TANTO MONTI PER NULLA? ANCHE SENZA BANANA TRA I PIEDI, LO SPREAD NON CAMBIA - L’INTERVENTO DELLA BCE NON E’ SERVITO A MOLTO: LE BANCHE HANNO PRESO IN PRESTITO PER TRE ANNI 500 MILIARDI PERCHÉ A TASSO MOLTO CONVENIENTE (L’1%), MA POI PREFERISCONO TENERLI PROPRIO SUL CONTO DELLA BCE REMUNERATO ALLO 0,25 ANZICHÉ PRESTARLI AD ALTRE BANCHE PER LE OPERAZIONI DI ROUTINE. PERCHÉ NON SI FIDANO. UN SEGNALE DELLA PARALISI DEL MERCATO DEL CREDITO CHE LA BCE NON È RIUSCITA A SCIOGLIERE – L’IMPASSE DEL GOVERNO “TECNICO”…

Stefano Feltri per Il Fatto

Sarà la fine dell'anno con molti investitori in vacanza e pochi speculatori attivi, o forse le periodiche incertezze sulle sorti americane (a gennaio torna il balletto democratici-repubblicani sull'innalzamento del tetto al debito), o forse dipende dai timori sempre più concreti di una recessione pesante nel 2012 per tutta l'Europa. Comunque sia, il mercato del debito pubblico preoccupa sempre di più: ieri lo spread, differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato italiani e tedeschi a 10 anni, è partito a quota 506, è arrivato a 520 poi è sceso a 508. Come al solito.

La manovra e l'intervento della Banca centrale europea che prima di Natale ha dato oltre 500 miliardi alle banche della zona euro non sono serviti a molto. Il "bazooka", come piace chiamare agli operatori questa misura estrema di politica monetaria, per ora sta sparando a salve. Anzi, col rinculo: è notizia di ieri che sono aumentati ancora i depositi overnight delle banche (quelli che durano una sola notte) presso la Bce, toccando il record dall'introduzione dell'euro: 411 miliardi. Livelli più alti che nei momenti peggiori della crisi greca, nel giugno 2010, quando arrivarono a 384,3 miliardi.

In pratica le banche hanno preso in prestito per tre anni 500 miliardi dalla Bce perché a tasso molto conveniente (al costo dell'1 per cento), ma poi preferiscono tenerli proprio sul conto della Bce remunerato allo 0,25 per cento anziché prestarli ad altre banche per le operazioni di routine. Perché non si fidano. Un segnale della paralisi del mercato del credito che la Bce non è riuscita a sciogliere.

Poi c'è l'Italia. La manovra da 30 miliardi di tagli e tasse ha messo in sicurezza i conti, almeno finché il governo non adeguerà le stime di crescita del Pil su cui è calcolata (la recessione 2012 sarà oltre il -1,5 per cento, e non -0,5). "L'incognita italiana non c'è più", è una frase che circola spesso in ambienti governativi in questi giorni. Ma la situazione sui mercati resta critica, probabilmente sarebbe stata peggiore con Silvio Berlusconi ancora a palazzo Chigi ma di certo non sono arrivati miracoli: con lo spread sopra 500 e i rendimenti dei titoli a 10 anni sopra il 7, ogni asta, come quelle di oggi e domani in cui il Tesoro deve collocare 20 miliardi di titoli, diventa una fonte di grande preoccupazione.

Il premier Mario Monti sta ritoccando il discorso per la conferenza stampa di fine anno di domani, che sarà un po' il manifesto della "fase 2" (manutenzione e crescita) come quello di insediamento al Senato lo era stato della "fase 1" (salvare i conti). Oggi ci sarà un Consiglio dei ministri che, a parte alcune questioni amministrative, all'ordine del giorno ha soltanto il "programma di lavoro delle prossime riunioni del Consiglio dei ministri".

Entrambe le occasioni serviranno a Monti per chiarire la linea della "fase 2": non ci saranno altri decreti epocali, possibilmente nessun'altra manovra, soltanto poche e (nelle intenzioni) efficaci misure che dovranno trasmettere all'esterno come all'interno l'impressione di un governo attivo e padrone della situazione. La riforma del lavoro, per dire, è congelata, dopo la falsa partenza del ministro del Welfare Elsa Fornero che ha irritato i sindacati parlando di articolo 18. Prima si tratta con le parti sociali, poi si annuncia, sostiene Monti.

Per ora si procede soltanto con i due temi indicati in un documento pubblicato dallo stesso Monti sul sito del ministero del Tesoro dove si dice che "in prospettiva" il governo vuole riformare la disciplina sull'"abuso di diritto" e il catasto. Il primo punto riguarda la lotta all'elusione fiscale, cioè a evitare che triangolando la disciplina tributaria italiana con quella di altri Paesi facoltosi contribuenti (come in passato le banche) riescano a non pagare forti somme all'erario.

Quanto al catasto, la manovra ha tassato la prima casa e alzato i moltiplicatori delle rendite catastali. Ora resta da rivedere le rendite stesse, sfasate di oltre 20 anni rispetto ai valori di mercato: gli affitti, cioè le rendite che il proprietario effettivamente ottiene, sono superiori di 6 volte e mezzo rispetto a quelle che risultano al catasto (ci sono case nate come "popolari" che ora hanno quotazioni da immobili di lusso, ma non pagano tasse corrispondenti).

È un'operazione complessa, che passa anche per l'uso del metro quadro al posto del vano come unità di misura principale. Non sarà eccitante o rivoluzionaria, ma la riforma del catasto non dovrebbe incontrare grosse resistenze da parte dei partiti che sostengono il governo, sempre più inquieti (soprattutto il Pdl con Berlusconi). La fase 2 funziona così e a Monti, tutto sommato, non dispiace.

 

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