“HAI SPORCATO UN MANIFESTO COMUNISTA!” E GLI FRACASSANO LA TESTA - LA VIOLENZA DEGLI “ANTAGONISTI” SI E’ IMPADRONITA DELLA STATALE DI MILANO

1 - CALCI IN TESTA PER UN DISEGNO - LA FOLLIA E I SILENZI ALLA STATALE
Michele Focarete e Andrea Galli per "Corriere della Sera"

Una precisazione sul finale di partita, nella perquisizione dopo le manette: «Tutti questi libri? Io, brigadiere, sono laureato. Sono dottore!» (l'orgoglio di Simone Di Renzo). Un precedente che descrive l'Italia: l'arresto nel 2012 per le violenze dei no Tav assieme a ex brigatisti, politici locali, disoccupati, barbieri, pensionati (il passato di Lorenzo Kalisa Minani).

Una confessione: «Mi spiace per i due ragazzi, hanno la mia età» (la paura di Federico). I primi stavano uccidendo l'ultimo. Università statale. Una festa. Clandestina. Notte di San Valentino. Giorni di occupazione degli studenti.

Federico che gira con un pennarello in tasca. Sempre. Simone e Lorenzo, detto Lollo, che menano le mani. Spesso. Studente all'accademia di Belle Arti a Brera. Militanti del centro sociale «Panetteria occupata». La testa un po' sulle nuvole. Le panchine della Questura: quanti precedenti per Di Renzo e Minani.

Resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamenti, lesioni. E la Val di Susa, certo. Se c'era un corteo, c'erano anche loro. Insiste l'avvocato, Eugenio Losco: «Guardate che non hanno condanne definitive». Ripetono gli investigatori: «Guardate le foto».

Ecco. Le immagini del viso tumefatto. Della fronte che pare una collina bucata dal cratere d'una bomba. In particolare, della parte destra della fronte che al tatto «risultava sul punto di cedere».

Federico, originario della provincia di Varese, a Milano residente in affitto, casa condivisa con altri cinque ragazzi, di quel 14 febbraio 2013 vede e rivede solo scarponi. Altro non ricorda, così giura. «Prima calci e pugni. Cado. Mi proteggo, mi copro il viso. E sulla mia testa, sul petto, sulla pancia, vedo volare scarponi».

Non si fermavano più. Una settantina di giorni di prognosi. Una vite e otto placche in fronte. «Potevi morire» gli ha detto un chirurgo. Le botte avevano fatto a brandelli ossicini, li avevano spinti vicini al cervello. Rimase a terra un'ora e mezza. Lo aiutò a rialzarsi un amico col quale era andato alla festa in Statale.

Balli, bicchieri, cazzeggio. Le ragazze. E i disegni. C'erano poster e fogli bianchi destinati alle personali iniziative. Chi voleva, riempiva lo spazio bianco. Per gioco, per divertimento, perché la notte era lunga. Si poteva colorare. Scrivere.

Federico poggiò l'inseparabile pennarello su una vecchia locandina del Partito comunista, incentrata sui prigionieri politici. Forse con una birretta in corpo, non sa dirlo con esattezza, stava tratteggiando innocui, semplici segnetti quando sentì una voce alle spalle.

«Ehi tu cosa fai?». Una voce e delle ombre. «Erano una ventina. Mi urlarono: "Allora non sei un comunista!". Figurarsi... Non sono di sinistra e neanche di destra, non sono di niente, sono apolitico...». Altro non aggiunse. Cominciò la furia.

Non ha denunciato, Federico. «Non è nel mio stile». Non serba rancore. Ha ricevuto la solidarietà del sindaco Pisapia («No a intimidazioni e violenza»). Alle domande dei carabinieri, che non escludono coinvolgimenti di altri ragazzi, ancora non riesce a dar risposte nei dettagli.

Nemmeno ha saputo riconoscere Minani e Di Renzo quando gli hanno mostrato le fotografie. «Sono questi i due?». «Non ne ho idea». Le indagini sono partite perché dall'ospedale San Paolo, dove nel frattempo Federico era andato a farsi vedere una mattina che aveva visto un avallamento in fronte, avevano informato le forze dell'ordine.

Qualche dubbio, per chi indaga, rimane. C'è la sensazione di particolari lasciati nascosti, tenuti sottotraccia. Magari nomi non fatti. Comunque, se dalla Procura filtra il suggerimento a inquadrare il pestaggio come svincolato da lotte politiche tra studenti, subito l'area antagonista ha preso le distanze dai picchiatori. I quali, per carità, hanno incassato vicinanza e vedranno compagni imbastire presìdi sotto San Vittore.

Minani, 30 anni, risulta iscritto da eterno fuoricorso a Scienze politiche, facoltà che ha visto laurearsi (laurea triennale) Di Renzo, 26 anni. Federico è nel mezzo, di anni ne ha 28, qualche esame superato e laurea lontana. Di Renzo ha avuto contrattini da precario. Vivacchia, con gli aiuti della famiglia, ceto medio. Che poi è la stessa sorte di Lorenzo. E di Federico. Il quale al Corriere ha giurato che tanto mai li avrebbe denunciati. Mai.

E con orgoglio ha rivendicato la ricerca della salvezza, in fuga da una festa in università, anzi da un assassinio. «Pensavo di essere morto... Mi sono alzato, sorretto dal mio amico» e non un bus, non un taxi, non un motorino. No. «Sono tornato a casa a piedi... Trascinandomi...Piano piano... E ce l'ho fatta».


2 - L'EQUIVOCO DEGLI ANTAGONISTI CHE BIVACCANO NELL'ATENEO (CON MILANO INDIFFERENTE)
Paolo Di Stefano per "Corriere della Sera"

Una notte da Arancia meccanica per la festa di San Valentino, la festa degli innamorati, è il più brutale degli ossimori. Evidentemente ci sono persone che non aspettano altro che un'occasione qualunque, bella o brutta, allegra o triste, politica o non politica, per scatenare tutta la loro violenza, che non appartiene né alla sedicente festa, né alla sedicente politica, né al sedicente impegno, né al contesto ma solo all'abisso chissà quanto insondabile della loro follia e della loro imbecillità.

La vicenda si potrebbe raccontare così: in un clima da baraonda alcolica e non solo, un giovane osa violare con un pennarello un manifesto politico e per questo, dopo un battibecco, viene pestato a calci con una ferocia senza senso: la vittima, a cui a momenti fuoriesce la materia cranica dalle botte che ha ricevuto, e un suo amico preferiscono raccogliere le loro cose e trascinarsi penosamente verso casa senza aspettare le forze dell'ordine, decisi, chissà perché, a evitare la denuncia.

Anche i delinquenti, credendo morto il ragazzo, svaniscono nel nulla con le mani e gli stivali sporchi di sangue. Passano i mesi. Nessuno ne saprà niente fino a ieri, però nel frattempo il giovane è stato ricoverato e operato con una vite e diverse placche in testa, e la denuncia del medico ha fatto scattare l'indagine.

Ma la vicenda si potrebbe anche raccontare così: da molto tempo un'area dell'Università Statale di Milano è diventata zona franca per (noti) vagabondi e provocatori ex universitari che si definiscono confusamente «antagonisti» (probabilmente per darsi un tono di idealità), poiché appena possono non trovano di meglio che infiltrarsi in cortei, manifestazioni (come quelle dei no Tav) e centri sociali per scatenare la loro furiosa demenza.

Questi trentenni, che al massimo possono vantare una laurea triennale e che non appartengono a famiglie alla deriva della società, bivaccano nell'ateneo giorno e notte (anche a cancelli chiusi) e se vengono «disturbati» reagiscono minacciando alla cieca.

Dunque, la notte di San Valentino - che poteva essere anche la notte di Sant'Eutropio, protettore dei macellai o qualunque altra notte a caso - non c'è stato bisogno della Nona Sinfonia di Beethoven (come nel film di Kubrick) per far scattare la gratuità di un'Arancia meccanica milanese.

Una storia di straordinaria follia. Anzi neanche una storia, tanti sono i buchi della sua trama. Straordinaria sì, perché di normale, in questa pseudostoria, non c'è proprio niente: né il luogo della violenza, né l'accanimento degli aggressori, né il loro (presunto) movente, né il successivo silenzio della vittima. Già, ma ordinario e straordinario da tempo finiscono per coincidere. Ordinaria straordinarietà. È questo l'ossimoro più brutale, a pensarci bene.

 

STATALE statale occupata x STATALE n STATALE uni studente picchiato universit milano ex cuem x

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