Estratto dell'articolo di Paolo Di Paolo per “la Repubblica”
Al Lingotto è andato a raccontare ancora una volta il suo Vate, da presidente del Vittoriale e da autore del ponderoso volume "D’Annunzio. La vita come opera d’arte", appena uscito per Rizzoli.
Lo ha fatto all’indomani delle proteste al Salone contro la ministra Roccella, e nel giorno del bagno di folla per Alain de Benoist, guru della nuova destra. Giordano Bruno Guerri, storico, ha lavorato nei giornali, nell’editoria, in televisione. Michele Serra ne parlava giusto ieri come di uno «spirito libero».
giordano bruno guerri d annunzio cover
Le proteste al Salone contro la ministra Roccella ?
«Ha torto chi ha impedito al ministro di parlare».
Si tratta di posizioni che a molti paiono più che di retroguardia. Il dibattito è incandescente. E i toni di una deputata come Montaruli contro il direttore Nicola Lagioia...
«Si tratta di atteggiamenti insopportabili tanto da destra quanto da sinistra. L’incapacità di mediare, e non parlo di democristianismo; l’indisponibilità a discutere le ragioni degli altri con civiltà… È solo l’eterna Italia dei guelfi e dei ghibellini».
Come vede l’avanzata della destra sulla cultura?
«Non sono contrario allo spoils system. Credo sia giusto che la destra occupi i posti anche in ambito culturale. Purché le persone scelte siano all’altezza del compito.
Sennò, meglio un tecnico».
Ce ne sono all’altezza?
«Ce ne sono di sicuro. Non so dirle quante».
Il suo nome circolava come possibile ministro della cultura o direttore del Salone del Libro.Avrebbe accettato?
«Sangiuliano mi pare stia facendo bene, è iperattivo. E spero che continuerà. Quanto al Salone del Libro, certo, avrei accettato».
Si sarebbe divertito?
«È un bellissimo lavoro. Sono nel mondo editoriale da tutta la vita, ho ricoperto in questo ambito praticamente ogni mansione, tranne il libraio. A vent’anni guadagnavo come correttore di bozze, a trentasei ero direttore editoriale della Mondadori».
Quando si cercano gli intellettuali "di destra" in Italia, da tre decenni vengono sempre fuori il suo nome, quello di Marcello Veneziani e poco altro. Come la vive?
«A chiunque piacerebbe vedere il proprio nome evocato senza etichette e aggettivi. Etichette e aggettivi finiscono per schiacciare il resto».
Ma è difficile evitare le definizioni. Proviamo con un’auto-definizione?
«Sono uno storico. Il mio mestiere è questo. Ma mi ha divertito molto la definizione che una volta mi ha proposto un direttore editoriale: "Tu sei una vacca sacra"».
Si nasce o si diventa vacche sacre?
«Si diventa. Forse è l’equivalente di venerato maestro. Ci si arriva con il lavoro».
Non le è mancato. Ma ha mai pensato di poter avere qualcosa in più?
«Mi è capitato di pensare che avrei potuto essere direttore di questo o direttore di quello. Ma per i potenti di sinistra ero troppo di destra e per i potenti di destra, forse, troppo di sinistra».
(…)
In lunghi anni di lavoro sono riuscito a modificare una vulgata, a rompere qualche schema moralistico sul D’Annunzio spendaccione decadente che pensa solo al sesso. Un’immagine da borghesia piccina di fine Ottocento. Oggi rivendichiamo la libertà sessuale, la libertà di spendere. E anche quella di cambiare partito politico: da deputato, D’Annunzio passò da destra a sinistra. Era un anticipatore, un modernizzatore. E sa qual è la verità? Siamo tutti come lui».
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