edmondo berselli

CABARET BERSELLI - A DIECI ANNI DALLA SUA SCOMPARSA, REPUBBLICA E MONDADORI FANNO COSA BUONA E GIUSTA E RACCOLGONO IN UN BEL TOMO IL MEGLIO DEI SUOI ARTICOLI - PAGINE SALTELLANTI DI ECLETTISMO SPERTICATO E DI ALLERGIA AL CONFORMISMO PENSOSO, SENZA IMPANTANARSI MAI NELLE RISACCHE DELLA DOZZINALE NARRAZIONE OMBELICALE - COSÌ SCRISSE DI NOI: "UNA VOLTA C’ERA IL PENSIERO FORTE. ADESSO C’È DAGOSPIA. PERCHÉ È STATO PROPRIO DAGOSPIA A INVENTARE, ANZI A CREARE, UNA SOVRAREALTÀ" - VIDEO

A BERSELLI, CHE COSA NON INTERESSAVA?

Edmondo Berselli

Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”

 

«La tagliatella perfetta, tutta d' oro, è perfino esposta, mi pare alla Camera di Commercio di Bologna: deve avere 7 millimetri di larghezza da cruda e 8 da cotta». E quando te lo raccontava ti chiedevi: ma come diavolo fa a saperlo? Che gli importa, della perfezione della tagliatella? Dove avrà intercettato questo minuscolo dettaglio? Così era fatto, Edmondo Berselli, che dopo un calvario mai così ingiusto se ne andò dieci anni fa.

 

«Con lui se n' è andata una figura molto rara nel panorama culturale italiano», scrisse allora Aldo Grasso, «Un intellettuale capace di raffinate e rigorose analisi politologiche e insieme di vertiginose disquisizioni sulla canzone, sul calcio, su Gatto Silvestro, sul niente».

 

Edmondo Berselli

Un giorno scriveva dell'«homo democraticus» infilando via via una citazione di Zygmunt Bauman e Salvatore Veca e John Rawls e il giorno dopo se ne usciva con Qui, Quo e Qua o un inno a Valentino Rossi che «non ha più i capelli ossigenati e gialli». E poi l' inchino a Giovanni Paolo II che, alle titubanze di Joaquín Navarro Valls sulla scelta di mostrare o no la crescente fragilità del Papa minato dal Parkinson, rispose «Tutto, mostrare tutto, dire tutto, non nascondere niente».

 

E la disquisizione sulla fama di buona sorte di Romano Prodi: «Il Culo di Prodi è una categoria mitologica. Come tutti i fenomeni meravigliosi, come un monstrum smisurato e stupefacente, come un prodigio preternaturale, una chimera, una fenice, una cometa, il C. di Prodi è un Ente largamente imprevedibile.»

 

edmondo berselli

E poi l' amatissimo Mariolino Corso, «un dieci camuffato dal numero undici, il cui sinistro prensile umiliava in dribbling e con le "foglie morte" le difese degli anni Sessanta». Non c' era frammento della vita che non stuzzicasse la sua intelligenza, la sua ironia, la sua cultura letteraria e giornalistica coltivata cominciando come correttore al Mulino:

 

«Ho perso qualche diottria, non troppe, e ho imparato tutto ciò che c' è da sapere sugli accenti e gli apostrofi, che si scrive chiacchiere e non chiacchere, scombicchierare e non scombiccherare», ha scritto in pagine inedite pubblicate ora nel libro «Cabaret Italia» da Repubblica e Mondadori. Prima che se ne andasse passò a trovarlo, a casa, Claudio Baglioni. Era sfinito. Le parole però, al cenno di chitarra, le ricordava tutte: «Quella sua maglietta fina / tanto stretta al punto che m' immaginavo tutto».

 

SCRIVEVAMO ALLA BERSELLI

A dieci anni dalla scomparsa il talento di un nostro grande giornalista rivive in un libro. Eccone un assaggio, che ci porta nell’Emilia anni ’60.

Lo scritto che vi proponiamo è un inedito contenuto nel volume Cabaret Italia, in cui troverete il meglio dei suoi articoli. La raccolta oggi con Repubblica

 

di EDMONDO BERSELLI

Edmondo Berselli

 

Questa storia l’ho già raccontata tante volte, ma siccome si dovrebbe sapere che certe storie è bello sentirle di nuovo anche se sono risapute, la racconto un’altra volta. Se questo metodo del dire e ridire non vi piace, voltate pagina: ma sapete, il piacere di raccontare è uno di quei piaceri antichi, roba dei tempi andati, che fa tornare in mente le filastrocche dei bambini e le antiche serate nella stalla, quando gli adulti giocavano a briscola fino a tardi fra il calore delle vacche, si facevano reciprocamente i segni tirando fuori un accenno di linguetta e alzando argutamente la spalluccia, sapevano indovinare tutte le carte all’ultima mano, tanto che non c’era neanche bisogno di fare l’ultimo giro e di scagliare sulla tavola le carte unte e pesanti, perché si erano già calcolati i punti e si sapeva chi aveva vinto; dopodiché tutti andavano a dormire odorosi e tiepidi.

edmondo berselli

 

Altroché i deodoranti. L’igiene era il bagno nella mastella, il sabato pomeriggio. E allora se si guarda benevolmente al passato bisogna provare a ricordare il tempo in cui in Emilia tutti erano comunisti: voglio dire, erano un po’ comunisti anche gli anticomunisti, benché rifiutassero orgogliosamente di confessarlo e a vedere le bandiere con falce e martello facessero gli scongiuri.

 

Tanto per dire, c’era della brava gente come mio padre che non andava a fare la spesa nei negozi delle cooperative rosse, e lo impediva anche a mia madre, per paura che i soldi finissero alle Botteghe Oscure o nelle misteriose casse dell’Unione Sovietica.

 

edmondo berselli

[…] Lo capisce anche un bimbo, che quando l’operaio compra la macchina, il socialismo cambia. Le idee fisse del passato se ne vanno. Le bandiere rosse, bene, la sfilata dell’Anpi con le medaglie d’oro della Resistenza, le donne dell’Udi che ricordano i dolori delle mondine e cantano «Se ben che siamo donne paura non abbiamo», benissimo, la lista Due Torri a Bologna, ottima anche quella, ma meglio ancora la realizzazione della Fiera e il progetto della tangenziale, nonché le vacanze con la famiglia alla Pensione Irma di Cesenatico.

 

E soprattutto, silenziosamente, senza farne nemmeno parola, addio alle vecchie storie sull’ora X, il momento sospirato della mobilitazione rivoluzionaria. Della «rivolussione» non parla piu nessuno, chissà com’è.

 

edmondo berselli

Raccontava così Guido Fanti, che fu un sindaco illuminato di Bologna prima che i compagni lo sbolognassero, che un’estate venne in visita a Bologna il compagno Molotov, a vedere in azione la poderosa macchina pragmatica del socialismo emiliano. Per la verità Fanti, dopo avere letto questa mia storia, sostiene polemicamente che io sarei un tipo impreciso, inquantoché venne il compagno Boris Ponomariov («un omino magro, taciturno, con la testa pelata e la vivacità espressiva di un busto di marmo», secondo la come sempre accurata descrizione dell’ambasciatore Sergio Romano, gran conoscitore di tutte le Russie e di tutta la storia mondiale compreso il patto Hitler-Stalin).

edmondo berselli

 

Ma siccome il suddetto Ponomariov non lo conosce più nessuno, mentre il citato Molotov ha dato il nome alle celebri bottiglie, io persevero diabolicamente nell’errore.

 

edmondo berselli

Dunque l’austero Molotov, che per la gioia dell’ambasciatore Romano sarebbe per l’appunto quello del patto con Ribbentrop, una sfinge, baffi e occhialetti micidiali, lo sguardo glaciale di chi sa come comportarsi durante una purga di Stalin, partecipò impettito nella sua giacchetta sovietica a un fine settimana autenticamente emiliano di pranzi e cene: i comunisti bolognesi volevano fargli capire che la storia del materialismo l’avevano presa sul serio.

 

L’uomo è anche ciò che mangia, come aveva detto un filosofo tedesco precursore di Carlo Marx. Ma che cosa vuoi che ne sappiano i tedeschi, benché filosofi e materialisti, che son gente che mangia cervi con la marmellata di mirtilli, vien ben qué che gli facciamo sentire lo zampone con lo zabaione, o con i fagioloni bianchi, a preferenza vostra. Quindi, sfilate di partigiani, e tortellini. Dimostrazione del lavoro dei servizi sociali, e tagliatelle. Incontro con la rappresentanza dei compagni gasisti, e lasagne.

edmondo berselli

 

Alla fine della visita, dopo l’ennesimo assalto gastronomico al suo equilibrio biofisico, il moscovita prese da parte il compagno Fanti, e con un’aria complice, stirando le labbra sovietiche, gli chiese: «E le armi?». Sbigottimento di Fanti. Quali armi? «Dove le tenete le armi?», insisteva Molotov, con l’occhio illanguidito dal pignoletto, dall’albana, dal lambrusco di Sorbara e da diverse bottiglie di nocino proveniente da Pavullo nel Frignano. Con la sua dialettica petroniana, e con la sua logica felsinea, Fanti provò a spiegargli che il comunismo alla bolognese era qualcosa di pratico, roba tutta impegnata nel lavoro e nella costruzione della pace, ma la sfinge non demordeva: «Fatemele vedere».

 

Fin qui arriva la storia ufficiale, sulla quale nei giorni successivi i comunisti bolognesi si sono divertiti molto. Voleva vedere le armi, pensa te. Le armi! Poi però c’è la storia leggendaria. Una versione non autorizzata che complica un po’ le cose. Secondo questo racconto anonimo, il lucido Fanti, imbarazzato di fronte al dirigente sovietico che non voleva saperne della pace e del lavoro, fu costretto a confidarsi lì per lì con i compagni, in un consulto un po’ affannoso. Vuole vedere le armi.

 

Edmondo Berselli

Non disse «questo coglione», ma lo fece capire con un cenno di sbieco del labbro superiore. Insiste. Non cede. Che si può fare? Se pretende di vedere le armi, tagliò corto uno di quelli spicci, facciamogliele vedere. Basta organizzarsi.

 

Si organizzarono alla svelta, saltarono su una capitalistica Fiat Millecento, e portarono il compagno Molotov in un caseificio in campagna, appena fuori da Borgo Panigale. Il casaro Jaures Boldrini era un compagno di quelli fidati. Si erano fatte quasi le due dopo mezzanotte, la campagna intorno era umida, faceva quasi freddo. Il casaro, tirato giù dal letto in fretta e furia, rabbrividiva. «Le armi? Quali armi?» Molotov apprezzò con un ghigno sovietico: la riservatezza innanzitutto.

Prodi

 

Bravo compagno. Un dovere assoluto, un imperativo morale per qualsiasi militante del movimento operaio internazionale. Il sindaco democratico e pacifista Fanti, che sudava gelido, ebbe a malapena la prontezza di strizzare l’occhio. Le armi. Il compagno casaro si era svegliato del tutto. «Sono là dentro», disse ergendosi nella sua coscienza socialista e indicando un magazzino, praticamente sull’attenti. «Seicentosessanta pezzi, perfettamente stagionati, lei mi capisce.»

 

Fanti e gli altri riuscirono a portare via Molotov senza fargli vedere le forme di grana padano che da ventiquattro mesi giacevano sugli scaffali, diffondendo anche all’esterno un odore, un aroma, un afrore, che ancora qualche decennio dopo il vecchio Fanti ricordava con il sottile piacere che talvolta si accompagna nella memoria all’ineffabile sensazione dei pericoli scampati.

 

"Cabaret Italia" (con le prefazioni di Ezio Mauro e Marco Damilano) in edicola domani al prezzo di 12,90 euro in più

 

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