ANCORA LACRIME NAPOLETANE PER IL BANANA: WOODCOCK CHIEDE ALTRI SEI MESI D'INDAGINE PER FINANZIAMENTO ILLECITO A “ITALIANI NEL MONDO” - LE NOZZE KITSCH, CON ESIBIZIONI VIP E BUSTE DA 100 MILA EURO, DEL PADRINO ANTONIO LO RUSSO

Dagoreport

1. MUSICA, PADRINO!
Appassionato di pallone, anzi un patito del manto verde. Un maniaco, a sentire chi lo conosce. Per di più amico di parecchi calciatori del Napoli (con il Pocho Lavezzi giocava pure a PlayStation). E soprattutto rampollo in carriera di un clan che, con la droga, il racket e il calcioscommesse, ha fatto i miliardi. Chi è davvero Antonio Lo Russo, il boss arrestato in Francia dai carabinieri dopo 4 anni di latitanza? Col pentimento del padre Salvatore, era destinato a prendere il comando della famiglia. E, come tale, sarebbe entrato di diritto nell'Olimpo kitsch del crimine campano.

Leggete un po' che cosa racconta il pentito Armando De Rosa sul giovane padrino: "L'ho conosciuto in occasione in cui cui organizzammo una partita di calcetto sul campo che si trova nel rione San Gaetano e che fu costruito in occasione del matrimonio di Antonio Lo Russo quale regalo fattogli da Cesare Pagano (altro boss di Scampia, ndr)".
Manco JR avrebbe regalato un campo di calcio a un amico. Ma tant'è.

"La cerimonia fu fatta presso un ristorante che si trova a Pozzuoli... Cesare Pagano aveva fatto a Lo Russo anche una busta di 100mila euro... c'erano cantanti famosi e sentii fare i nomi di Lucio Dalla, Sal Da Vinci, Gigi Finizio e c'era il maestro Demo Morselli o comunque qualcosa del genere che lavora a Canale5".

Non male per uno che, all'epoca, aveva venticinque anni o giù di lì.
Poi, la stoccata alle forze dell'ordine del collaboratore di giustizia: "Ci raccontarono che nell'occasione ci fu anche un controllo della polizia o dei carabinieri, ora non ricordo. Fu a loro chiesto chi fossero i presenti e il direttore del ristorante, ironizzando, avrebbe risposto che erano tutti imprenditori milanesi... e la cosa era finita lì".

2. COMPRAVENDITA, ALTRE INDAGINI SUL CAVALIERE
Dario Del Porto per "Repubblica"

È sempre m movimento il fronte giudiziario napoletano del Cavaliere. La procura chiede altri sei mesi di indagini sull'ipotesi di finanziamento illecito configurata per le somme versate dall'ex premier Silvio Berlusconi al movimento Italiani nel Mondo dell'ex senatore del Pdl Sergio De Gregorio. I fatti sono gli stessi per i quali Berlusconi è già stato rinviato a giudizio assieme a Valter Lavitela con l'accusa di corruzione nel processo sulla compravendita di senatori ricominciato giusto ieri a Napoli.

Ai magistrati De Gregorio ha riferito di aver ricevuto fra il 2006 e il 2008 tre milioni di euro per passare con il centrodestra (era stato eletto con l'Italia dei Valori) e «sabotare» così il governo guidato da Romano Prodi. Sulla base di queste dichiarazioni, i pm Henry John Woodcock, Vincenzo Piscitelli, Fabrizio Vanorio e Alessandro Milita, contestano a Berlusconi i reati di corruzione e finanziamento illecito. Per il primo reato si sta svolgendo il dibattimento, mentre De Gregorio ha patteggiato la pena.

Per il secondo, le indagini sono invece ancora in corso: gli inquirenti hanno notificato una richiesta di proroga depositata, insieme ad altra documentazione, durante l'udienza di ieri del processo sulla corruzione. Il dibattimento è stato rinviato al 23 aprile per consentire alla difesa (gli avvocati Michele Cerabona e Niccolo Ghedini per Berlusconi, Maurizio Paniz e Antonio Cirillo per Lavitela, Bruno La Rosa, che assiste Forza Italia in qualità di responsabile civile) di leggere gli atti.

Intanto il Csm esclude addebiti nei confronti di uno dei giudici a latere del processo, Nicola Russo. Prima di indossare la toga, il magistrato aveva aderito a un comitato a sostegno di Romano Prodi. Con 19 voti favorevoli, nessuno contrario e tre sole astensioni, il plenum chiude la vicenda definendo «assolutamente corretto» il comportamento del giudice Russo, che aveva comunicato al presidente del Tribunale Carlo Alemi quella circostanza risalente al 1996, e ritenendo «non censurabile» il provvedimento con il quale Alemi aveva ritenuto non sussistenti gli estremi perché il collega dovesse lasciare il processo.

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