gori marcucci nardella

A MATTE’, MA ‘NDO VAI? – DAI SINDACI NARDELLA E GORI A MARCUCCI, ECCO CHI NON SEGUIRA’ RENZI NELLA SUA NUOVA AVVENTURA – IL CAPOGRUPPO DEM AL SENATO: "MATTEO HA FATTO UN ERRORE A LASCIARE IL PD. RESTO TRA I DEMOCRATICI ANCHE PER EVITARE CHE IL PARTITO SI TRASFORMI NEI DS" – PER MARCUCCI NON SARÀ UNA PASSEGGIATA RIMANERE IN SELLA COME CAPOGRUPPO MA I NUMERI PENDONO DALLA SUA PARTE…

Cesare Zapperi per il “Corriere della sera”

 

MATTEO RENZI ANDREA MARCUCCI

È una separazione politica, certo. Ma quando condividi anni di impegno e di scelte c' è un coinvolgimento personale che nel momento dell' addio aggiunge sale alla ferita. Perché Matteo Renzi per alcuni non era solo il leader di riferimento ma anche un amico. «È un passaggio molto doloroso politicamente e umanamente» ammette Matteo Biffoni, sindaco di Prato, seguace della prima ora dell' ex segretario dem.

 

«Mi sono riavvicinato alla politica nel 2013 grazie a Matteo - spiega il primo cittadino di Bergamo Giorgio Gori - E certamente sono diventato sindaco nel 2014 sull' onda del suo successo. Ho condiviso tante battaglie, compresa quella persa del referendum, ma ora le nostre strade si separano perché non sono portato ad aderire a progetti che si basano su una persona».

 

andrea marcucci graziano delrio

Forse proprio perché nell' esperienza politica di Renzi i sindaci hanno sempre avuto un peso particolare, è da questi, specie da quelli a lui più vicini, che vengono le parole più severe rispetto ad una scelta che non si riesce a condividere. «Non si sbatte la porta di casa propria e si va via per sempre - osserva il sindaco di Rimini Andrea Gnassi - soprattutto quando è in atto una discussione ed è viva una sfida come quella di governo. Non ci sono se né ma».

 

«È un errore enorme - rincara la dose Matteo Ricci, dal 2014 alla guida di Pesaro e vicepresidente dell' Anci - Non credo nei partiti personali e le divisioni portano sempre male». Con una stoccata velenosa: «I sindaci popolari aggregano, non dividono».

Se in Parlamento Renzi ha trovato un seguito, seppur numericamente poco superiore al minimo indispensabile per costituire i gruppi alla Camera e al Senato, nei municipi il reclutamento dell' ex premier al momento fa molta più fatica.

 

Nei Comuni medio-grandi nessuno risponde alle sirene renziane. Non il sindaco di Bari (e presidente dell' Anci), Antonio Decaro, che pure parla di «scelta che arricchisce il centrosinistra». E nemmeno chi, come Dario Nardella, ha ricevuto in eredità la fascia di primo cittadino di Firenze: «Capisco le ragioni di Matteo, rispetto la sua decisione, ma io continuerò a lavorare e a fare le mie battaglie nel Pd».

 

paolo gentiloni nicola zingaretti andrea marcucci graziano delrio

Per spiegare la sua contrarietà, c' è chi mette sul tavolo una citazione: «Non vedo le ragioni delle scissioni e nemmeno l' utilità - dice Simone Giglioli, sindaco di San Miniato - Rimango ancorato al concetto togliattiano "extra ecclesia nulla salus", fuori dalla Chiesa nessuna salvezza, poi mi sento ancorato al riformismo e per me c' è tutta l' esigenza di avere il Pd come partito del riformismo».

 

Insomma, per quanto in fase di ristrutturazione dopo le scosse telluriche subite negli ultimi anni (anche, o soprattutto, durante la gestione renziana), la vecchia casa rimane ancora la più «sicura» per affrontare le sfide del futuro.

 

«Ad una condizione - mette in guardia Gori - che il Pd tenga alta la bandiera riformista. Tanto più riusciremo a proseguire su questa strada, non arretrando sui tanti fronti aperti in questi anni (dalle riforme del lavoro all' immigrazione), tantomeno avrà spazio l' altro progetto». Concetto fatto proprio da Gnassi nell' auspicare per il suo partito «uno spazio democratico allargato, in grado per la sua anima inclusiva di contrapporsi nella maniera più estesa al pericolo del sovranismo becero, del partito azienda, del partito di un capo». «Il Pd - riassume il sindaco di Modena Gian Carlo Muzzarelli - è l' unica vera alternativa alla destra di Salvini».

DARIO NARDELLA 1

 

Allora, il progetto renziano è destinato al fallimento? Se i sondaggisti non si sbilanciano, Biffoni lancia un avvertimento: «Attenti a non sottovalutare Matteo. Lo conosco bene, so di quanta forza, di quante energie sia capace. Alla Leopolda di metà ottobre sicuramente aggiungerà altra benzina, siamo solo ai primi passi. Ha agito d' impulso perché si sentiva politicamente ingabbiato e allora ha buttato il pallone nell' altro campo. Aspettiamoci altri passi».

 

 

SENATO, LO STRANO CASO DELL' ULTRÀ MARCUCCI

Claudio Bozza per il Corriere della Sera

 

«Credo che Matteo Renzi faccia un errore a lasciare il Pd, che è ancora l' unico partito aperto e contendibile. Io resto in questo, perché sono convinto che ci sia ancora una spazio liberaldemocratico». Letta così, suonerebbe come una delle tante dichiarazioni di parlamentari contrari all' addio dell' ex premier. Ma la cosa politicamente sorprendente, nel mezzo della bufera della scissione, è che a pronunciare queste parole è Andrea Marcucci, capogruppo dem al Senato, ma soprattutto iper renziano da sempre.

 

Il senatore della Garfagnana, dove si trova anche il quartier generale della sua Kedrion (colosso degli emoderivati che fattura quasi 700 milioni l' anno), è stato un importante sostenitore (anche a livello economico) di Renzi fin dall' inizio della sua scalata. Ma soprattutto, appena lo scorso mese di agosto, aveva messo a disposizione un' ala del proprio resort (Il Ciocco) per ospitare i cento giovani che si erano iscritti a «Meritare l' Italia», la scuola di formazione politica guidata dall' ex premier.

giorgio gori

 

Soltanto che nel momento clou, il senatore Marcucci, un primo mandato da deputato nel 1992 con il Pli di Renato Altissimo per poi passare alla Margherita, non se l' è sentita di seguire il fu rottamatore nella nuova casa di Italia viva.

 

«Matteo è un amico e resta un protagonista di una straordinaria stagione di governo, il cui patrimonio resta interamente a disposizione del centrosinistra, anche per il futuro - riflette Marcucci, che formalmente fa parte di Base riformista, corrente guidata da Luca Lotti e dal ministro Lorenzo Guerini -. Io nel Pd mi sento ancora a casa mia, se si dovesse trasformare in un soggetto politico più vicino ai Ds, mi sentirei un estraneo».

 

E poi: «Il mio rapporto personale con Renzi non è in discussione: penso che si sia fatto trascinare dall' istinto in questa decisione, ci ho parlato fino all' ultimo e gli ho detto subito che non ero d' accordo sulla svolta che stava maturando».

 

Adesso per il senatore, però, non sarà una passeggiata rimanere in sella come capogruppo, e oggi incontrerà tutto il gruppo dei senatori dem.

cristina parodi giorgio gori

È una questione di numeri, che, almeno per il momento, sembrano pendere ancora dalla sua parte. A Palazzo Madama, perso Matteo Richetti passato a Siamo europei, i senatori del Pd sono 50: sottraendone 12-13 che andranno in Italia viva, Marcucci potrebbe contare sull' appoggio di 20-21 colleghi, una manciata in più rispetto a quelli che stanno con il segretario Zingaretti.

 

Proprio analizzando questi numeri, e specie perché Marcucci sottolinea che non sarà mai nemico di Renzi, sorge spontaneo l' interrogativo che possa trattarsi di un' operazione di facciata per rimanere al timone a Palazzo Madama.

 

Ma dall' entourage di Marcucci assicurano: «È una frattura politica vera, niente giochetti: il senatore crede davvero che Renzi abbia fatto una mossa azzardata, difficile da spiegare alla gente».

MATTEO RENZI ABBRACCIA ANDREA MARCUCCI

 

Tant' è che mentre l' ex leader dem ufficializza il nome del nuovo partito davanti alle telecamere di Porta a Porta , il capogruppo spiega: «Io resto a fare il mio lavoro nel Partito democratico - riflette Marcucci -. Ma mai diventerò un denigratore di Matteo».

E sulla possibilità che il baricentro dem si sposti più a sinistra, con il possibile rientro di D' Alema e Bersani: «Un ritorno alla Quercia? Non credo che succederà - conclude Marcucci -, resto tra i democratici anche perché ciò non accada».

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