ADELPHI, LA BIBLIOTECA CHE MANDÒ L’ÉLITE NEL CAOS

Antonio Gnoli per "la Repubblica"

Vado a trovare Roberto Calasso a Milano dopo aver letto L'impronta dell'editore:
una raccolta di saggi, che ha dentro alcune analisi sottili e più di qualche ricordo personale. È un libro che colpisce per la forza con cui scardina dall'interno il mondo dell'editoria. Dando vita a una storia parallela unica. L'"impronta" è personalissima, ma rimanda altresì al marchio. E il marchio Adelphi sta per compiere cinquant'anni.

Dopo circa due ore di conversazione nel suo studio in casa editrice, Roberto Calasso si gira verso la parete di libri che ha alle spalle ed estrae un volume. Lo fa con una certa sorpresa, esclamando un «ma tu guarda dov'era finito!». In copertina un disegno di Kokoschka ritrae Adolf Loos. «È una biografia che Claire Loos scrisse con l'intento di tirare su un po' di soldi per la tomba del marito. Un libro delizioso, ricco di fotografie e di piccoli fatti. Diceva Josephine Baker che Adolf Loos era il miglior ballerino di charleston in tutta Parigi». Sublime aneddotica che esce fuori da un gesto casuale come è quello di ritrovare senza volerlo un libro creduto perso.

Quando nacque la casa editrice?
«Posso dire il giorno preciso in cui Bazlen me ne parlò per la prima volta, perché era quello del mio ventunesimo compleanno, maggio 1962. Ci trovavamo nella villa di Ernst Bernhard, sul lago di Bracciano. Il nome Adelphi non c'era ancora. Bazlen mi disse che stava per nascere la casa editrice dove avremmo potuto vedere pubblicati i libri più importanti per noi. E mi diede subito qualcosa da leggere».

Quali erano i libri che Bazlen aveva in mente?
«Quando parlava dei libri che gli premevano di più, Bazlen li chiamava i libri unici».

Unici in che senso?
«Scritti da chi, per una ragione o per l'altra, aveva attraversato un'esperienza unica, che si era depositata in un libro. L'esempio più eloquente fu in questo senso il romanzo di Alfred Kubin L'altra parte. Un libro che nasceva da un delirio durato alcuni mesi. Nulla di simile Kubin aveva scritto prima, né scriverà dopo. Il romanzo uscì nel 1965 e inaugurò insieme a Padre e figlio di Edmund Gosse e al Manoscritto trovato a Saragozza di Potocki la "Biblioteca Adelphi"».

Da allora a oggi la collana ha pubblicato oltre 600 titoli. E solo a ripercorrerla mentalmente si nota una certa sconnessione.
«In un primo momento ci fu qualche sconcerto. Alcuni non capivano che cosa tenesse insieme un testo tibetano, un libro popolare di etologia, un trattato sul teatro. No, un libro vittoriano di memorie familiari. Erano libri come meteore. Poi, col tempo, la situazione si rovesciò. Oggi le connessioni e le tensioni percepibili fra i titoli della Biblioteca sono più fitte e più forti che in qualsiasi altra collana editoriale. Questo fu capito da molti lettori, che sapevano di trovare qui molte sorprese attraenti e affini. Così la connessione divenne un punto di forza».

Fissiamo qualche dettaglio. Nei primi anni l'Adelphi fa dei bei libri ma prevale la sensazione di una raffinatezza fine a se stessa: un piccolo club per pochi eletti. Poi, verso la metà degli anni Settanta, la svolta. Improvvisamente si accendono i riflettori su un autore che avevate cominciato a pubblicare: Joseph Roth.
«Non so che cosa possa voler dire "raffinatezza fine a se stessa" e certamente si tratta di una categoria che solo i più stolidi avrebbero potuto applicare ad Artaud, Milarepa o sant'Ignazio. È vero però che, intorno a Joseph Roth, ma anche a Hofmannsthal, Kraus, Schnitzler, si cristallizzò una passione nei lettori: scoprivano una parola magica, Mitteleuropa, e in particolare la Vienna dei primi trent'anni del Novecento. Con buone ragioni: è lì che si sono addensate, in tutti i campi, dalla letteratura alla scienza, alla psicoanalisi, all'arte, alcune scoperte centrali di cui viviamo ancora. E non credo che siamo andati molto avanti rispetto ad allora».

Ma perché proprio Roth - e penso a Fuga senza fine - diventò uno dei punti di riferimento per i giovani di allora?
«Perché grazie a lui scoprirono, limpidamente tracciato sulla pagina, il caos, il sovvertimento, lo scompiglio mentale che è poi lo stato cronico in cui il mondo si trova da allora».

Ne L'impronta dell'editore definisce il Novecento il secolo dell'editoria. Perché?
«Certamente è stato un secolo di grande editoria, ben più dell'Ottocento. Tra la fine dell'Ottocento e gli anni Trenta del Novecento, figure come Kurt Wolff, Gaston Gallimard, Alfred Vallette, Ernst Rowohlt, Allen Lane, James Laughlin, Samuel Fischer hanno inventato profili nuovi per l'editoria in genere. Con loro ha inizio, spesso in una stretta cerchia di amici, un gusto, un modo di intendere e di giudicare che prima non esisteva».

Sono figure che spesso oscillano tra l'azzardo, il rischio e la seduzione.
«È un mestiere pericoloso, dove è facilissimo perdere soldi. Ma dove ci si può anche molto divertire».

Tra le figure di primo piano dell'editoria del Novecento lei ha inserito Giulio Einaudi.
«È stato uno dei grandi editori europei e anche quello con il quale ci siamo trovati in evidente contrasto. Una situazione che ha fatto molto bene a entrambe le parti. Ed è particolarmente triste constatare che oggi non c'è quasi più nulla con cui contrastare».

In che cosa fu grande?
«Nel capire la situazione particolarmente favorevole che esplose dopo il 1945, con l'Italia liberale e di sinistra, oscillante tra Croce e Amendola. Einaudi riuscì in un brillante gioco di prestigio: essere protettivo verso il Pci e intanto farsi proteggere dal partito. L'Einaudi fu la forma più alta del sovietismo europeo. Adelphi invece con il sovietismo non ha mai avuto a che fare».

A dividervi ci fu anche l'edizione Nietzsche.
«Non ci fu nessuna contesa. Einaudi aveva capito che pubblicare qualcosa di Nietzsche era una buona idea. Ma dovette, diciamo per "ragioni di Stato", tornare sui suoi passi. Gli apparve chiaro che l'edizione critica di Nietzsche voluta da Colli e Montinari avrebbe cambiato radicalmente la sua casa editrice. Mentre Luciano Foà capì subito che l'edizione di Nietzsche sarebbe diventata l'asse di Adelphi».

Se il Novecento è stato il grande secolo del libro cartaceo, il nostro rischia di rappresentarne la tomba. Come interpreta quello che sta accadendo?
«Tuttora esistono editori intelligenti che fanno libri meglio che possono. Certo, il clima intellettuale non mi sembra memorabile. Fa spavento confrontare ciò che accadde negli anni 1900-1913 con quanto è successo tra il 2000 e il 2013».

Eppure c'è la medesima impetuosa radicalità con cui il nuovo si presentava allora.
«Quello che si nota è la macroscopicità dei fatti che avvengono e una palese incapacità di elaborarli e assorbirli. Imponenti e invadenti, questi fatti non hanno trovato finora un
corrispettivo sulla pagina. Negli anni Quaranta, Auden parlava di Età dell'Ansia. Oggi parlerei di Età dell'Inconsistenza. È questo il carattere dominante, ovunque intorno a noi. E in Italia con particolare evidenza. Comunque, se oggi uno fa l'editore e vuole continuare, non mancano certo le cose - anche enormi - da pubblicare. Ma bisogna esercitare l'occhio».

C'è qualcosa che la preoccupa nella situazione attuale?
«Più che gli ebook e il self-publishing, che sono soprattutto oggetto di tediosissime tavole rotonde, il mio cruccio è che certi libri tendono a sparire dalle librerie, se non hanno vendite costanti, semplicemente perché il libraio non ha lo spazio per esporli. Così un ragazzo di 18 anni ha molte probabilità di non avere mai visto una copia di certi libri magnifici che hanno il difetto di essere usciti venti anni prima. E magari sono i libri di cui più avrebbe bisogno».

Può darci qualche esempio fra i libri Adelphi?
«Parlavamo di Vienna e credo che non molti conoscano Alfred Polgar e le sue Piccole storie senza morale. Forse nessuno apparteneva così intimamente alla fisiologia di quella città, al suo ritmo, al suo respiro. Ma possono essere poco visibili anche libri che metterei fra i dieci indispensabili per chiunque, come il Zhuang-zi, uno dei tre grandi classici taoisti. È più utile leggere il Zhuang-zi che affannarsi sui manuali di filosofia. Comunque, i generi adelphiani sono variegati. Non credo, per esempio, che molti ragazzi di oggi conoscano quello stupendo romanzo di Edward Dahlberg che si chiama Poiché ero carne.

Dahlberg è l'unico americano del secolo scorso che abbia immesso nella sua prosa l'incanto dei grandi classici greci e latini, riscoperti come da un barbaro. E poi consiglierei anche le trascinanti memorie della regina del burlesque Gypsy Rose Lee, libro che finora è rimasto all'interno di una piccola cerchia (forse il solito club di "raffinati"?), o un racconto come Senza domani di Vivant Denon, provocato da una scommessa: come scrivere una storia altamente erotica senza usare parole indecenti. Scommessa vinta».

 

Roberto CalassoJoseph RothGaston GallimardNietzscheGiulio Einaudi

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ignazio la russa

DAGOREPORT - LA RISSA CONTINUA DI LA RUSSA - L’ORGOGLIOSA  CELEBRAZIONE DELL’ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DEL MOVIMENTO SOCIALE, NUME TUTELARE DEI DELLE RADICI POST-FASCISTE DEI FRATELLINI D'ITALIA, DI SICURO NON AVRÀ FATTO UN GRANCHÉ PIACERE A SUA ALTEZZA, LA REGINA GIORGIA, CHE SI SBATTE COME UN MOULINEX IN EUROPA PER ENTRARE UN SANTO GIORNO NELLE GRAZIE DEMOCRISTIANE DI MERZ E URSULA VON DER LEYEN - DA MESI 'GNAZIO INTIGNA A FAR DISPETTI ALLE SORELLE MELONI CHE NON VOGLIONO METTERSI IN TESTA CHE A MILANO NON COMANDANO I FRATELLI D'ITALIA BENSI' I FRATELLI ROMANO E IGNAZIO LA RUSSA – DALLA SCALATA A MEDIOBANCA ALLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA, DAL CASO GAROFANI-QUIRINALE ALLO SVUOTA-CARCERI NATALIZIO, FINO A PROPORSI COME INTERMEDIARIO TRA I GIORNALISTI DI ‘’REPUBBLICA’’ E ‘’STAMPA’’ E IL MAGNATE GRECO IN NOME DELLA LIBERTÀ D’INFORMAZIONE – L’ULTIMO DISPETTUCCIO DI ‘GNAZIO-STRAZIO ALLA LADY MACBETH DEL COLLE OPPIO… - VIDEO

brunello cucinelli giorgia meloni giuseppe tornatore

A PROPOSITO DI…. TORNATORE – CRISI DEL CINEMA? MA QUALE CRISI! E DA REGISTA TAUMATURGO, NOBILITATO DA UN PREMIO OSCAR, CIAK!, È PASSATO A PETTINARE IL CASHMERE DELLE PECORE DEL SARTO-CESAREO CUCINELLI - MICA UN CAROSELLO DA QUATTRO SOLDI IL SUO “BRUNELLO IL VISIONARIO GARBATO”. NO, MEGA PRODUZIONE CON UN BUDGET DI 10 MILIONI, DISTRIBUITO NELLE SALE DA RAI CINEMA, ALLIETATO DAL MINISTERO DELLA CULTURA CON TAX CREDIT DI 4 MILIONCINI (ALLA FINE PAGA SEMPRE PURE PANTALONE) E DA UN PARTY A CINECITTA' BENEDETTO DALLA PRESENZA DI GIORGIA MELONI E MARIO DRAGHI - ET VOILÀ, ECCO A VOI SUI GRANDI SCHERMI IL “QUO VADIS” DELLA PUBBLICITÀ (OCCULTA) SPACCIATO PER FILM D’AUTORE - DAL CINEPANETTONE AL CINESPOTTONE, NASCE UN NUOVO GENERE, E LA CRISI DELLA SETTIMA ARTE NON C’È PIÙ. PER PEPPUCCIO TORNATORE, VECCHIO O NUOVO, È SEMPRE CINEMA PARADISO…

theodore kyriakou la repubblica mario orfeo gedi

FLASH! – PROCEDE A PASSO SPEDITO L’OPERA DEI DUE EMISSARI DEL GRUPPO ANTENNA SPEDITI IN ITALIA A SPULCIARE I BILANCI DEI GIORNALI E RADIO DEL GRUPPO GEDI (IL CLOSING È PREVISTO PER FINE GENNAIO 2026) - INTANTO, CON UN PO’ DI RITARDO, IL MAGNATE GRECO KYRIAKOU HA COMMISSIONATO A UN ISTITUTO DEMOSCOPICO DI CONDURRE UN’INDAGINE SUL BUSINESS DELLA PUBBLICITÀ TRICOLORE E SULLO SPAZIO POLITICO LASCIATO ANCORA PRIVO DI COPERTURA DAI MEDIA ITALIANI – SONO ALTE LE PREVISIONI CHE DANNO, COME SEGNO DI CONTINUITÀ EDITORIALE, MARIO ORFEO SALDO SUL POSTO DI COMANDO DI ‘’REPUBBLICA’’. DEL RESTO, ALTRA VIA NON C’È PER CONTENERE IL MONTANTE ‘’NERVOSISMO’’ DEI GIORNALISTI…

john elkann lingotto fiat juventus gianni agnelli

A PROPOSITO DI… YAKI – CHI OGGI ACCUSA JOHN ELKANN DI ALTO TRADIMENTO NEL METTERE ALL’ASTA GLI ULTIMI TESORI DI FAMIGLIA (“LA STAMPA” E LA JUVENTUS), SONO GLI STESSI STRUZZI CHE, CON LA TESTA SOTTO LA SABBIA, IGNORARONO CHE NEL FEBBRAIO DEL 2019, SETTE MESI DOPO LA SCOMPARSA DI MARCHIONNE, IL NUMERO UNO DI EXOR E STELLANTIS ABBANDONÒ LA STORICA E SIMBOLICA “PALAZZINA FIAT”, LE CUI MURA RACCONTANO LA STORIA DEL GRUPPO AUTOMOBILISTICO. E SOTTO SILENZIO (O QUASI) L’ANNO DOPO C’ERA STATO LO SVUOTAMENTO DEL LINGOTTO, EX FABBRICA EMBLEMA DELLA FIAT – LA PRECISAZIONE: FONTI VICINE ALLA SOCIETÀ BIANCONERA SMENTISCONO QUALSIVOGLIA TRATTATIVA CON SAUDITI...

giorgia meloni matteo salvini

DAGOREPORT – ESSÌ, STAVOLTA BISOGNA AMMETTERLO: SULLA LEGGE DI BILANCIO MATTEO SALVINI HA PIÙ DI QUALCHE SACROSANTA RAGIONE PER IMPEGNARSI A MORTE NEL SUO RUOLO DI IRRIDUCIBILE SFASCIACARROZZE DELLA MARCHESINA DEL COLLE OPPIO (“IL GOVERNO SONO IO E VOI NON SIETE UN CAZZO!’’) - DIETRO UNA FINANZIARIA MAI COSÌ MICRAGNOSA DI 18 MILIARDI, CHE HA AFFOSSATO CONDONI E PENSIONI CARI A SALVINI, L’OBIETTIVO DELLA DUCETTA È DI USCIRE CON UN ANNO IN ANTICIPO DALLA PROCEDURA DI INFRAZIONE PER DEFICIT ECCESSIVO ATTIVATA DALL'EUROPA NEL 2024. COSÌ SARÀ LIBERA E BELLA PER TRAVESTIRSI DA BEFANA PER LA FINANZIARIA 2026 CHE SARÀ RICCA DI DEFICIT, SPESE E "MENO TASSE PER TUTTI!", PROPRIO IN PERFETTA COINCIDENZA CON LE ELEZIONI POLITICHE 2027 – OVVIAMENTE LA “BEFANA MELONI” SI PRENDERÀ TUTTO IL MERITO DELLA CUCCAGNA, ALLA FACCIA DI LEGA E FORZA ITALIA…