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LA VERSIONE DI MUGHINI - LA TEORIA DI PASOLINI UCCISO DAI FASCI E DAI POTERI OCCULTI NON STA IN PIEDI OGGI COME ALLORA. E NON SERVE UNA MORTE COSÌ SPETTACOLARE PER ACCRESCERE IL TALENTO, LO SPECIALE SAPORE, IL DOLORE COSÌ INTENSAMENTE VISSUTO DEL POETA E SCRITTORE E FILOLOGO

simona zecchi pasolini massacro di un poetasimona zecchi pasolini massacro di un poeta

Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia

 

Caro Dago, sarai d’accordo con me nel reputare che il massimo omaggio che uno di noi può fare a un libro è andarlo a comprare e poi leggerlo dalla prima riga all’ultima.

 

E’ quello che ho fatto con il libro della giornalista Simona Zecchi, “Pasolini, massacro di un poeta”, un libro che si annunciava come quello che raccontava “l’agguato più doloroso della nostra”, e dunque i neofascisti che avevano colpito e massacrato, la manodopera criminale che aveva fatto combutta con loro, quelli che avevano fatto da emissari dei “poteri occulti” che volevano a tutti i costi la morte del poeta friulano cinquantatreenne. E che fosse la morte la più brutale possibile, una vendetta la più spietata a punire “il frocio” e l’intellettuale tra i più aguzzi e impegnati del suo tempo.

Giampiero Mughini Giampiero Mughini

 

La ricordo bene la tarda mattinata del 3 novembre 1975, quando il mio amico e collega a “Paese Sera”, Daniele Del Giudice, mi telefonò a dirmi che avevano ucciso Pasolini.

 

Certo che volevo leggerlo il libro della Zecchi, perché da sempre io sono stato convinto che le cose non siano andate così. Che non c’è stato nessun piano dei poteri occulti o di chi tremava delle cose che sapeva Pasolini quanto alle nefandezze di Eugenio Cefis e della Democrazia cristiana (è assolutamente evidente che Pasolini non sapeva nulla di nulla che non sapessimo noi tutti, del tutto evidente che parlava da Poeta e non da giornalista d’assalto);

 

foto di pasolini dal libro massacro di un poeta di simona zecchi  9foto di pasolini dal libro massacro di un poeta di simona zecchi 9

che non è vero affatto quello che scrisse una volta Alberto Moravia, e cioè che “la borghesia” aveva condannato a morte l’autore de “Le ceneri di Gramsci”, una sciocchezza che aveva indispettito persino Livio Garzanti, l’editore dei romanzi di Pasolini;

 

che non è vero affatto quello che ancora ieri ha recitato il ministro Dario Franceschini, e cioè che da vivo Pasolini fosse stato emarginato dalle “istituzioni” (scriveva sulla prima pagina del “Corsera”, producevano i suoi film, era un intellettuale acclamato e rispettato, che più di questo?);

 

PASOLINI OMICIDIO PINO LA RANAPASOLINI OMICIDIO PINO LA RANA

che non esiste la benché minima prova che nell’eventuale gang di assassini ci fossero dei militanti neofascisti; e dunque che la morte di Pasolini (per mano di Pino Pelosi e fors’anche di altri “marchettari” che quella sera s’erano dati appuntamento dalle parti del lugubre campetto di calcio di Ostia) era avvenuto sul terreno della sua abituale vita notturna, e questo in tutte le città del mondo che lui frequentava, ossia sul terreno della ricerca del piacere omosessuale e più brusco era quel piacere più intenso era.

 

Ho sempre pensato insomma quello che pensano Nico Naldini (cugino di Pasolini e omosessuale), Angelo Pezzana, Marco Belpoliti e tante altre persone al di sopra di ogni sospetto. E se mi fossi sbagliato, se ci fossimo sbagliati?

 

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La Zecchi ha lavorato a questo libro almeno quattro anni. Ha scartabellato archivi. Ha scovato foto terrificanti del corpo annichilito di Pasolini. Ha interrogato personaggi ai quali magari non avresti pensato, ad esempio l’ex terrorista di estrema destra Pierluigi Concutelli, uno che non si nega alle verità.

 

Ha anche scritto come se lo avesse ascoltato con le sue orecchie che uno dei massacratori di Pasolini, un fascista “catanese” e non poteva diversamente dato che nel 1972, il Msi toccò a Catania il suo apice elettorale, gridasse “Iarruso!” a Pasolini mentre lo stava uccidendo: e “iarruso” in siciliano sta per “frocio”, detto nel modo più spregiativo.

 

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Una scena perfetta, una scena icastica a dimostrare la tesi di cui la Zecchi è una credente devota ma non l’unica. E avevo letto con stupore sul supplemento settimanale del “Corriere della Sera”, qualche settimana fa, un altro delirante articolo a sostegno di questa tesi. E cioè che l’assassinio di Pasolini sia “tutto” politico e c’entrano i poteri forti, fors’anche qualche potente democristiano, qualche farabutto borghese, e magari ci sono di mezzo quelli della Banda della Magliana, e non so chi altri, magari qualche agente della Cia, quelli del resto non mancano mai.

 

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Naturalmente non esiste la benché minima prova che quella notte sul campetto di Ostia ci fosse un fascista catanese che dava del “Iarruso!” a Pasolini né esiste il benché minimo elemento che colleghi la morte di Pasolini a quella di Enrico Mattei o alla bomba di Piazza Fontana o all’attentato a una centralina Sip dell’Eur.

 

Tutto questo è romanzo, scena teatrale la più accurata, spasmodico desiderio che sia andata davvero così e come se una morte a questo modo accrescesse quello che è il talento, lo speciale sapore, la specialissima testimonianza umana, il dolore così intensamente vissuto del Poeta e Scrittore e Filologo Pasolini (spettacolare quel suo libro sulla poesia dialettale italiana).

 

PASOLINI 8PASOLINI 8

Tutto era stato, fuorché un Guru del presente e dell’avvenire, non uno che aveva pronosticato tutto ma proprio tutto delle società occidentali. No no no. Nella polemica sulle “lucciole” in cui Pasolini ebbe di fronte Giulio Andreotti, era Andreotti che aveva ragione. La modernità è meglio del lindore dei campi d’antan.

 

C’è una verità poetica che è cosa diversa dalla verità giudiziaria come argomenta un postfatore del libro della Zecchi? Forse sì. Di certo non è una verità che serve a collocare Pasolini fra gli “angeli”, lui che era un uomo piantato su questa terra, sui suoi dolori e sulle sue contraddizioni.

FALLACI COVER LIBRO PASOLINIFALLACI COVER LIBRO PASOLINI

 

Tutte le contraddizioni possibili, a cominciare dal fatto che da giovane si era iscritto al Pci, lui che aveva avuto un fratello adorato che era stato massacrato da partigiani comunisti. Né più né meno che sul campetto di Ostia.

 

E a proposito di comunisti, era un comunista al cento per cento Antonello Trombadori quando scrisse in 50 copie da inviare gli amici un sonetto romanesco in morte “der Zor Paolo”. “Doppo der Belli Pasolini è er forte / Quell’antri stanno tutti a mezz’artezza, / Gnisuno ppiù de lui sfidò la sorte / P’aridà a la parola la chiarezza”.

 

Nessuno più di lui sfidò la sorte, ad esempio quella notte tra il primo e il 2 novembre. Che è cosa straordinariamente più vera e drammatica che non l’agguato organizzato dai “poteri occulti”.

 

 

GIAMPIERO MUGHINI

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