FINCHÉ IL BARCONE VA, LASCIAMOLO ANDARE? - PER FERMARE GLI SBARCHI NON SERVONO NÉ IL BLOCCO NAVALE NÉ LE BOLDRINATE MA LE MANIERE FORTI: BISOGNA AFFONDARE LE IMBARCAZIONI NEI PORTI PRIMA CHE PARTANO

Riccardo Pelliccetti per “il Giornale”

strage migranti soccorsistrage migranti soccorsi

 

Come fermare le carrette del mare che ogni giorno partono cariche di disperati per raggiungere le coste italiane? La soluzione è una sola: eliminare il problema alla radice. In poche parole, affondare navi e barconi dei trafficanti di uomini, impedendo così che prendano il mare e provochino stragi come quella accaduta sabato, al largo della Libia, con un bilancio che potrebbe superare i 700 morti.

 

Sarebbe folle oggi pensare di continuare a rincorrere, in tutto il Mediterraneo, le imbarcazioni stracariche di immigrati, sperando di salvarli e ospitarli tutti. L'ennesima strage ha sancito anche l'ennesimo fallimento della politica dell'accoglienza e del soccorso in mare, tanto cara al governo Renzi e alla madrina dell'invasione straniera Laura Boldrini. Qualche ripensamento, però, sembra farsi spazio in queste ore.

 

soccorsi mediterraneo strage migranti copiasoccorsi mediterraneo strage migranti copia

Se non consideriamo i fanatici dell'operazione Mare Nostrum, la più stupida idea partorita dalla sinistra negli ultimi anni, anche tra i membri del governo comincia a prendere corpo la convinzione che bisogna cambiare atteggiamento ed essere più incisivi nella lotta al traffico di esseri umani.

 

La soluzione caldeggiata da Lega e Forza Italia, cioè il blocco navale, ha trovato un interlocutore sensibile nel governo, anzi nel ministero della Difesa, il quale ha subito però precisato che la competenza appartiene alle organizzazioni internazionali. Poca cosa. Il blocco navale, comunque, non garantirebbe l'incolumità dei disperati in ostaggio degli scafisti, i quali potrebbero cercare di forzare il blocco, consapevoli che nessuno aprirebbe il fuoco rischiando di provocare un'altra strage.

 

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Quindi, l'unica soluzione radicale è stroncare sul nascere il traffico criminale, non solo affondando nei porti le imbarcazioni degli scafisti ma, con il supporto dell'intelligence, intercettare e distruggere anche le navi scariche che fanno rotta verso i luoghi di raccolta degli immigrati. Non è un'idea nuova e neppure il parto di una mente xenofoba. Già all'inizio degli anni Novanta, l'Italia usò questa strategia in Albania per stroncare gli affari degli scafisti, con la collaborazione del governo di Tirana.

 

E a rilanciarla recentemente non è stata la Lega, ma l'ex vicepremier di centrosinistra Francesco Rutelli, il quale aveva dichiarato senza mezzi termini che «le emergenze gravi richiedono risposte più forti del passato. Occorre affondare navi e barche gestite dai trafficanti criminali prima che imbarchino le persone».

 

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Secondo Rutelli, serve «un'azione che colpisca i network criminali direttamente nelle centrali direttive, nei porti e nei tragitti prima degli imbarchi. E bisognerebbe partire proprio dalla Libia». Problemi giuridici? Niente che potrebbe fermare questo tipo di operazione. Ci sono infatti due tipi di crimini: il primo contro l'umanità, come è la tratta di esseri umani e il loro abbandono in mare aperto; il secondo contro la navigazione, la cui sicurezza è messa a rischio. «I capi del traffico una volta catturati - aveva spiegato l'ex vicepremier - finirebbero su iniziativa europea davanti al Tribunale penale internazionale».

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Questo significherebbe coinvolgere Bruxelles, ancora tiepida su questo fronte nonostante le stragi. Ma potrebbe essere anche una nostra iniziativa unilaterale, con la collaborazione del governo libico legittimato, come avvenne con l'Albania. Servirebbe poi un chiaro mandato ai militari della nostra Marina di usare la forza nel caso di resistenza armata dei criminali. Non solo per proteggere se stessi, ma anche per evitare che qualche solerte pm a caccia di notorietà si metta in testa di incriminare i nostri ufficiali per aver fatto il proprio dovere.

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