
“L’OMICIDIO KIRK DIVENTA PER GLI STATI UNITI DI TRUMP QUELLO CHE L’INCENDIO DEL REICHSTAG FU PER LA GERMANIA DI HITLER: LA GRANDE OCCASIONE PER LANCIARE L’ATTACCO FINALE ALLA EGEMONIA WOKE” – MASSIMO GIANNINI LANCIA L’ALLARME SULLO “SFARINAMENTO DELLA DEMOCRAZIA AMERICANA” E SUL "DISPOTISMO MACHISTA" DI TRUMP: "VEDREMO COSA ACCADRÀ DOMANI ALLO STATE FARM STADIUM DI GLENDALE, DOVE IL POPOLO MAGA CELEBRA I FARAONICI FUNERALI DI KIRK” – L’ATTO DI ACCUSA CONTRO I PATRIOTI DE’ NOANTRI: “SE LA MELONI CAVALCA LA VELENOSA PASTORALE AMERICANA DI “THE DONALD” LO FA PER COPRIRE L’INEFFICACIA DELL’AZIONE DI GOVERNO, PER CREARE UN 'CONTESTO' CHE AGEVOLA LE REGRESSIONI DEMOCRATICHE (I DECRETI SICUREZZA, LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DI GIUDICI E PM, L’ELEZIONE DIRETTA DEL PREMIER) E PER...
Massimo Giannini per repubblica.it – Estratti
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DONALD TRUMP ZITTISCE UNA GIORNALISTA
L’assassinio di Charlie Kirk ha impresso un’accelerazione fatale al processo di sfarinamento della democrazia americana. Vedremo cosa accadrà domani allo State Farm Stadium di Glendale, dove il popolo Maga celebra i faraonici funerali dell’influencer che promettono di oscurare per sempre il ricordo di quelli di Luther King.
Ma lo stiamo già vedendo adesso, con The Donald che stila le liste di proscrizione e dopo Washington e Los Angeles manda la Guardia nazionale anche a Memphis e Chicago, in una nazione in assetto da civil war.
Aveva ragione Ezra Klein, a temere sul New York Times che questo vile omicidio sarebbe diventato per gli Stati Uniti di Trump quello che l’incendio del Reichstag fu per la Germania di Hitler: la grande occasione per spostare la notte americana ancora un po’ più in là, lanciando l’attacco finale contro l’esecrata “egemonia woke”, invocando lo stato d’emergenza permanente che prelude allo stato d’eccezione definitivo,
la legge marziale, presupposto per la terza rielezione alla Casa Bianca di un Commander in chief ormai trasfigurato in Conducator.
DONALD TRUMP CONTRO IL GIORNALISTA JONATHAN KARL
È sana l’ironia degli altri mattatori dell’entertainment che sfidano in tv i diktat trumpiani. Come Jon Stewart, che apre il suo “Daily show” dicendo «questo programma è conforme alle normative dell’amministrazione». Ma c’è poco da ridere: se gli organi di garanzia diventano braccio armato della volontà presidenziale — come succede all’agenzia federale delle telecomunicazioni o alla Federal Reserve — rotoleranno altre teste, scatteranno altri editti.
donald trump zittisce un giornalista australiano 4
Ha detto bene qui Colum McCann: noi credevamo che la Costituzione, il sistema di checks and balances, la giustizia ci avrebbero protetti, e invece ora le fondamenta vacillano, con effetti a catena sulla vita quotidiana, gli artisti, i giornali, la televisione, persino su quello che si dice in un ristorante. E il paradosso è che le destre al comando praticano questa scellerata macelleria costituzionale in nome della libertà di espressione, reprimendo il dissenso e vietando il free speech altrui per difendere il proprio. E stavolta il disegno è lucido e pericoloso. Come dice Isaac Saul, il trumpismo mostra un oscuro talento nel piegare il dolore a suo vantaggio: se trasformi un attentato in una guerra culturale, hai già inquinato il terreno del dibattito politico in modo irreversibile, deformandolo a campo di battaglia dove non si fanno prigionieri.
E qui, ancora una volta, tocca parlare di noi. Di questa Italietta gregaria e settaria, dove i patrioti shakerano in salsa tricolore il dispotismo machista di Trump e lo rivendono come cattivismo vittimista di Meloni. Trattare l’attentato di Kirk alla stessa stregua dei crimini delle Br e degli agguati al giovane Ramelli e al commissario Calabresi è un’impostura storica che offende l’intelligenza e la memoria.
Trovare nei confusi proclami di Robinson le tracce di un “clima violento” creato anche qui dai “cattivi maestri” dell’antifascismo è una strumentalizzazione che intossica il discorso pubblico. Proclamarsi «la più odiata d’Italia», senza mai un’autocritica per l’odio vomitato dalle destre contro tutto e tutti, è una mistificazione che oltraggia la verità. Ampio il cast dei carnefici, sempre pronti alla pugna come ai bei tempi del Fronte della Gioventù: da Giorgia a La Russa, da Fazzolari a Lollobrigida, da Donzelli e Delmastro, e via via tutti gli altri, squadristi minori buoni per il manganello quotidiano dei tg.
Infinito l’inventario delle vittime, scorticate a dovere dai palchi illividiti di Atreju e di Vox e dai banchi sviliti di un Parlamento già ridotto a bivacco di manipoli: i comunisti e i giornalisti, gli immigrati e i magistrati, i poteri forti e i radical chic, i partigiani e la Resistenza, la Segre e Lerner, Scurati e Saviano, Canfora e Prodi, Fornero e Boldrini, e così via.
A gestire il gioioso grand-guignol, i direttori con l’elmetto delle gazzette di regime, naturalmente possedute da un senatore leghista e boss della sanità privata. Per rasserenare gli animi, sparano titoli come “Assassinato a colpi di Bella ciao”, “La canzone che uccide”, “L’assassino partigiano”. Senza vergogna.
Drammatizzare il racconto del Paese, su un crinale inesistente da anni di piombo, serve a molti usi. A coprire l’inefficacia dell’azione di un governo che dopo tre anni — tra crescita zero, carrello della spesa aumentato del 5,6% e salari crollati del 20 — non ha migliorato di una virgola la vita delle persone. A creare un “contesto” che agevola le regressioni democratiche presenti e future: i decreti sicurezza, la separazione delle carriere di giudici e pm, l’elezione diretta del premier. Ma sarebbe riduttivo fermarsi al movente tattico.
MURALE DEDICATO A CHARLIE KIRK
Se Meloni ora cavalca la velenosa “pastorale americana” di Trump lo fa — “molto banalmente”, come direbbe lei stessa — perché questa è la sua natura. Lo è in generale, perché come tutti i populismi di destra — berlusconiani o grillini, padani o post-missini — anche il suo sguazza nella rabbia e nel risentimento anti-politico. Lo è in particolare, perché riflette l’infanzia di una leader, l’underdog vissuta nel “polo escluso”, nutrita dal mito della setta minoritaria e rivoluzionaria che deve sentirsi odiata per esistere, e poi dal culto clanico della “tradizione”, la fiamma che non si spegne, le radici che non gelano.
gli sguardi di giorgia meloni a donald trump video di smar gossip su tiktok 7
Questa narrazione, per quanto tossica, “funziona”. Nell’ignavia delle opposizioni, nell’indifferenza della gente, nel cinismo dell’establishment. Le destre non sono un incidente della Storia, ma un fenomeno “strutturale” della fase, che agisce al di là e al di qua dell’Atlantico.
Per questo torna in mente il grande Philip Roth del Complotto contro l’America. Marshall, vice del presidente Woodrow Wilson, fa la celebre battuta: «Sapete di cosa ha bisogno questo Paese? Di un buon sigaro da 5 cent…». E il padre dell’io narrante risponde: «Sapete di cosa ha bisogno oggi, questo Paese? Di un altro presidente».
gli sguardi di giorgia meloni a donald trump video di smar gossip su tiktok 4
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la risata di giorgia meloni davanti a donald trump 2
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JD VANCE CHARLIE KIRK