IL PIANO SEGRETO DI B. PER EVITARE LA CACCIATA DAL SENATO: AMMETTERE IL REATO, OPTARE PER I SERVIZI SOCIALI, QUINDI OTTENERE DA RE GIORGIO LA COMMUTAZIONE SOLO DELLA PENA ACCESSORIA. OSSIA, SOLO L’INTERDIZIONE DAI PUBBLICI UFFICI…

Claudio Tito per "La Repubblica"

Commutare solo la pena accessoria. Ossia, solo l'interdizione dai pubblici uffici. È questa la carta segreta che gli uomini di Silvio Berlusconi vogliono giocare in queste ore. Il Cavaliere, impressionato anche dagli effetti rovinosi di una crisi (per ora solo minacciata) sui titoli delle sue aziende quotate in Borsa, ha dato carta bianca a Gianni Letta per verificare se questa strada sia concretamente praticabile. La "mission" però è piuttosto complicata. E sta irritando il Quirinale.

CHE già prima di Ferragosto aveva avvertito esplicitamente che non avrebbe più tollerato forme di pressione su qualsiasi tipo di atto di clemenza.

L'operazione infatti consiste non solo nel convincere Napolitano a garantire con quest'ultimo stratagemma "l'agibilità politica" del leader del centrodestra, ma anche nel persuadere Palazzo Chigi e soprattutto il Pd a prendere un po' di tempo.

E già, perchè per attivare questo «nuovo meccanismo» - che verrebbe avviato con una richiesta formale degli avvocati di Arcore - bisognerebbe aspettare che la Corte d'appello di Milano emetta la sua decisione proprio sull'interdizione. La sentenza è prevista per i primi giorni di ottobre.

Fino ad allora, quindi, gli "ambasciatori" del Pdl devono trovare il modo di non rendere operativa la decadenza in base alla legge Severino. In sostanza allungare i tempi d'esame nella Giunta per l'immunità e nell'aula del Senato. In effetti la procedura già prevede delle tappe che non possono essere bypassate e che di fatto portano al voto finale, quello in aula, per metà ottobre. Ma potrebbe non essere sufficiente.

Per questo l'intero centrodestra sta insistendo per il ricorso alla Corte costituzionale sull'interpretazione delle norme varate dall'ex Guardasigilli. Ipotesi che già in tre precedenti occasioni la Giunta di Palazzo Madama aveva teoricamente ammesso pur bocciandola al momento del voto. Al di là del giudizio di merito che la Consulta darebbe sul ricorso, comunque, si prenderebbe tempo.

«E se il Quirinale decidesse nel frattempo di poter concedere la grazia o la commutazione della sola pena accessoria - chiedono gli uomini di Berlusconi - come farebbe il Senato a esprimersi poi contro una scelta del presidente della Repubblica anche se in riferimento ad un'altra legge?». Ossia, come potrebbe la Giunta votare per la decadenza se il Colle fosse intervenuto nel frattempo a favore della cosiddetta "agibilità politica"? In quel caso, infatti, Berlusconi sconterebbe la pena principale agli arresti domiciliari - e questo secondo le colombe berlusconiane potrebbe convincere il Pd - ma continuerebbe la sua attività di parlamentare.

Questa soluzione però impone alcune precondizioni. A cominciare dal fatto che il Pdl non dovrebbe staccare la spina al governo Letta. Non è un caso allora che lunedì il leader del centrodestra abbia dato un bel colpo di freno ai "falchi" del suo partito. Anche perchè il pressing della famiglia (che ieri sera ha visto a cena), di Fedele Confalonieri e di Gianni Letta sta incrinando alcune delle certezze del Cavaliere. L'andamento in Borsa del titolo Mediaset ha confermato le paure di Marina, del presidente del Gruppo e pure di Ennio Doris.

Non è nemmeno un caso che nelle ultime ore Enrico Letta sia tentato di accedere alle richieste del Pdl sull'Imu. Abolirla per tutti (almeno per quest'anno) ad eccezione degli immobili di lusso. Perchè la partita Imu è ormai strettamente intrecciata alla decadenza del Cavaliere. Sarebbe insomma un altro modo per prendere tempo.

Per il Partito democratico, però, la partita rischia di essere scivolosissima. A meno che non sia il capo dello Stato (che però nel comunicato del 13 agosto aveva riferimento solo alla pena principale) a offrire un gancio cui appendere il "salvataggio" del Cavaliere. Il presidente del Consiglio, d'intesa con Napolitano, ripete da giorni che «sarebbe una follia andare a elezioni in autunno». Anzi, per l'inquilino del Colle è impossibile.

Ma sia il premier sia il segretario Pd non sono disposti ad accettare trattative su «percorsi opachi». Solo alcune voci «autonome» tra i democratici si sono dichiarate disponibili a un dialogo.

Anche la suggestione di una nuova maggioranza non persuade del tutto il Colle e nemmeno il segretario democratico Epifani. Il M5S non viene considerato affidabile e debole la pattuglia dei presunti dissidenti Pdl. Il capo del governo e il leader pd temono che i venti senatori di cui si parla in queste ore, al momento della verità si riducano drasticamente non ottenendo, in cambio del «tradimento», garanzie su una futura rielezione. E comunque si tratterebbe di una maggioranza ingestibile e risicatissima, costretta a far convivere Pd, Scelta civica, Sel e i fuorisciti del centrodestra. «A quel punto - dicono a Largo del Nazareno - meglio votare». Mettendo in campo Matteo Renzi.

Semmai qualcuno, anche dentro il Pdl, si sta interrogando sulla possibilità di sfruttare ora la situazione per dare corpo ad un nuovo centrodestra "deberlusconizzato". Ma le paure che attraversano quel partito sono spesso insormontabili e soprattutto manca, al momento, un leader che si assuma la responsabilità di dire - come qualche ministro di centrodestra ha fatto riservatamente in questi giorni - «tra Berlusconi e l'Italia, questa volta scelgo l'Italia».

La soluzione alternativa dunque è prendere tempo. Far passare i giorni significherebbe spostare l'asticella del voto del prossimo autunno. E a Palazzo Chigi fanno già di conto: perché la data ultima per sciogliere le Camere e aprire le urne nel 2013 è stata già fissata nei colloqui informali avuti dalle massime istituzioni: il giorno limite è il 15 ottobre. Se lo si supera, la consultazione elettorale deve in ogni caso slittare al 2014. C'è già chi invoca un precedente - molto lontano - di voto congiunto per le europee e per il parlamento nazionale (3 e 10 giugno 1979). La partita è ancora lunga, e l'arbitro più importante resta il presidente della Repubblica.

 

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