“A PALERMO MI CONSIDERAVANO NEMICA” – ILDA BOCCASSINI, INTERROGATA DALLA PROCURA DI CALTANISSETTA SUI MOVENTI E I MANDANTI OCCULTI DELL’OMICIDIO DI PAOLO BORSELLINO, HA RACCONTATO CHE NELLA PROCURA GUIDATA DA GIAN CARLO CASELLI NEL 1995 ERA DIFFICILE LAVORARE: "IL CLIMA ERA PESSIMO, I COLLEGHI NON CI SALUTAVANO NEPPURE. AD ESEMPIO, SCARPINATO, QUANDO PASSAVA NEI CORRIDOI, NON MI SALUTAVA. RICORDO MOLTISSIME ANOMALIE, DELL’UTRI NON ERA ISCRITTO, MA FURONO ACQUISITI I TABULATI DEI SUOI TELEFONI CELLULARI" - L’INDAGINE SU GIUSEPPE PIGNATONE E GIOACCHINO NATOLI, ACCUSATI DI AVER INSABBIATO UN DOSSIER SUI RAPPORTI TRA LE COSCHE E IL GRUPPO FERRUZZI…
Articolo di Giacomo Amadori per “la Verità” - Estratti
ilda boccassini ospite di mentana a la7
Da mesi la Procura di Caltanissetta sta indagando sui moventi e i mandanti occulti dell’omicidio di Paolo Borsellino e sul presunto favoreggiamento alla mafia di pezzi da novanta della magistratura come Giuseppe Pignatone e Gioacchino Natoli, sospettati di avere insabbiato un procedimento sui rapporti tra le cosche e il gruppo Ferruzzi di Ravenna.
Per questo negli uffici degli inquirenti nisseni stanno sfilando numerosi testimoni eccellenti che hanno lavorato a Palermo negli anni Novanta.
ILDA BOCCASSINI A LAMEZIA TERME
Una di questi è Ilda Boccassini, per anni star della Procura di Milano e per pochi mesi, a partire dal marzo del 1995, pm a Palermo. «Ilda la rossa» nel suo verbale di sommarie informazioni ha descritto l’esperienza nel capoluogo siciliano come traumatica. Erano gli anni immediatamente successivi all’uccisione di Borsellino e di Giovanni Falcone, con cui lei stessa ha raccontato di avere avuto una relazione. All’epoca la Procura era guidata da un monumento della magistratura progressista come Gian Carlo Caselli.
Ma la lotta alla mafia non era svolta con la trasparenza e la determinazione che la Boccassini si sarebbe aspettata. Lo dice in modo chiaro, nel suo verbale del 18 giugno 2025, al procuratore Salvo De Luca, che oggi sarà audito dalla commissione Antimafia.
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«Diversi procedimenti furono assegnati anche a me e a Saieva, però, gli atti e le scelte strategiche e investigative erano sottratte alla nostra gestione, tanto è vero che io mi lamentai varie volte con il procuratore Caselli», premette la Boccassini a Caltanissetta.
E, a proposito della sua cronistoria, datata maggio 1995, la toga specifica: «Redigemmo una relazione scritta su ciò che mancava nei fascicoli o non era stato fatto, circostanza che scontentò i colleghi. Devo precisare che, durante la mia permanenza a Palermo, ebbi la percezione di essere considerata “una nemica”. Ho saputo che, prima del mio arrivo, un collega, durante una riunione, disse: “Macchine blindate non ce ne sono, verrà con il ciuccio”.
Addirittura Roberto Saieva voleva andarsene subito. Probabilmente abbiamo redatto una relazione così dettagliata perché abbiamo rilevato una serie di anomalie che non ci avevano convinto». Quest’ultimo giudizio è ripetuto anche quando De Luca le chiede di spiegare perché nella cronistoria si faccia «menzione del provvedimento di smagnetizzazione emesso dal dottore Natoli».
SILVIO BERLUSCONI STRINGE LA MANO A ILDA BOCCASSINI
La testimone sulla «cronistoria» puntualizza: «Certamente se io e il collega Saieva abbiamo redatto una così dettagliata relazione, lo abbiamo fatto perché abbiamo rilevato importanti anomalie. Già il fatto che gli indagati siano stati interrogati senza essere stati precedentemente iscritti la trovo una gravissima irregolarità». Ma i problemi non riguardavano solo il fascicolo 6613/94: «Ci fu una riunione della Dda nel corso della quale noi appuntammo, di tutta una serie di procedimenti che ci erano stati assegnati, le anomalie che avevamo rilevato secondo i nostri parametri di valutazione.
Le anomalie le rilevammo in diversi procedimenti, incluso Sistemi criminali (avviato da Roberto Scarpinato, ndr) del quale non ci fu neppure, però, consentito di vedere tutti gli atti». Si tratta di una dichiarazione molto importante poiché questa è stata la prima inchiesta sui mandanti politici delle stragi mafiose del 1992. In quel calderone, che è stato lasciato in cottura sino a dopo il 2000, quando venne archiviato, finirono l’ex fondatore della P2 Licio Gelli, l’estremista di destra Stefano Delle Chiaie, alcuni personaggi legati alla massoneria e alle cosiddette Leghe meridionali già finite sotto inchiesta ad Aosta, nel procedimento Phoney money. Partito a modello 45, il procedimento è rimasto per un lungo periodo senza indagati. Da una sua costola è nata l’inchiesta sulla
Trattativa Stato-mafia. La Boccassini contesta l’indagine originale anche in un altro passaggio del verbale: «Ricordo moltissime anomalie anche nel procedimento Sistemi criminali. Ad esempio, Marcello Dell’Utri non era iscritto, ma furono acquisiti i tabulati dei suoi telefoni cellulari».
ilda boccassini ospite di mentana a la7 2
Secondo la Boccassini, alla Procura di Palermo, nel 1995, tirava una brutta aria: «Il clima era pessimo, i colleghi non ci salutavano neppure. Ad esempio, Scarpinato, quando passava nei corridoi, non mi salutava. Solo in occasione della mia imminente partenza venne a dirmi che dovevo rimanere a Palermo perché doveva essere portato a termine il processo Andreotti».
Ma se la Boccassini è molto severa con Scarpinato, lo è meno con Pignatone, che ai tempi di Caselli era stato un po’ emarginato: «Era l’unico con il quale, all’epoca, avevo rapporti cordiali [...], intendo dire che era l’unico con cui parlavo e scambiavo il saluto. Del resto, ai tempi di Duomo connection, fu proprio Giovanni Falcone a dirmi che avrei lavorato con il miglior sostituto che aveva».
Mentre risponde alle domande, nella mente di Ilda, come un flash, affiora un passaggio nevralgico del fascicolo 6613/94, la richiesta di arresto dell’ingegner Giovanni Bini, un manager del gruppo Ferruzzi in Sicilia che sarebbe stato certamente più proficuo sentire come testimone: «Ricordo che, una volta, ho letto una richiesta di misura cautelare e ho pensato che si trattasse di una richiesta suicida. Non rammento chi la avesse predisposta».
La Procura gli mostra l’istanza nei confronti di Bini e la Boccassini si ritrova: «Non ricordo il contenuto esatto, ma rammento che effettivamente la misura cautelare era nei confronti di Bini».
Le ultime parole sono dedicate alla scelta di lasciare la Sicilia: «Io e Saieva decidemmo di andarcene perché non ci veniva consentito di lavorare, poiché tutto veniva concentrato sul processo Andreotti e su Sistemi criminali.
Dovevo rimanere per un anno, ma sono tornata a Milano dopo sei mesi e anche Roberto Saieva tornò a Roma. Ho certamente sempre pensato che il fulcro delle indagini sulla Calcestruzzi (società del gruppo Ferruzzi in affari con i Buscemi, ndr) dovesse essere Palermo». Ma i pm di Palermo preferivano occuparsi dei fantomatici baci di Andreotti ai mafiosi e di andare a caccia di massoni e neofascisti, lasciando appassire il filone sui rapporti della mafia con le grandi aziende del Nord.
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Ilda Boccassini
ILDA BOCCASSINI
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