L’OMBRA DEI CARABINIERI DIETRO LO STUPRO DI FRANCA RAME - UNA STORIA DI FASCISTI STIPENDIATI DALLO STATO

1- "UN BRANCO FASCISTA COPERTO DALL'ARMA STUPRÃ’ FRANCA RAME"
Davide Milosa per "Il Fatto Quotidiano"

Sera tarda a Milano. Via Marcora 4. Secondo piano del palazzo che ospita i carabinieri della divisione Pastrengo. Il generale Giovanni Battista Palumbo, ex repubblichino e futuro iscritto alla P2, ha appena ricevuto la notizia di una donna violentata in via Nirone. La vittima è stata sequestrata da cinque persone, caricata su un furgone e qui stuprata. Con lui ci sono altri ufficiali. Qualcuno dice: "Era ora". Palumbo sorride.

È il 9 marzo 1973. La donna picchiata, sfregiata e violentata è Franca Rame. Abbandonata vicino a un parco cittadino, camminerà fin davanti alla Questura, per poi tornare a casa. La storia inizia così.

Ed è una storia ancora gonfia di misteri. Una storia di fascisti stipendiati dallo Stato, foraggiati di armi. Fascisti travestiti da intellettuali di sinistra. In giro per Milano a lanciare bombe. Sotto braccio l'Unità o Lotta Continua. Una storia che nasce con un sospetto: i camerati violentarono Franca Rame (morta due giorni fa all'età di 84 anni), ma lo fecero ispirati da importanti esponenti degli apparati militari. Un sospetto che sarà confermato anni dopo da un neofascista milanese, Biagio Pitarresi. Senza però innescare ulteriori indagini. Il 10 marzo 1973 la denuncia arriva in Procura.

Gli investigatori si concentrano sul gruppo La Fenice, versione milanese di Ordine Nuovo, movimento politico di estrema destra. A guidare La Fenice c'è Giancarlo Rognoni. Oggi vive in un appartamento della Bovisa. Il suo braccio destro, all'epoca, è Nico Azzi che tenterà di far saltare in aria il treno Torino-Roma utilizzando un chilo di tritolo. È il 7 aprile 1973. Azzi, però, sbaglia.

Sarà arrestato e inizierà a collaborare. Il 12 aprile 1973 a Milano, durante il corteo del Msi contro "la violenza rossa", una bomba a mano uccide l'agente di polizia Antonio Marino. Nico Azzi viene accusato di aver fornito la cassa di granate ai militanti del Movimento sociale. Questo l'ambiente dentro al quale i magistrati cercano i violentatori dell'attrice Rame. L'inchiesta però si avvita su se stessa. L'ipotesi è giusta, ma lo si saprà solo 25 anni dopo. Nel 1998 qualcuno parla.

Si tratta di Biagio Pitarresi, malavitoso milanese ed ex picchiatore per conto della Fenice. Lo ascolta il giudice Guido Salvini che indaga sulla strage di piazza Fontana. A pagina 433 dell'ordinanza d'arresto del 3 febbraio 1998 si legge: "Pitarresi ha raccontato che l'azione contro Franca Rame era stata proposta a lui, ma si era rifiutato ed era subentrato Angelo Angeli il quale aveva materialmente agito con altri camerati".

La notizia arriva fuori tempo massimo. Il reato è prescritto. Angelo Angeli alias il golosone - arrestato nel 1972 per alcuni attentati delle Sam e poi per omicidio colposo nel 1996 - non è perseguibile. Nel 1973 sta con le Squadra d'azione Mussolini (Sam). Ma più che un fascista, Angeli, come anche Pitarresi, è un malavitoso comune. Finirà coinvolto in diversi guai giudiziari. Nel 1992, in una cantina di via Maroncelli, sbaglia a versare gasolio liquefatto. C'è un'esplosione. Muore il diacono Damiano Achille.

Angeli resterà l'unico identificato per lo stupro di Franca Rame. Pitarresi però non si ferma agli esecutori materiali. Scrive Salvini: "Conferma che l'azione era stata ispirata da alcuni carabinieri della Pastrengo, Comando dell'Arma con il quale sia Pitarresi sia Angeli erano in contatto per il supporto in attività di provocazione contro gli ambienti di sinistra".

Parole che suonano come una conferma a quelle di Angelo Izzo, arrestato perché responsabile del "massacro del Circeo" (nel settembre 1975, insieme ad altri due uomini, Izzo sequestrò e violentò due ragazze, una delle quali morì). Nel 1987 l'estremista di destra "dichiara che l'azione era stata suggerita da ufficiali della Pastrengo, nel quadro (...) di co-belligeranza fra settori di tale divisione e gli estremisti di destra nella lotta contro il pericolo comunista".

Torniamo, allora, alla notte del 9 marzo 1973, secondo piano del palazzo di via Marcora 4. Negli uffici del comando c'è un testimone. È il generale Nicolò Bozzo, già braccio destro di Carlo Alberto dalla Chiesa. All'epoca, Bozzo è capitano.

Racconta: "Quando arrivò la notizia del sequestro e dello stupro di Franca Rame per me fu un colpo. Ma tra i miei superiori ci fu chi reagì in modo opposto. Era tutto contento". Chi era? "Era il più alto in grado: il comandante della Pastrengo, il generale Giovanni Battista Palumbo". E del resto, ragiona il giudice Salvini, "il probabile coinvolgimento quali suggeritori di alcuni ufficiali della Pastrengo non deve certo stupire".

Un anno prima, il 3 maggio 1972 a Peteano (Gorizia), l'ordinovista Vincenzo Vinciguerra fa esplodere un'auto. Muoiono tre carabinieri. Vinciguerra riesce a fuggire grazie alla copertura degli apparati militari. Insomma, ciò che avvenne in via Nirone non fu solo un fatto di violenza, ma anche di potere.

Occulto, deviato. Fatto d'incontri tra i generali della Pastrengo e rappresentanti di quella "maggioranza silenziosa" che a Milano mobilitava la borghesia contro il pericolo rosso. Un potere che innescò la violenza contro Franca Rame. E i cui mandanti, forse, vanno cercati nelle gerarchie superiori alla Divisione Pastrengo di via Marcora 4.

2- LO STUPRO CHE SCONVOLSE L'ITALIA NELL'87
Il monologo "Lo Stupro" di Franca Rame - da "Il Fatto Quotidiano"

C'è una radio che suona, ma solo dopo un po' la sento, mi rendo conto che c'è qualcuno che canta. Musica leggera. Ho un ginocchio, uno solo piantato nella schiena come se chi mi sta dietro tenesse l'altro appoggiato per terra. Con le mani tiene le mie fortemente girandomele all'incontrario. La sinistra, in particolare. Non so perché mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Io non sto capendo niente di quello che mi sta capitando, ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello. La voce, la parola. Che confusione.

Come sono salita su questo camioncino? Non lo so. È il cuore che mi batte così forte contro le costole a impedirmi di ragionare. Il dolore alla mano sinistra sta diventando insopportabile. Ma perché me la torcono tanto, io non tento nessun movimento, sono come congelata. Quello che mi tiene da dietro mi tiene fra le sue gambe divaricate.

Perché ora abbassano la radio? Forse perché non grido. Oltre a quello che mi tiene da dietro ce ne sono altri tre. Che fanno? Si accendono una sigaretta. Fumano adesso? Ho paura, respiro. Sono vicinissimi. Sta per capitare qualche cosa, lo sento. Vedo il rosso delle sigarette vicino alla mia faccia. Ho i pantaloni, perché mi aprono le gambe, sono a disagio. Peggio che se fossi nuda. Da questa sensazione mi distrae qualcosa, un tepore tenue poi sempre più forte fino a diventare insopportabile sul seno sinistro. Una punta di bruciore, le sigarette.

Ecco perché si erano messi a fumare. Una sigaretta dietro l'altra, è insopportabile. Con una lametta mi tagliano il golf e la pelle, nella perizia medica misureranno ventuno centimetri. Ora tutti si danno da fare per spogliarmi, ora uno mi entra dentro. Mi viene da vomitare. Calma. Mi attacco ai rumori della città.

Alle parole delle canzoni. Muoviti puttana devi farmi godere. Non capisco nessuna lingua. È il turno del secondo. Muoviti puttana devi farmi godere. La lametta mi passa sulla faccia più volte. È il turno del terzo. Il sangue sulle guance. È terribile sentirsi godere nella pancia da delle bestie. Sto morendo. Vola un ceffone fra di loro e poi mi spengono una sigaretta sul collo. Io lì credo di essere finalmente svenuta.

Mi stanno rivestendo, mi riveste quello che mi teneva da dietro e si lamenta perché è l'unico che non si è aperto i pantaloni. Mi spaccano gli occhiali e il camioncino si ferma per il tempo di farmi scendere e se ne va. Mi chiudo la giacca sui seni scoperti. Dove sono? Al parco. Mi sento male. Mi sento svenire non soltanto per il dolore ma per la rabbia, per l'umiliazione, per lo schifo, per le mille sputate che mi son presa nel cervello. Mi passo una mano sulla faccia sporca di sangue. Cammino per non so quanto tempo, non so dove sbattere. A casa no.

Poi senza neanche accorgermene mi ritrovo davanti al palazzo della Questura. Sto appoggiata al muro non so per quanto tempo a guardarmi il portone dell'ingresso, penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora. Penso alle domande, ai mezzi sorrisi. Penso e ci ripenso poi mi decido. Vado a casa. Li denuncerò domani.

 

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