IL CINEMA DEI GIUSTI - “VORTEX” DI GASPAR NOÉ È UN FILM BELLISSIMO MA INSOSTENIBILE DA SEGUIRE FINO ALLA FINE. INTERAMENTE DEDICATO AL CORPO E ALLA MENTE DI DARIO ARGENTO, FILMATO NUDO CHE SI FA LA DOCCIA, MENTRE GUARDA “VAMPYR” DI DREYER, SCRIVE, PARLA, RAGIONA - MAGARI POSSIAMO DISCUTERE DELLA COMPLESSA COSTRUZIONE NARRATIVA, POSSIAMO AVER QUALCOSA DA DIRE RIGUARDO AL PARAGONE CHE CERCA DI FARE TRA VECCHIAIA E DIPENDENZA DALL’EROINA, MA IL FINALE CON LA MUSICA DI MORRICONE CHE UNISCE LA PERA DEL FIGLIO TOSSICO E DARIO IN OSPEDALE È UN MOMENTO INCREDIBILE - VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia

 

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Magari possiamo discutere sulla complessa costruzione narrativa, la vecchiaia fino alla fine della vita di due vecchi signori nella loro casa piena di libri e medicine in un quartiere altrettanto pieno di libri e di qualsiasi cosa ripresi costantemente su due schermi, quasi uno per lui e uno per lei.

 

Affascinante quando al cercare di scrivere di lui, vecchio critico cinematografico che prepara un libro su cinema e sogno non marzulliano, corrisponde il perdersi in azione che non portano a nulla di lei, ma anche faticoso per lo spettatore che non riesce a entrare in sintonia con questa narrazione doppia.

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Magari possiamo aver qualcosa da dire riguardo al paragone che questo “Vortex” di Gaspar Noè, cerca di fare tra vecchiaia e dipendenza dall’eroina, del figlio della coppia, come viaggi verso la fine di tutto, anche se è un paragone acido molto coraggioso che apre prospettive inaspettate.

 

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Magari non tutti gli spettatori sono disposti a soffrire questo grido disperato per oltre due ore che filma Gaspar Noè, sempre pronto a metterci a dura prova sulla poltrona del cinema. Ma, certo, la presenza di una protagonista forte come Françoise Lebrun, già musa di Paul Vecchiali e Marguerite Duras, nel ruolo della moglie che sta perdendo il cervello prima del cuore, e, ancor di più, l’esordio da attore di Dario Argento come il vecchio critico che cerca di salvare il salvabile, i suoi scritti, il suo amore, un altro amore che sta svanendo, il rapporto col figlio tossico, ma soprattutto la sua memoria, i suoi libri, la sua casa, sono elementi assolutamente straordinari di vita e di cuore ancor più che di cinema.

 

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Noè, che già nel suo capolavoro, “Climax”, aveva dato vita a una sua personale rilettura di “Suspiria” omaggiando il maestro dell’horror, dedica qui un intero film al corpo e alla mente di Dario, filmandolo nudo che si fa la doccia, mentre guarda “Vampyr” di Dreyer, mentre scrive, parla, ragiona.

 

Come la Lebrun è la musa di Vecchiali, Dario è una sorta di star del rock internazionale che recita il ruolo di un vecchio malato di cuore che cerca di aggrapparsi alla memoria, cerca di non perdere se stesso andando inevitabilmente sempre più giù. A differenza di “L’amour” di Michael Hanecke, che descriveva, con due grandi attori come Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva, la fine di una coppia con la malattia della moglie e la cura che se ne prende fino alla fine il marito in un film bellissimo ma insostenibile da seguire fino alla fine, qui Noè gioca cambia le regole del gioco splittando in due lo schermo, come se anche lo spettatore dovesse scegliere tra mente e cuore chi seguire e come ricostruire la coppia.

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Mentre la presenza di Dario Argento che vede come un incubo la sua situazione, che studia il grande cinema del passato, che ragiona sulla debolezza tossica del figlio rende il tutto ancora più impossibile da seguire, ma anche affascinante e imperdibile. Può non piacere, ripeto, ma il finale con la musica di Morricone che unisce la pera del figlio tossico e Dario in ospedale è un momento incredibile. Come lo sono le ultime scene con la casa che viene svuotata dai libri fino a apparire nuda. Senza memoria. In sala.

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