QUELL’ “ITALIAN JOB” FINITO NELLA MERDA - SELDON LADY RACCONTA COME LA CIA LO HA ABBANDONATO AL SUO DESTINO DOPO LA RENDITION DI ABU OMAR

Matthew Kaminski per "The Wall Street Journal" pubblicato su MF/Milano Finanza e ripubblicato da "Il Foglio" - Traduzione di Eugenio Cau

Quando l'anniversario dell'attacco dell'11 settembre si stava avvicinando quest'anno, Robert Seldon Lady si aggirava per hotel di infima categoria attorno a Miami. Un ordine d'arresto internazionale gli impedisce di tornare a casa sua, a Panama. Dice di vedere vicina la bancarotta, ha paura per la sua vita, "sto diventando piuttosto disperato". Il suo matrimonio è finito, e lui dà le colpe di tanta sfortuna al suo ex datore di lavoro, la Cia.

Dieci anni fa, Lady era in prima linea nella lotta americana contro il terrorismo dopo l'11 settembre: guidava l'ufficio italiano della Cia a Milano. Nel discorso sullo stato dell'Unione del 2003, il presidente Bush attribuì a lui e ad altri suoi colleghi, pur non nominandoli, il merito di aver smantellato alcune cellule di al Qaida a Milano. "Abbiamo messo i terroristi in fuga", disse Bush, "e continuiamo a farlo".

L'impiego italiano di Lady coronava quasi un quarto di secolo di carriera come agente sotto copertura della Cia in America latina, Asia, Europa. Tre settimane dopo e un anno prima della sua pensione, Lady aiutò i contractor e gli agenti della Cia a prelevare un islamista egiziano per le strade di Milano e a mandarlo in una camera per gli interrogatori al Cairo. Questa cosiddetta "extraordinary rendition" - una delle più di 130 messe in atto dall'Amministrazione Bush - misero in moto gli eventi che avrebbero incrinato le relazioni tra America e Italia e sconvolto la vita e la carriera di Lady e di altri agenti della Cia.

Il 17 febbraio del 2003 Osama Mustafa Hassan Nasr, un uomo corpulento e barbuto sui 40 anni, sparì sulla strada verso la sua moschea di Milano per la preghiera di metà giornata. L'uomo, meglio conosciuto come Abu Omar, era considerato dalla Cia e dalla polizia italiana come un reclutatore di al Qaida.

La sua famiglia e la polizia italiana non trovarono indizi che potessero ricondurre a lui. Quattordici mesi dopo, Abu Omar riemerse da una prigione, chiamò sua moglie dall'Egitto e descrisse il suo rapimento e i maltrattamenti subiti. Le autorità italiane ascoltarono l'intercettazione della telefonata e iniziarono a indagare sul suo rapimento.

La loro indagine portò alla Cia e al suo uomo a Milano. L'Italia, inizialmente vicina agli Stati Uniti all'indomani dell'11 settembre, si sentì invece indignata quando nel 2005 la presunta violazione di sovranità fu rivelata. Un magistrato combattivo, Armando Spataro, mise sotto accusa 26 americani e 5 italiani - era la prima volta che dei funzionari della Cia venivano portati a processo da un governo amico per il lavoro svolto. Un giudice istruì una causa separata di terrorismo per Abu Omar, ma solo il caso della Cia andò a processo. Gli americani furono condannati in absentia.

La débâcle divenne famosa dentro l'agenzia come l'"Italian job". Lady, che aveva pianificato di andare in pensione e di diventare un consulente per la Sicurezza nazionale dalla casa di campagna che si era comprato in Piemonte coi risparmi di una vita, ricevette la sentenza più dura - otto anni di reclusione, aumentati a nove in appello. Prima che il caso andasse a processo, Spataro ottenne di sequestrare la sua casa e usare il ricavato della vendita per pagare i danni ad Abu Omar.

Lady se ne andò dall'Italia nel 2005 e perse la proprietà. Il suo matrimonio di trent'anni, dice, fu un'altra vittima di quella vicenda. Di tutti gli agenti condannati, Lady è l'unico che ancora deve affrontare la prigione - la sua pena fu ridotta dal ministro della Giustizia a sei anni nel 2012. E' anche l'unico che gli italiani stanno cercando attivamente di catturare. Il governo americano gli ha detto che lo scorso anno l'Italia ha emesso un mandato di arresto nei suo confronti, ma lui non l'ha visto.

Due mesi fa Panama lo ha tenuto imprigionato per 24 ore mentre stava passando in Costa Rica, ma ha ignorato le richieste del ministro della Giustizia italiano per tenerlo in detenzione più tempo. Gli Stati Uniti gli hanno detto di lasciare la sua casa e la sua attività a Panama a proprie spese, dice, e di starsene buono un paio d'anni in America. Lady, che ha 59 anni, dice che ha bisogno di viaggiare all'estero per guadagnarsi da vivere. A cena a Coral Gables, Miami, con il suo avvocato, Tom Spencer, Lady si definisce "una pignatta".

Dopo essersi ritirato dalla Cia nel 2004, dice di essere rimasto solo e di essere stato un bersaglio facile: abbandonato dagli Stati Uniti e trasformato in un capro espiatorio dagli italiani. "L'intelligence americana ha fatto quadrato intorno ai dirigenti più alti della Cia per proteggerli", dice. La sua copertura a Milano era viceconsole nel dipartimento di stato, ma il governo americano non ha nemmeno cercato di far valere la sua immunità diplomatica.

Gli Stati Uniti hanno però fatto valere l'immunità diplomatica per Jeffrey Castelli, il direttore della stazione della Cia in Italia e suo capo, ma è stata in seguito revocata da un giudice italiano. Castelli è stato condannato a febbraio a sette anni di prigione con l'accusa di rapimento, ed è in attesa dell'Appello. Washington non ha mai ammesso che la Cia fosse dietro la rendition.

"Sono vittima delle chiacchiere americane", dice Lady. "L'Italia è un alleato molto stretto", e gli Stati Uniti "avrebbero dovuto trovare una soluzione". Dice di aver ricevuto un risarcimento dal governo ma che questo non è stato sufficiente per coprire tutte le perdite. Anche ora l'agenzia non sta pagando le sue spese legali, dice. La politica dell'antiterrorismo è cambiata in America e ora la pratica della rendition è vista con sfavore, anche se ancora praticata.

Lady dice di aver chiamato i numeri di telefono della Cia che gli erano stati forniti in caso di bisogno, ma senza fortuna: "So che hanno istruzione di non rispondermi. E' terribile essere trattati così dopo aver dato 24 anni della mia vita... per quel che ne so, se mi puntassi una pistola alla tempia e mi facessi scoppiare la testa loro sarebbero contenti, avrebbero risolto un problema. Stapperebbero lo champagne".

Raccontando la sua storia, Lady mostra amarezza, che a volte sembra autocompiacimento. Mentre le sue pene hanno avuto poca attenzione negli Stati Uniti, in Italia Lady è il simbolo delle politiche antiterrorismo dell'èra Bush. Lady ha portato le sue richieste d'aiuto al governo italiano. L'undici settembre di quest'anno ha scritto al presidente italiano Giorgio Napolitano per chiedere "perdono personale e grazia legale".

Lady dice di aver salvato vite di italiani e americani sventando numerosi attacchi terroristici, e che non aspetterà una risposta italiana per sempre. E' pronto a prendersi le proprie responsabilità - cosa che, dice, i suoi boss non hanno mai fatto - di consegnarsi "alle proprie condizioni", scontare la sua pena in carcere e riavere la sua vita indietro. Potrebbe stare bluffando. L'Italia non ha mai chiesto agli Stati Uniti di estradare gli agenti condannati. "Se l'Italia crede di avere la volontà politica di arrestare un ex ufficiale della Cia e di tenerlo in prigione per sei anni, chapeau", dice.

Mentre si svolgeva il dramma della rendition, Lady è stato dipinto - nei tribunali italiani, sui media e in un libro del 2010 di Steve Hendricks, "Un rapimento a Milano: la Cia sotto processo" - sia come la mente dietro al piano sia come un marginale agente in disaccordo. Lui sostiene la seconda tesi, insistendo di aver contestato la decisione di rapire Abu Omar.

Sabrina de Sousa, un agente della Cia a Roma e Milano anch'essa condannata in absentia dagli italiani, ha detto alla Msnbc quest'estate: "Bob non voleva in nessun modo che la rendition avvenisse". De Sousa ha citato in giudizio Lady e il loro boss a Roma, Jeff Castelli, per aver rovinato la sua carriera.

Il caso è stato archiviato. Lady dice di essersi opposto al rapimento di Abu Omar, ma non alle rendition di per sé: "Penso che le rendition siano una delle nostre attività più vecchie, succedono da sempre". Lady ha contribuito a organizzare la cattura del signore della droga Ramón Matta Ballesteros dall'Honduras e a trasferirlo negli Stati Uniti nel 1988, dice.

Nel 1998, Roma chiese aiuto agli Stati Uniti per scovare un boss della mafia dal suo esilio latinoamericano, continua Lady. "Era in un paese dove poteva corrompere i giudici e i funzionari", dice, rifiutando di dire il nome del paese o del criminale. "Abbiamo attirato l'uomo a Panama, lo abbiamo catturato e girato agli italiani. Zero estradizione, niente". L'uomo rapito è stato imprigionato in Italia, dice Lady.

Più di recente, l'Italia ha lavorato con la Cia per prendere un membro di al Qaida - "un pesce grosso" - e sbatterlo in una prigione egiziana "per sempre", dice, "ma non posso dire i dettagli". Pensando alla sua situazione attuale, Lady dice di essere colpito dall'"ipocrisia dell'intero affare". Bill Clinton aveva approvato le extraordinary rendition come avevano fatto tutti i presidenti prima di lui.

"In ogni caso, in qualsiasi rendition sia mai stato coinvolto, i governi locali hanno sempre collaborato come partner", dice Lady, e il caso di Abu Omar non fa eccezione. E' ancora poco chiaro e controverso chi in Italia sapesse della rendition di Omar. Il governo di Silvio Berlusconi, allora in carica, negò ogni conoscenza diretta.

La controparte italiana della Cia, il Sismi, era a conoscenza dell'operazione. Un poliziotto italiano che ha testimoniato di essere stato assoldato da Lady nell'operazione fermò Abu Omar per strada per controllare i suoi documenti pochi momenti prima che gli agenti americani lo buttassero dentro un furgoncino bianco.

Lady nega di aver assoldato il poliziotto per la rendition, e dice: "Sono sicuro che sia stato costretto a dire così per ottenere l'immunità". Lady non ha dubbi che il governo italiano abbia partecipato all'operazione. "Tutto quello che facevamo in Italia era condiviso, tutto", dice. "L'Italia è uno dei nostri più stretti alleati.

Il nostro solo interesse in Italia è lavorare su obiettivi comuni". Lady, che è arrivato in Italia nel 2000, ha sviluppato una stretta relazione personale con la polizia antiterrorismo italiana. Dice di aver portato Abu Omar all'attenzione degli italiani mesi prima dell'undici settembre, indicandolo come un militante sempre più influente.

Dopo gli attacchi al World Trade Center e al Pentagono, gli operatori sul campo furono messi sotto pressione per prendere "misure decise", come dice il titolo del memoriale dell'ex capo dei servizi clandestini della Cia José Rodriguez, per produrre "legittime, funzionali informazioni di intelligence contro i terroristi", dice Lady. "Erano tempi disperati. Lavoravamo senza sosta".

Dice che il suo diretto superiore, Jeffrey Castelli, voleva organizzare una rendition memorabile per spingere la sua carriera. Definisce Castelli "rifiuto umano" e dice che il sentimento era reciproco. (Castelli, che da allora ha lasciato la Cia, non ha risposto alle richieste di commenti trasmesse al suo ufficio).

Il capo della stazione della Cia di Roma insistette nel rapire Abu Omar nonostante le obiezioni di Lady e lo scetticismo di Washington, secondo Lady e Sabrina de Sousa. Lady dice che Abu Omar era "un brutto ceffo", ma "non una figura di spicco di al Qaida". Era preoccupato che la sua cattura avrebbe irritato la polizia italiana, che aveva speso tempo e risorse nella sua sorveglianza.

Una volta che Washington ebbe approvato la rendition, Lady dice che gli fu detto di "farlo o togliersi dai piedi". Perché non dimettersi? "Ero a un anno dalla pensione", dice dopo una lunga pausa. "Tu getteresti al vento 23 anni di carriera e ti dimetteresti senza una pensione?". Come gli investigatori italiani hanno dimostrato con dettagli umilianti, l'"Italian job" era un'operazione sciatta.

Le diverse decine di agenti coinvolti nella rendition - molti di più, dice Lady, dei 20 identificati dagli italiani - usarono telefoni cellulari e pagarono camere d'hotel con carte di credito facilmente riconducibili a loro. La polizia italiana perquisì la casa di Lady nel 2005. Trovarono una foto di Abu Omar nel suo computer e un biglietto aereo da Zurigo al Cairo pochi giorni dopo il rapimento dell'imam.

Lady dice di aver preso parte ad alcuni degli interrogatori in Egitto, ma di non aver mai visto Abu Omar torturato. "Non siamo un'organizzazione equipaggiata per fare il lavoro che loro cercavano di fare". "Penso che i Ringling Brothers (celebri circensi della fine dell'Ottocento, ndt) avrebbero fatto un lavoro migliore".

Fu dipinto come "il direttore del circo", dice, "ma non lo ero". Gli agenti locali della Cia sul campo aiutano ma sono tenuti a distanza da queste operazioni per preservare la "smentibilità", dice, aggiungendo di non aver mai incontrato gli agenti che hanno pianificato ed eseguito la rendition. Il caso Abu Omar ha avvelenato le relazioni con l'Italia e imbarazzato la Cia.

Le ricadute hanno anche danneggiato gli sforzi dell'antiterrorismo, dice Lady: "La politica in Italia ha reso molto più difficile perseguire i terroristi. In tutta Europa devi praticamente beccarli con una bomba in mano, e se questa non scoppia diranno che era un giocattolo". L'ipertrofica burocrazia della Cia ha demoralizzato gli agenti sul campo come lui.

Dopo aver speso molti anni presso il Mukharabat egiziano, Abu Omar vive ad Alessandria. E' ricercato in Italia. Perso nel suo limbo legale, Lady si ritiene "un prigioniero in attesa di giudizio". Dice che l'agenzia gli ha detto di aver identificato delle minacce contro di lui sui siti legati ad al Qaida. A volte, dice, "mi sveglio al mattino e vorrei urlare al mondo, dire finalmente la verità su tutto". La storia raccontata per intero causerebbe uno "scandalo", per usare le sue parole. "Ma non posso. Ho fatto un giuramento e penso che morirò con questo giuramento".

Un giuramento alla Cia, l'istituzione di cui dici che ti ha tradito? "Ho fatto un giuramento alla bandiera. Con l'istituzione mi ci pulisco il [volgarità]. Ma la bandiera io non la tradirò mai. Penso che l'istituzione stia tradendo il mio Paese.

 

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