatto strage di innocenti non musulmani nello shopping center di Nairobi è stata la più spaventosa, ma non la prima, dimostrazione che le cellule malate di quella che genericamente, e approssimativamente, è chiamata Al Qaeda sono fra di noi, e crescono in casa.

L'illusione che esistesse qualche confine ideale, se non geografico, fra "noi" e "loro", che potesse bastare, a colpi di invasioni, occupazioni, governi di comodo, attacchi di aerei robot - i droni - lungo il quale combattere crolla quando si scopre che almeno tre degli assassini di Nairobi non venivano dalle valli di Kandahar, dai monti del Caucaso, dalle sabbie dello Yemen, ma addirittura dal Minnesota.

Uno degli Stati più tranquilli, ordinati, un tempo addirittura "scandinavi" per l'abbondanza di immigrati da Svezia a Norvegia della repubblica americana. Sembra, e forse è soltanto la distorsione ottica del sangue, che la "War on Terror", la guerra al terrore, sottinteso islamico, abbia fatto più proseliti per il terrorismo in Occidente di quanti abbia convertito alla democrazia nei famigerati "Stati canaglia".

«Da anni sto cercando di mettere in guardia contro la radicalizzazione dei nostri giovani», dice Abdirizal Bihi, uno dei principali leader della comunità somala negli Stati Uniti, proprio in quelle due città gemelle, Minneapolis e St. Paul, da dove sono partiti tre dei massacratori di Nairobi, «ma mi sono sentito condannare come nemico della mia stessa gente, e come anti Islam».

Bihi, che ha testimoniato anche davanti al Parlamento e collabora apertamente con lo Fbi, fu scosso dalla scoperta che il nipote si era unito ad Al Shabaab, uno dei pianeti nel sistema di Al Qaeda, pur essendo cresciuto negli Usa e accolto come profugo politico. Buran Hassan riuscì a raggiungere la Somalia dalla quale la famiglia era fuggita. Fu ucciso da una gang rivale.

Nel gergo stenografico dei media e degli studiosi di questa nuova manifestazione del terrore, si chiamano gli home grown terrorist, gli assassini cresciuti in casa, il jihadista della porta accanto.

Ci sono 178 gruppi soltanto negli Usa che si considerano affiliati o in sintonia con la guerra all'Occidente e queste sono le cellule catalogate e presumibilmente controllate dai servizi di sicurezza americani, quei servizi che in teoria ascoltano tutto e intercettano tutto, meno, evidentemente, le cose più importanti.

La maggior parte di loro sono cittadini delle nazioni nelle quali vivono, con documenti autentici e tutti i diritti che la costituzione e la legge garantiscono, quindi spesso difficili da incriminare e da condannare.

C'è chi indossa addirittura l'uniforme della Us Army, con le insegne da maggiore e una laurea in psichiatria, come Nidal Malik Hasan, che nella base militare di Fort Hood vuotò il caricatore del proprio fucile semiautomatico d'ordinanza sui commilitoni, uccidendone tredici. E ci sono i viaggiatori delle missioni di morte, come i tre ragazzi del Minnesota, che si sono uniti al commando nello shopping center.

Quasi tutti, la maggioranza, sono teenager o ragazzi di vent'anni, ai quali Al Shabaab dedica video di reclutamento diffusi naturalmente in Rete e visti milioni di volte. In uno di essi, scaricato sul pc di uno dei tre andati in missione in Kenya, gli autori raccontano la strage a Nairobi come «una vera Disneyland », «un divertimento pazzesco », «fun, fun, fun». Uno spasso.

È un cocktail micidiale di propaganda religiosa, di odio, di ribellione, di autoaffermazione, che punta sul detonatore sempre presente in tanti adolescenti ovunque, la noia. Il "terrorista della porta accanto", quello che improvvisamente, imprevedibilmente esce dalla banalità della vita quotidiana di bravo ragazzo americano, tutto liceo, feste da ballo, ragazze, partite di football per passare al lato oscuro della forza, non è un profeta alla Bin Laden, e neppure uno "shaid" con vocazione al martirio come le bombe umane di Hezbollah e Hamas.

I fratelli Tsarnaev, Tamerlano e Djokar, non avevano nessuna intenzione di sacrificarsi nella detonazione della bombe dentro le pentole a pressione sul traguardo della Maratona di Boston, come dimostrò il vano tentativo di fuga di Djokar.

Proprio ai giovanissimi punta quest'ultimo gruppo che ha conquistato, con il sangue di tante persone a Nairobi, la notorietà che cercava. Al Shabaab significa appunto "gioventù", giovani che lottano, e cerca militanti in quella che potrebbe essere la seconda generazione di jihadisti violenti, dopo quella degli Atta, degli Al Zarqawi o Al Zawahiri, dei Bin Laden, uccisi o invecchiati nella loro solitudine. Gli spot in Rete non promettono paradisi fra improbabili vergini, assunzioni nei cieli della gloria mistica e rivoluzioni planetarie.

Parlano alla inquietudine di ragazzi sospesi fra due mondi, come trapianti incerti di cespugli che vogliono irrobustirsi nella violenza che vedono praticata contro i propri fratelli lontani esentono, con l'acutezza della loro età, il peso di vere o immaginarie ingiustizie. A questa inquietudine, classicamente esistenziale e moltiplicata dal loro sentirsi estranei ovunque, parla l'offerta di una identità globale attraverso l'avventura.

Non ci sono spiegazioni di comodo, sociologiche, economiche, finanziarie, che possano spiegare il viaggio dei tre "Minnesotan" somali verso il mattatoio di Nairobi. Non erano poveri, neppure discriminati, all'interno di una comunità somala che sa promuovere e difendere il suo.

Non sono miserabili della Terra quelli che si raccolgono attorno ai ristoranti nei sobborghi di New York, come Hackensack, dove si fermò anche Mohammed Atta verso il suo ultimo viaggio destinazione Boston, e che la polizia sorveglia con strumenti che non possono rivelare quello che si agita nella mente degli avventori. Come non erano reietti dell'umanità gli autori del massacro di Atocha, in Spagna, o di Londra.

Sei mesi dopo le bombe di Boston ancora non è comprensibile che cosa abbia fatto scattare nella mente dei fratelli Tsarnaev, perfetti esempi di integrazione nella
american way of life, l'odio mortale per la vita che avevano vissuto e goduto fino a quel momento. Ci sono fanatici commentatori di estrema destra, come Erick Erickson della Fox News che accusano la «secolarizzazione» dell'America», il tradimento dei valori cristiani, che per loro identificano l'Occidente, compiuto dalla sinistra.

Il vuoto di valori morali lascia spazio alla predicazione della jihad estremista, che esalta e stordisce come il proverbiale "fiasco di vino a stomaco vuoto" un tempo riferito al marxismo. Ma neppure questa formula politica spiega perché invece la maggioranza dei loro fratelli e famiglie respingano l'ubriacatura della violenza o perché tanta violenza si manifesti, in America come altrove, senza la miccia del fanatismo anti occidentale.

Il "terrorista della porta accanto", il guerriero vile e violento da esportazione che oggi parte per compiere le proprie ripugnanti imprese come altri si caricano sacchi a pelo per visitare il mondo è forse soltanto il segnale di un'altra, inevitabile globalizzazione, quella del fanatismo assassino, per trovare la propria identità che neppure il benessere può dare. È soltanto una coincidenza, ma proprio a Minneapolis, la città dalla quale sono partiti i tre americani per raggiungere il Kenya, sorge, monumento terrificante e colorato, lo shopping center che per anni fu il più grande del mondo: il Mall of America.


2-UNA DONNA KILLER AL WESTGATE - IL MISTERO DELLA VEDOVA BIANCA
Vincenzo Nigro per "La Repubblica"

In questa storia micidiale dell'assalto al Westgate c'è una sola certezza: le verità sono ancora troppe. Nascoste, smentite, deviate, o magari semplicemente deformate. Ma poco alla volta, pezzo dopo pezzo, il puzzle viene ricomposto. E in un angolo della ricostruzione, illuminata e ben distinta, inizia ad emergere una foto, anzi due.

La prima immagine è quella di un passaporto del Sudafrica falsificato. È intestato a "Natalie Faye Webb", nata il 29 ottobre del 1985. Il Sudafrica ha già detto al governo del Kenya «vogliamo investigare, vogliamo collaborare con voi per capire cosa è successo con quel passaporto ». La seconda foto è quella di una giovane donna britannica, bianca: è la stessa donna del passaporto, ma il nome è un altro.

Il vero nome della donna della foto è Samantha Lewthwaite, 29 anni, nata Aylesbury, nel Buckinghamshire. Samantha si era convertita alla religione musulmana poco prima di sposarsi con Germaine Lindsay, nel 2002. I due si erano conosciuti su Internet e diventando musulmana la Lewthwaite aveva cambiato il suo nome in Sherafiya.

Quando Germaine si fece esplodere assieme ai suoi camerati nella stazione di King's Cross, il 7 luglio del 2005, la donna era incinta di sette mesi del secondo figlio. Scotland Yard e l'MI5, il servizio segreto britannico, immediatamente la interrogarono, la misero sotto sorveglianza. Lei disse di non sapere nulla dei piani jihadisti del marito.

Ma due anni più tardi Samantha/Sherafiya scomparve: la polizia capì che la donna aveva preso il testimone dal marito, si era riunita ad Al Qaeda da qualche parte fra Pakistan e Africa orientale. Poche settimane, e sui social media jihadisti fu salutata come la "vedova bianca", ricordando le "vedove nere" dei terroristi ceceni che a loro volta diventavano kamikaze e continuavano la jihad dei mariti. Poi era diventata anche la "dada mzungu", la "sorella bianca", in swahili, la lingua parlata in buona parte dell'Africa orientale. Dove si era trasferita.

Facciamo un salto: ieri mattina i giornali del Kenya erano pieni dei racconti dei testimoni, delle vittime dell'assalto di sabato. Una commessa del supermarket racconta che «una donna dalla pelle bianca mi ha sparato durante l'assalto: non ricordo molto, ma ho visto che aveva la pelle bianca, i capelli lunghi e neri, e indossava una maglia larga e nera».

La commessa in queste ore è sotto interrogatorio da parte del Nis, il National Intelligence Service kenyano: «Si è fermata, ha mirato verso di me e poi ha sparato, non so come abbia fatto a non colpirmi». Altri testimoni raccontano che una donna bianca dava ordini agli altri terroristi, li guidava, li incitava, li indirizzava.

Sabato al Westgate c'era una festa per bambini organizzata da una radio. Due animatrici della radio hanno testimoniato: «C'era una donna bianca, aveva il volto coperto, ma abbiamo visto le mani, e il corpo era quello di una donna. Dava gli ordini in inglese, uno dei terroristi li traduceva in Swahili. Lei dava gli ordini e quelli andavano a sparare».

Il National Intelligence Service ha ricostruito le prime mosse di Samantha in Kenya: è entrata la prima volta il 26 febbraio del 2011 presentandosi al posto di frontiera di Lunga Lunga, usando per la prima volta il passaporto sudafricano falso. Poi ancora un passaggio il 25 agosto del 2011 alla frontiera di Namanga.

Questa volta era accompagnata da 3 bambini. Prima di sapere che quel passaporto era un falso, la polizia del Kenya ha dovuto aspettare l'imbeccata delle intelligence occidentali. Nel frattempo Samantha è passata a Mombasa, la seconda città del Kenya, dove è stata riconosciuta come la donna che ha affittato l'appartamento in cui ha vissuto un altro britannico arruolato da Al Qaeda.

Proprio in questi giorni John Grant sta per andare sotto processo a Mombasa. La polizia in quell'appartamento ha ritrovato tutti i componenti chimici e i detonatori necessari a confezionare una bomba dello stesso tipo di quelle esplose sugli autobus e nella metro di Londra il 7 luglio 2005. A marzo l'intelligence inglese avvertì i kenyani che la Lewthwaite assieme ad un certo Fouad Manswab stava preparando un piano per liberare Grant dalla prigione di Mombasa, ma quando i poliziotti fecero irruzione nella casa di Mombasa non trovarono più nessuno.

La "vedova bianca" è scomparsa, ancora una volta. Gli Shabaab su Twitter naturalmente smentiscono, «non c'era nessuna donna fra i nostri combattenti», annunciano nuovi attacchi e smentiscono che l'operazione al Westgate sia conclusa come invece afferma la polizia («Abbiamo ancora ostaggi»).

Altri testimoni del massacro, intanto, insistono, «uno dei terroristi era una donna, è entrata in un negozio di abbigliamento ed è uscita con altri vestiti». Potrebbe semplicemente aver abbandonato il Westgate ritornando alla sua identità originaria, una ragazza britannica figlia di un militare di Sua Maestà. Nascondendo quello che nel frattempo è diventata: una terrorista jihadista in fuga nell'East Africa.

 

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