LA FAVA E LE FAVOLE – DAVVERO “LA MONARCHIA BRITANNICA TRASFORMA LE CERIMONIE, I PROTOCOLLI E LE ETICHETTE IN IRRAZIONALE GIOIA DI MASSA, MEGLIO DI UN CONCERTO DEI ROLLING STONES”? ALLORA, ABBIAMO SBAGLIATO TUTTO?

Francesco Merlo per "la Repubblica"

Ecco cos'è la Monarchia in Europa: un capogiro collettivo, un gioioso pandemonio di sudori e di odori, di contatti carnali, di festa di strada. E i 35 gradi di Londra, che mai era stata così calda, misurano il bisogno vitale di identità e di identificazione che in questo caso è anche religiosa perché la Regina non solo è il simbolo della storia profonda di ciascuno e di tutti gli inglesi, ma detiene il potere spirituale. È dunque rovente di allegria il termometro della più inattuale delle fantasie intellettuali e popolari. E forse perché in Europa non c'è nulla di più inattuale dell'allegria.

Anche la Corona inglese entrerebbe in crisi senza la favola dei Principi Azzurri, con William giovane e bel militare in congedo e Kate mamma radiosa che, nel più chic e naturale dei modi, ha partorito George, l'erede dell'erede dell'erede che la folla ha promosso erede tout court, incoronando per acclamazione Kate, futura regina borghese.

Del resto è così anche nelle altre monarchie d'Europa: non hanno sangue blu Charlene (già sul trono del principato di Monaco), Mary in Danimarca, Daniel che ha sposato Victoria di Svezia e ancora Maxima in Olanda, Mette in Novergia, Letizia in Spagna... L'unica eccezione nobile è Mathilde in Belgio.

Nell'Europa democratica, la Monarchia non è più fatta di politica e neppure è dominata dai demoni dinastici di lady Macbeth, ma dal sentimento popolare che trasforma le cerimonie, i protocolli e le etichette in irrazionale gioia di massa, meglio di un concerto dei Rolling Stones.

La "mossa del cavallo" delle Maestà è il carisma democratico, soprattutto delle donne. Non contano più il portamento, l'intonazione della voce, l'impalpabilità, la distanza e il pallore aristocratico.

La monarchia si rigenera attraverso le virtù borghesi di donne moderne ma seducenti, madri e mogli ma sensibili ai turbamenti del desiderio, non l'eroina romantica tutta passione che perdeva se stessa accanto ai grandi dittatori del Novecento, al duce, al führer, al piccolo padre, al grande timoniere, all'imperatore, domatori domati e persino dominati da giovani e ardenti innamorate, ma un vero, riconoscibile marchio di simpatia popolare come la mela di Apple, come lo Swoosh della Nike, come la parola Coca-cola.

Nella gioia popolare per l'abdicazione di Alberto e Paola del Belgio c'è la legittimazione di massa del gesto più nobile che è il mettersi da parte - altro che rottamazione - perché la continuità del bosco dipende dal taglio degli alberi o troppo ingombranti o estenuati. Abbandonando il trono, il re si conferma re come mai era stato.

Stanchi o indegni perché sleali verso il proprio paese o perché coinvolti in qualche scandalo impopolare, i re europei mettono subito a rischio la monarchia. Senza la folla, senza il consenso di massa, il fascino antiquario, passatista e anacronistico dell'istituzione si muta subito nel suo contrario e la Monarchia mostra la sua faccia patetica, falsa, sfarzosa e, alla fine, reazionaria. Ed è quello che oggi sta avvenendo in Spagna e in Svezia.

Solo le abdicazioni, come le dimissioni, salvaguardano l'Istituzione, stabiliscono la differenza tra Regno e re, ma anche tra Repubblica e presidente ed è la stessa che c'è tra la Specie e l'individuo. Mai la regina Beatrice d'Olanda era stata così amata come il 23 aprile scorso quando ha abdicato a favore del figlio Willem Alexander e di Maxima (che è argentina). Persino il Papato ha avuto bisogno di una spettacolare potatura. Ratzinger ha abdicato e il Papato è rinato.

D'altra parte è vero che le più grandi repubbliche d'Europa, dalla Germania alla Francia, sono fiere d'avere avuto dei re. E c'è una certa bellezza nell'inattualità della monarchia persino per noi italiani che, figli convinti della repubblica e ammorbati dai tradimenti dei Savoia, abbiamo solo il ballo del Gattopardo e guardiamo smarriti il mito, il sogno dei civilissimi paesi che amiamo come un valore che ci è stato negato.

C'è dunque il crisma legittimato dal carisma nella letteraannunzio spedita come un regale pizzino dall'ospedale verso Buckingham Palace. E sono, direbbe il Dante del De Monarchia, moderne allegorie dei poteri popolari sia quell'esposizione oltre i cancelli del Palazzo della lavagnetta di legno con i dati dell'atto di nascita e sia la suspense sul nome George, che non è un nome-trasgressione, non è una di quelle violazioni dei codici onomastici che ne avrebbe esaltato l'autorità, perché la monarchia è anche l'illusione del contatto diretto che Her Majesty stabilisce con ciascun suddito preferendolo al protocollo. Nulla è più principesco di un principe e una principessa che "si fanno" genitori qualunque di un bimbo qualunque.

Lo scrittore Guido Morselli raccontò nel romanzo Divertimento 1889 che Umberto I spesso si mescolava alla gente perché non ne poteva più dei cortigiani contro i quali, del resto, Francesco Giuseppe fingeva di essere sordo. E Federico II andava a piedi mettendo a cavallo il suo palafraniere per mostrarsi uguale ai suoi sudditi.

Ai generali e ai politici che gli consigliavano di organizzare "in nome del Vangelo" una crociata in Africa contro Temim, sultano zirito, Ruggero, dinanzi al popolo festante, rispose emettendo una rumorosa flatulenza: «Eccovi in cambio un consiglio assai migliore».

Il pop dunque, che sta trasformando anche la sacralità del Papato dove ha sostituito la meditazione con l'applauso, non ha più bisogno di re a cavallo ma di armoniosi modelli buoni per Ralph Lauren, non più parate militari, ma beneficienza e glamour, lealtà democratica e virtù borghesi. Ecco perché l'erede dell'erede dell'erede è stato partorito e registrato direttamente come erede non dai polverosi annali dell'araldica ma dall'occhio collettivo, che è la fonte della legittimità di ogni scettro, il giudice di qualsiasi corona.

 

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