STUDIARE NON SERVE: ANDATE A LAVORARE - VISCO (BANKITALIA): IN ITALIA L’UNIVERSITÀ NON È UN VALORE AGGIUNTO

Da www.ilmessaggero.it

Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, intervenuto al X Forum del Libro "Passaparola investire in conoscenza, cambiare il futuro" di Bari, affronta le maggiori problematiche del Paese riguardo istruzione e lavoro, lanciando l'allarme: «Il livello di istruzione dei giovani è ancora distante da quello degli altri paesi avanzati».

«In Italia c'è un analfabetismo funzionale», caratterizzato da competenze inadeguate. Perciò, secondo il governatore, c'è necessità di investire in «capitale umano», ed «è fondamentale il rilancio della scuola e dell'università. Risorse adeguate andrebbero previste per sistematiche azioni di recupero e sostegno delle scuole in maggiore difficoltà, concentrate nelle regioni del Sud, e per il contrasto alla dispersione scolastica».

«I dati Eurostat mostrano che "studiare conviene"», ha fatto notare Visco, «perché rende più probabile trovare un lavoro. In Italia, tuttavia, studiare conviene meno: per i laureati tra i 25-39 anni, la probabilità di essere occupati era pari a quella dei diplomati (73%) e superiore di soli 13 punti percentuali a quella di chi aveva conseguito la licenza media». Basti pensare infatti che nel 2011 in media nell'Ue lavorava l'86% dei laureati contro il 77% dei diplomati.

Secondo il governatore «occorre un salto di qualità del settore produttivo: abbiamo bisogno di imprese più grandi, più tecnologiche, più internazionalizzate; la politica deve agire per creare le condizioni favorevoli all'attività d'impresa e alla riallocazione dei fattori produttivi verso le attività in espansione».

In questi anni, aggiunge Visco, «non è mancata la spinta riformatrice, ma si è sviluppata in modo non sempre organico; in molti casi il processo di attuazione stenta a completarsi e le amministrazioni tardano a modificare i loro comportamenti».

«Viviamo una congiuntura economica molto difficile, che sta imponendo gravi sacrifici a gran parte delle famiglie italiane». Una crisi che «è il risultato di un forte e diffuso indebolimento della capacità del nostro paese di crescere e competere».

 

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