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"I RAGAZZINI VOGLIONO FARE I RAPPER PER LO STESSO MOTIVO PER CUI UNA VOLTA VOLEVANO FARE I CALCIATORI: UNA VIA FACILE PER FARE I SOLDI" - LAZZA, IL RAPPER IN TESTA ALLE CLASSIFICHE DEGLI ALBUM PIÙ VENDUTI DA 17 SETTIMANE, APPENA DIETRO AL RECORD DI VASCO CON "VIVERE O NIENTE": "MI TROVO DI FIANCO A GENTE CHE FA CANZONCINE STUPIDE E SI VESTE DA ARLECCHINO PER FAR PARLARE DI SÉ. HO UN TATUAGGIO DEL VOLTO DI CHOPIN, IN CASA HO IL PIANO CHE COMPRAI A 13 ANNI: È QUELLO CHE FA LA DIFFERENZA TRA IL MIO RAP E QUELLO DEGLI ALTRI…"

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Andrea Laffranchi per il “Corriere della Sera”

 

Il 2022 è l'anno del rap. Con Salmo il genere è arrivato negli stadi per la prima volta. Con Marracash ha sfondato la porta del premio Tenco, parrocchia del cantautorato impegnato.

E Lazza, rappresentante di punta della generazione trap, con 17 settimane al numero 1 della classifica ufficiale degli album con «Sirio» si è piazzato dietro al record assoluto di «Vivere o niente» di Vasco (19 settimane, nel 2001). «Non me ne frega nulla dei numeri. Ho lavorato così tanto che non me la sono goduta, ma non mi fermo», commenta il 28enne milanese.

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Jacopo Lazzarini prima di essere Lazza?

«Uno che non ha avuto né la pappa pronta né le pezze al culo. Abbiamo avuto un periodo brutto perché papà, che si occupa di edilizia, andò in bancarotta per un lavoro non pagato».

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E mamma che lavoro fa?

«È mia socia e gestisce la contabilità, ha sempre fatto quello di lavoro».

 

Anche lei con la mamma... ma i rapper italiani sono mammoni?

«La mamma è una figura importante nella vita, che fai, non la nomini? Sul lato professionale, invece, sono contrario alla mamma nel management, a meno che non sia musicista. La mia si occupa di conti perché era già la sua professione, ma non mette becco sulle scelte artistiche».

 

La sua infanzia?

«Mi piacevano i cartoni animati giapponesi: Ken Shiro, Inuyasha. Ero fan degli 883, a 6-7 anni mi feci portare al concerto e ruppi talmente le scatole alla sicurezza che alla fine mi fecero andare nel backstage a salutare Max».

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La musica?

«Mio nonno paterno suonava la fisarmonica e a 5 anni mi regalò la prima tastiera. Gli avevo promesso che avrei fatto questo nella vita e mi spiace che non mi abbia potuto vedere arrivare qui. Mi resta però un dubbio... mi farebbe i complimenti o mi tirerebbe calci nel sedere perché ho lasciato il Conservatorio e faccio rap? Figuriamoci poi i tatuaggi, li vedeva malissimo...».

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Ha un tatuaggio che raffigura il volto di Chopin...

«Fra i grandi classici è il mio preferito. È malinconico come me. In casa ho il pianoforte che comprai a 13 anni: è quello che fa la differenza tra il mio rap e quello degli altri».

 

Altre passioni oltre a quella della musica?

«Sono patito di orologi e sneakers».

 

Li cita anche nelle canzoni, ostentazione da rapper?

«A me questo atteggiamento ha rotto. C'è anche nel mio disco ma non è il punto su cui mi sono focalizzato».

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Perché gli orologi?

«Mi piacciono da quando sono bambino: mio nonno ne aveva uno d'oro che aveva vinto a carte. Non li porto quasi mai in pubblico perché ormai te li rubano dal polso, ma amo le cose non per tutti, l'esclusività mi gasa. Dopo aver partecipato al recente remix di "Ferrari" di James Hype, ho anche pensato di prendere una rossa... Non ti bastano i soldi per comprarla, devi piacere loro come cliente. C'è anche una blacklist e se ci finisci dentro, come è capitato a Justin Bieber, non te la venderanno mai. Accade lo stesso con gli orologi. Di recente ho ritirato un orologio da Audemars Piguet, un pezzo unico in Europa, 70 mila euro, ma non volevano farmi salire negli uffici della casa madre».

 

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È finito in blacklist?

«No, c'erano le guardie private di un altro cliente che non facevano passare nessuno. Ho scoperto poi incrociandolo che era Michael Jordan. Ero così in soggezione che non l'ho avvicinato. Gli hanno raccontato che ho una collezione di 400 paia di Jordan e tra l'altro lui ne indossava un paio bruttissimo...»

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I giocatori del Psg sono stati criticati per avere usato l'aereo privato su una tratta che potevano coprire in treno... Ha senso ostentare in questo momento di crisi mondiale?

«La gente deve potersi muovere in base alle proprie possibilità economiche. Per me spendere 5 mila euro per un volo privato si porterebbe via una fetta importante del cachet di una serata ma loro se lo possono permettere. Agli altri cosa cambia?».

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In «Ouv3rture», brano di «Sirio», dice che quella del rap è una «scena moribonda»...

«Vedo tanti artisti nuovi ma poca novità. Sembra che i ragazzini vogliano fare i rapper per lo stesso motivo per cui una volta volevano fare i calciatori: una via facile per fare i soldi. Questi pischelli si sentono arrivati alla prima canzone e parlano subito di soldi, puttane e macchine... Se pensi che il tuo fine sia fare i soldi, allora fai il broker».

 

In estate si è scatenato il dibattito sui trapper che nei concerti usano le basi e cantano in playback...

«Dico da tempi non sospetti che si debba cantare live, ma vedo tanti anche all'estero con la voce sotto... I fan più giovani sono convinti che la norma del live sia questa e che lo straordinario siamo noi... Però se in tv becco qualcuno in playback mi girano subito e cambio canale».

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«Sirio» come la stella solitaria. Il successo le ha fatto trovare compagnia?

«No, anzi, mi sento sempre più solo. Con questi risultati mi aspettavo di vedere gente col dente fuori, molti invidiosi... Ma c'è una cosa ancora più brutta. Tante persone che mi gravitavano intorno si sono allontanate: si offendevano se gli dicevo che ero preso dal lavoro e non avevo tempo per loro. Evidentemente cercavano un tornaconto».

 

Sempre citando «Ouv3rture», «non scrivo mai canzoni d'amore, scriverò solo canzoni d'odio»...

«E infatti quelle dell'album sono d'odio... Se mi affeziono a una persona do tanto e mi aspetto indietro tanto. Sono fidanzato da tre anni, lei è una brava ragazza, ha un istinto materno verso di me anche se cerco di farle capire che anche io ho la testa. Siamo andati a convivere dopo tre mesi. Non ci stavo più dentro a stare in casa, col Covid il nervosismo era cresciuto, e poi non puoi cantare di un certo status e vivere ancora con i tuoi...».

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Una rima da «Topboy»: «L'Italia è una repubblica fondata sul trash».

«Per me il rap è un messaggio e poi in manifestazioni all'Arena di Verona mi trovo di fianco a qualcuno, non faccio nomi, che fa canzoncine stupide e si veste da Arlecchino per far parlare di sé. Io voglio che si parli di me per la mia musica. Però all'italiano medio piacciono l'Isola dei famosi e il GF Vip, e lì non mi sembra ci voglia un grande quoziente intellettivo per andarci. Mi chiedo che talento abbia il 90% di chi va in tv... E anche sui social... che talento ci vuole per sponsorizzare una crema viso? Al massimo devi avere fortuna ed essere bella».

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Ha votato?

«Mai. So che è da stupidi ma non mi informo, non ci metto la testa nonostante dovrebbe essere di mio interesse».

 

Porterebbe il suo rap a Sanremo?

 «Chi vivrà vedrà».

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