RENZI: “PD-LEAKS? LO CONOSCEVO, MAI USATO”

Giovanna Casadio per "la Repubblica"

Il "Pdleaks" ribolle da almeno cinque mesi. Da ottobre scorso - riconosce Matteo Renzi c'era «un documento che girava tra tutti gli addetti ai lavori e volutamente evitai di utilizzarlo, anche al ballottaggio per la premiership ». Il sindaco "rottamatore" si difende dall'accusa di essere lui il regista del dossier anonimo sul Pd. Ne era uscita qualche anticipazione, ma ieri su sito "dagospia" ecco spiattellati costi, stipendi, e tutto quello che viene implicitamente indicato come zavorra e spreco d'apparato del partito che usa i finanziamenti pubblici.

Il dossier comincia con lo stipendio al lordo (90 mila euro annui) del capo segreteria di Bersani, Zoia Veronesi e, passando per il reddito (tra i 1.800 e i 2.000 euro mensili) delle segretarie del tesoriere Antonio Misiani (parlamentare e perciò non a carico del partito), approda agli 8 mila euro al mese («Però lordi») del responsabile feste Lino Paganelli. Ma soprattutto denuncia una pletora di forum, dipartimenti, sottodipartimenti, distacchi di personale e spese d'organizzazione che costano in tutto 12 milioni e mezzo di euro.

Misiani ha annunciato denunce penali e civili: «È una "due diligence" all'amatriciana (o meglio alla ribollita...), verrebbe da dire». E basta questo - cioè, il riferimento alla Toscana - per dedurre da dove il tesoriere pensi che arrivi il siluro. Il sindaco di Firenze, il "rottamatore" Renzi - che con alcune dure bordate alla linea del segretario Bersani ha mostrato in questi giorni di essere ridisceso in campo - non ci sta. «Io non c'entro niente, non ho dato niente a nessuno, non faccio dossier e non faccio neppure polemica politica con il mio partito in questo modo».

Quando ieri mattina hanno visto esposti sul web i loro stipendi, i circa 200 dipendenti del partito sono rimasti di sasso. Qualcuno ha provato a scherzarci, soprattutto quelli che hanno scoperto dal dossier di guadagnare più di quanto non sia. «Mi hanno chiesto l'indennità-dossier», racconta Misiani. Però la tensione è fortissima: si parla anche di scissione. Una guerra di veleni. La ricerca del "corvo". Il timore che il Pd, già provato dal risultato elettorale, finisca in frantumi. Anche sul "Corriere della sera" c'erano state anticipazioni sulle analisi delle spese del Pd, su cui era tornato anche "Libero" per parlare di un «Renzi "grillino"».

Se Grillo infatti ha invitato Bersani a rinunciare al finanziamento pubblico al partito (#bersanifirmaqui), anche Renzi è per l'abolizione dei soldi pubblici. L'alt ai rimborsi elettorali è diventato la madre di tutte le battaglie anticasta. E di certo, il Pd di Renzi "rottamerebbe" la macchina-partito, così come, durante le primarie per la premiership, il sindaco aveva chiesto di "rottamare" la nomenklatura.

«Se non ho usato quel dossier a ottobre, perché dovrei farlo ora? - ripete - Girava perché là dentro qualcuno lo aveva redatto per una polemica tra qualche funzionario. Detto questo, resto della mia opinione: sono contrario al finanziamento pubblico. Non intendo però sabotare Bersani ». Il segretario Pd sui rimborsi avverte: sì alla riduzione e alla trasparenza, ma la politica non può essere per soli ricchi.

Stefano Di Traglia, portavoce di Bersani (guadagno 4 mila euro mensili, come da dossier) si sfoga: «Chi volesse usare strumenti di questo tipo, non può guidare una organizzazione e tantomeno un governo». Frecciate al curaro anche da Matteo Orfini, appena diventato parlamentare e per tre anni responsabile cultura con uno stipendio di 3.300 euro al mese. «Non c'era bisogno di scomodarsi, bastava chiedermelo...il dossier serve a gettare fango, è una barbarie, molti dati sono anche falsi. Quereliamo e così, abolito il finanziamento pubblico, il partito si manterrà con le querele vinte».

«L'atmosfera è pesante», afferma Paganelli. Renziano, Paganelli è stato uno dei sospettati del dossier: «Sono amareggiato», afferma. Rosy Bindi, a cui viene assegnato uno staff di 5 persone a carico del partito, smentisce. Querelerà.

 

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