LORENZETTO RIBADISCE: “IL GIUDICE ESPOSITO SPROLOQUIAVA CONTRO B., POSSONO TESTIMONIARLO GLI ALTRI COMMENSALI”

Stefano Lorenzetto per "Il Giornale"

Per dovere di coscienza, sabato scorso ho rivelato sul Giornale due fatti di cui sono stato diretto testimone il 2 marzo 2009 a Verona, durante un ricevimento all'hotel Due Torri:

1) il giudice Antonio Esposito, presidente della seconda sezione penale della Corte suprema di Cassazione che ha confermato la condanna definitiva a carico di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset, mi parlò malissimo dell'ex premier, soffermandosi sul contenuto pecoreccio di presunte intercettazioni telefoniche nelle quali il Cavaliere avrebbe assegnato un punteggio alle prestazioni erotiche di due deputate del Pdl sue amanti;

2) lo stesso dottor Esposito mi anticipò lì a cena, fra una portata e l'altra, quale sarebbe stato il verdetto di colpevolezza che avrebbe emesso contro Vanna Marchi, puntualmente confermato meno di 48 ore dopo dall'agenzia Ansa. Ho anche precisato che quest'ultimo episodio l'avevo già riportato a pagina 52 del mio libro Visti da lontano, edito da Marsilio nel settembre 2011, dunque in tempi non sospetti, quando ancora nessuno poteva sapere che il giudice Esposito sarebbe stato chiamato a occuparsi del processo Mediaset.

Anziché chiedersi se queste due notizie fossero vere oppure no, per 24 ore sono rimasti tutti zitti. Non un fax di smentita dall'interessato o dal suo legale. Non una nota dalla Cassazione. Non una dichiarazione di solidarietà al collega Esposito da parte dell'Associazione nazionale magistrati. Non un lancio dell'Ansa. Non un sottopancia scorrevole su Sky Tg24. Non un cenno nei siti dei principali quotidiani. Un fragoroso, sepolcrale silenzio. Interrotto alle 19.23 di sabato solo dalla home page di Dagospia.

Ieri, finalmente, il giudice Esposito ha affidato la sua replica al Fatto quotidiano, anziché al ben più diffuso Corriere della Sera. Scelta oculata: meglio non allargare troppo la frittata. Al posto suo, confesso che avrei fatto lo stesso, se non altro perché il giorno precedente quell'organo di stampa aveva tessuto le lodi della «Corte impermeabile del giudice Esposito» (titolo a pagina 6) e Gianni Barbacetto aveva definito il presidente della seconda sezione penale «un amante degli scacchi» e gli altri quattro componenti del collegio «moderati, moderatissimi, mai schierati politicamente e lontani dalle correnti della magistratura associata».

Il titolo di prima pagina del Fatto recitava: «Ora manganellano il giudice Esposito». Occhiello esplicativo preceduto dalla testatina «Fango»: «"Metodo Mesiano" contro il presidente della Cassazione». All'interno, si precisava che l'alto magistrato «non intende replicare "se non nelle sedi competenti" a quelle che ritiene calunnie e falsità». Subito dopo, però, con l'autore del pezzo Barbacetto, lo stesso che l'aveva asfissiato d'incenso il giorno prima, «accetta di spiegare che cosa non quadra nella ricostruzione del Giornale». Vediamo.

CENE ALLEGRE. «Intanto le sbandierate (in prima pagina) "cene allegre" si sono risolte in un'unica cena dopo la premiazione». Ho appunto raccontato di un'unica cena svoltasi nel ristorante dell'hotel Due Torri, seguita alla consegna del premio Fair play del Lions club al suo amico Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Cassazione, che poco prima avevamo presentato insieme al pubblico in tutt'altra sede. Al banchetto il mio posto era fra i due, Imposimato ed Esposito.

Alla sinistra di quest'ultimo sedeva uno stimato funzionario dello Stato, che ha udito come me le esternazioni del giudice della Cassazione e che sarà chiamato a confermarle «nelle sedi competenti» care a entrambi (a Esposito e a me). Quanto all'occhiello di prima pagina declinato al plurale, non l'ho fatto io. E siccome «è il giornalista Stefano Lorenzetto ad allineare le presunte scorrettezze del magistrato», scrive Barbacetto, vorrei che si parlasse solo di quelle.

ABBIGLIAMENTO. Ho scritto nel 2011 in Visti da lontano, mai smentito, che il magistrato da me conosciuto era «sommariamente abbigliato (cravatta impataccata, scarpe da jogging, camicia sbottonata sul ventre che lasciava intravedere la canottiera)». Esposito nega: «Quanto all'abbigliamento, basta guardare le numerose foto scattate quel giorno e controllare le riprese televisive per constatare che era impeccabile». Le uniche riprese televisive esistenti le ho controllate tutte, fotogramma per fotogramma: non possono certo documentare in modo così ravvicinato i particolari da me elencati.

Ma si dà il caso che io lavori sui dettagli da 40 anni, da quando faccio questo mestiere. Sono un maniaco dei dettagli, come sa chiunque mi legga (ed Esposito confessa d'avermi letto spesso). Ci mantengo la famiglia, con i dettagli. Ebbene: le riprese non possono certo mostrare i piedi del giudice, nascosti dal banco dei relatori. Però prima della cerimonia io e lui siamo stati anche seduti per una buona mezz'ora nell'atrio della sala convegni di Unicredit, mentre il suo amico Imposimato rilasciava interviste e firmava autografi.

Eravamo sprofondati a gambe accavallate in due poltrone, a conversare amabilmente. E, nonostante lui affermi che «una cosa è comunque certa: io in vita mia non ho mai posseduto, né calzato (e dico mai senza tema di smentita) scarpe da jogging, attività che non ho mai praticato», riconfermo che a sfiorare le mie ginocchia erano le sue scarpe sportive, da jogging, da tennis, da running, le chiami come vuole. E aggiungo un altro dettaglio: bianche. Sì, bianche. Ma non lo aggiungo solo io: quelle scarpe se le ricordano anche Francesco Giovannucci, già prefetto di Verona, e sua moglie Enrica, che quella sera erano seduti in prima fila. Al loro occhio - allenato dalla lunghissima consuetudine con le regole del cerimoniale - la stravagante tenuta non poteva passare inosservata.

Le foto le sto cercando. Non è impresa facile, con i colleghi in ferie o che hanno smarrito una parte del loro archivio (è il caso di Giorgio Marchiori, fotoreporter del quotidiano locale L'Arena). E poi di solito i giornali prediligono le immagini a mezzobusto. Solo i feticisti scattano foto ai piedi. Mi fa specie che un magistrato di Cassazione cerchi di svicolare adducendo come prova decisiva della mia inattendibilità un paio di scarpe. Non è di questo che si sta trattando. Io, comunque, non mi sono mai occupato del colore azzurro dei calzini del suo collega Francesco Mesiano (lo dico ai titolisti del Fatto). Quindi non tentate d'impiccarmi a un paio di scarpe. Con me cascate male: sono figlio di calzolaio.

INTERCETTAZIONI. Esposito nega d'aver detto quello che invece ha detto su Berlusconi. Vuole forse costringermi a pubblicare il testo stenografico delle telefonate che ho avuto con due illustri testimoni presenti a quella cena? Lo avverto: potrebbe restarci di sale. Sappia solo che il 24 luglio scorso ho interpellato il funzionario dello Stato che quella sera sedeva alla sua sinistra. A costui ho chiesto se si ricordasse: a) della cena; b) delle intercettazioni svelate da Esposito con la «pagella» sulle capacità erotiche delle due deputate del Pdl stilata da Berlusconi; c) della sentenza su Vanna Marchi che il giudice ci anticipò durante il banchetto.

Nonostante siano passati quasi quattro anni, mi ha risposto per tre volte: «Sì che mi ricordo!». Dopodiché gli ho anche chiesto se sapesse chi fosse quel magistrato. Risposta: «Non lo so, io, me lo sono trovato lì...». Quando gli ho spiegato che si trattava del giudice che di lì a pochi giorni avrebbe deciso il destino di Berlusconi, ha esclamato, sbigottito: «Ma va' lààà! Ma va' lààà! Dìmene altre!». Che in dialetto veronese sta per «dimmene altre», cioè non posso crederci.

AMARONE. Il Fatto ricorda che «Lorenzetto comunque concede al giudice una "misericordiosa attenuante": "Forse era un po' brillo", aveva "ecceduto con l'Amarone"». E che altro avrei dovuto pensare all'udire gli sconcertanti pettegolezzi di un eminente magistrato della Repubblica? «Ma il giornalista non poteva non notare che io non ero "un po' brillo" perché sono, da una vita, completamente astemio. Non c'è persona al mondo che possa testimoniare di avermi visto bere vino o altre bevande», afferma il magistrato.

Mi perdoni, dottor Esposito, questo è un clamoroso autogol: ci sta dicendo che lei era sobrio mentre malignava su Berlusconi, s'intratteneva su intercettazioni coperte da segreto istruttorio e anticipava una sentenza su Vanna Marchi che avrebbe dovuto formarsi nel chiuso di una camera di consiglio e non a tavola.

Voglia rammentare che l'«attenuante misericordiosa» gliela concessi in forma dubitativa nel libro: sabato scorso gliel'ho revocata, scrivendo che «da giovedì sera mi sono invece convinto che, mentre a cena sproloquiava su Silvio Berlusconi e Vanna Marchi, era assolutamente lucido nei suoi propositi. Fin troppo».

GENIO DEL MALE. «C'è di peggio: Lorenzetto racconta che il giudice, prima della consegna del premio, secondo un testimone avrebbe fatto affermazioni pesanti su Berlusconi, reputato "un grande corruttore" e "il genio del male"». Si difende Esposito: «Quelle parole non le ho mai dette: ma le pare che avrei potuto pronunciare giudizi di quel tipo, mentre ero al tavolo ove si presentava un libro e si consegnava un premio, innanzi a 500 persone?».

E chi ha mai scritto che le ha pronunciate davanti a 500 persone? Lei le ha profferite in varie occasioni davanti a uno stimato professionista, un testimone presente a quella serata, che me le ha confermate più e più volte, anche di recente, in una registrazione piuttosto lunga: dura 29 minuti e 30 secondi. Ed è un testimone degno di fede.

CHI SONO. Riferendosi a me, Esposito spiega al Fatto: «Dice anche che io mi sarei lasciato andare perché non ero a conoscenza per quale testata lavorasse: invece lo sapevo, sia perché avevo letto più volte articoli a sua firma, sia perché gli organizzatori ci avevano segnalato il moderatore della serata». A parte che io mi sono limitato a formulare una mera ipotesi («Presumo che ignorasse per quale testata lavorassi»), mi rallegra, dottor Esposito, annoverarla fra i miei lettori. Ma pure qui si sta facendo del male da solo: la circostanza di conoscermi e di sapere per quale testata lavorassi avrebbe dovuto indurla a raddoppiare la prudenza e il riserbo che le sono imposti dall'alto ufficio affidatole.

A questo punto vorrei dirle poche cose sul mio conto. Mi sono dimesso dalla vicedirezione vicaria del Giornale nel 1998, rinunciando ai cinque sesti dello stipendio. Da allora vado in cerca di italiani qualunque. Ne ho intervistati finora 660. Da parecchio tempo non mi occupo né di politica né di giustizia. Non aspiro a dirigere Il Giornale, né Panorama (l'altro mio datore di lavoro, dove sono attualmente cassintegrato), né il Tg5, né null'altro.

Faccio il giornalista col massimo scrupolo, come sono certo faccia lei, dottor Esposito, nella sua delicata professione, e ciò mi ha guadagnato la stima di varie personalità, fra cui l'attuale presidente del Consiglio, Enrico Letta, Sergio Zavoli, Enzo Biagi, Ferruccio de Bortoli, Giovanni Minoli, Vittorio Messori, Aldo Busi e Marina Orlandi, vedova del professor Marco Biagi assassinato dalle Nuove Br. E persino di Marco Travaglio, vicedirettore del Fatto quotidiano.

CONCLUSIONE. A me pare che il thema decidendum non sia il paio di scarpe sportive che lei indossava, bensì il fatto (non quotidiano) che il presidente di una sezione penale della Corte suprema di Cassazione fosse talmente prevenuto in senso sfavorevole a un imputato da dovergli consigliare di astenersi. Io so d'aver detto tutta la verità, nient'altro che la verità, giudice Esposito. Le confesso che temo molto il suo giudizio e quello che ne deriverà nelle aule a ciò preposte. Ma temo molto di più il verdetto di un Giudice che sta sopra di lei e sopra di me. Quello sì definitivo.

 

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