1- CAMBIARE LA LEGGE ELETTORALE E INTRODURRE UNA PREFERENZA OBBLIGATORIA: MONTI 2- PADELLARO: “E COSÌ ANCHE SQUINZI STA ASSAGGIANDO IL NODOSO BASTONE DEL REGIME TECNICO E DELL’INFORMAZIONE UNICA. ‘’REPUBBLICA’’ E CORRIERE”, DOPO AVERLO ACCUSATO DI ESSERE DIVENTATO “ROSSO” COME LA CAMUSSO, LO HANNO AMMONITO” 3- “NON SARÀ INVECE CHE TUTTA QUESTA “EMERGENZA” RAPPRESENTA UN ALIBI STRAORDINARIO PER CHI VUOLE COMMISSARIARE IL PAESE, INTIMORIRLO, “RIVOLTARLO COME UN CALZINO” (MONTI)? POTENDO CONTARE SUL SUICIDIO DEI PARTITI E SULL’ARRENDEVOLEZZA DEI GIORNALI? E SE QUALCHE GIORNALE NON SI ARRENDE, C’È SEMPRE LA TECNICA DEL SILENZIO. COME FA PASSERA. MONTI CHIEDERÀ QUALCOSA AL SUO MINISTRO? FORSE, MA SOTTOVOCE. C’È LO SPREAD, RAGAZZI, E IL MONDO CI GUARDA”

1 - PREFERENZE...
Jena per "la Stampa" - Ha ragione Napolitano, bisogna cambiare la legge elettorale e introdurre una preferenza obbligatoria: per lui.

2 - LA REPUBBLICA DEI CORAZZIERI...
Antonio Padellaro per il "Fatto quotidiano"

E così anche il presidente di Confindustria sta assaggiando il nodoso bastone del regime tecnico e dell'informazione unica. Reo di aver espresso qualche perplessità di troppo sui tagli del governo Monti, ieri mattina il povero Giorgio Squinzi si è preso una bella ripassata da Repubblica e Corriere della Sera che, dopo averlo accusato di essere diventato "rosso" come la Camusso della Cgil, lo hanno ammonito a non provarci più.

Come si permette di criticare un esecutivo "che opera in condizioni di emergenza con gli occhi del mondo puntati addosso" (Tito Boeri)? Anzi, sarebbe il caso che "facesse propria la riforma del lavoro targata Fornero" (Dario Di Vico). Comprensibile l'immediata ritrattazione di mister Mapei che, dopo aver detto quel che ha detto sulla "macelleria sociale" in diretta televisiva, ha farfugliato di essere stato "male interpretato". Faccia il bravo perché poteva andargli peggio, visto che con le sue incaute dichiarazioni "ha fatto salire lo spread" (Monti) e forse anche il termometro della calura. Ormai è tutto un monitare, nella Repubblica dei corazzieri.

Alti moniti contro chi osa soltanto pronunciare il nome di Napolitano, eppure così a lungo pronunciato nelle famose telefonate intercorse tra Mancino e il Colle. Monito del segretario Pd contro "alcuni giornali" che si occupano di ciò che dice o manda a dire il Presidente. Monito (via twitter) ai partiti di Cascella, portavoce del Quirinale, affinché concordino una nuova legge elettorale. Insomma, se Bersani fa Cascella e Cascella fa Bersani, la situazione dev'essere grave, ma non seria.

Grave, gravissima invece, a leggere certi editoriali. Più grave che negli anni dei tentati golpe, delle stragi nelle banche, sui treni, nelle stazioni? Più grave che ai tempi del terrorismo o di tangentopoli? Non sarà invece che tutta questa "emergenza" rappresenta un alibi straordinario per chi vuole commissariare il Paese, intimorirlo, "rivoltarlo come un calzino" (Monti)?

Potendo contare sul suicidio dei partiti e sull'arrendevolezza dei giornali? E se qualche giornale non si arrende, c'è sempre la tecnica del silenzio. Basta non rispondere, come fa il ministro Passera interpellato dal Fatto sulle inchieste giudiziarie che riguardano lui e Banca Intesa quando al vertice comandava lui. Il premier chiederà qualcosa al suo ministro? Forse, ma sottovoce. C'è lo spread, ragazzi, e il mondo ci guarda.

3 - QUIRINALE-MONTI REGIME TECNICO...
Fabrizio d'Esposito per il "Fatto quotidiano"

Regime tecnico dei moniti e della responsabilità. Grande coalizione politica e mediatica. Ieri, un monitino sulla legge elettorale è arrivato sul solito Twitter pure da Pasquale Cascella, consigliere per la stampa del Quirinale, con toni perentori per "scortare" la lettera di Giorgio Napolitano inviata ai presidenti del Parlamento, Schifani e Fini: "A gennaio le forze politiche si impegnarono per una nuova legge elettorale: ormai opportuna e non rinviabile, si vada al confronto conclusivo". I partiti si adeguino se vogliono sopravvivere alla tempesta del grillismo.

Ritorna in mente il D'Alema di qualche settimana fa a ruota libera nel cortile di Montecitorio: "Io qui vengo per riposare". Nel suo messaggio, il capo dello Stato fa anche una parziale e dolorosa rinuncia alle agognate larghe intese: "La riforma non è più rinviabile, anche rimettendo a quella che sarà la volontà maggioritaria delle Camere la decisione sui punti che non risultassero oggetto di più larga intesa preventiva".

Da quando Silvio Berlusconi non è più a Palazzo Chigi, il regno di Napolitano ha toccato in questi giorni il suo record di intoccabilità. Lo snodo cruciale è la trattativa Stato-mafia. Le telefonate di Nicola Mancino hanno allargato il cordone sanitario attorno al Colle, amplificato da corazzieri di vecchio e nuovo conio. Il motivo è soprattutto politico. Il Quirinale è diventato l'arca che deve traghettare i partiti "responsabili" nella Terza Repubblica a rischio diluvio a 5 stelle.

A giugno lo ha fatto capire chiaramente il segretario del Pd Pier Luigi Bersani: "Il Quirinale è uno dei pochi presidi di questa democrazia. Sarà meglio evitare manovre attorno a lui perché poi non ci ritroviamo più niente". Lo stesso Bersani è ritornato sulla questione alcuni giorni fa, in polemica con il Fatto: "Continua sulle pagine di un quotidiano italiano lo stillicidio delle insinuazioni e degli attacchi pretestuosi e del tutto immotivati al presidente della Repubblica.

Come tutti gli italiani sanno, il presidente Napolitano ha sempre svolto e svolge con assoluta correttezza il suo compito". Ecco perché: "Affermare che non sia così significa mettere in atto il tentativo di indebolire il presidio più saldo di cui il Paese dispone in questo momento di grande difficoltà. Questi attacchi e le continue insinuazioni vanno respinti con il massimo della fermezza".

Lo scudo umano dei corazzieri vede in prima fila leader politici, direttori e fondatori. Tra quest'ultimi, il più attivo di tutti è Eugenio Scalfari. La sua escalation è stata micidiale: prima un botta e risposta concordato con il premier sulle scorie di lettismo e tremontismo nel governo, poi una conversazione con Napolitano, infine un colloquio informato con Mario Draghi, presidente della Bce. Il governo Napolitano-Monti-Scalfari. Con divieto assoluto di disturbare i manovratori del regime tecnico.

Chi non si allinea è "irresponsabile". Il man-tra dell'irresponsabilità è stato ripetuto da molti esponenti della "strana maggioranza" ABC (Alfano, Bersani, Casini) per difendere il Colle dalle "insinuazioni" sulla vicenda Mancino: Fini, Schifani, Casini, Alfano, finanche una rediviva Gelmini. L'ultimo ad aggiungersi alla compagnia è stato Berlusconi.

Il Cavaliere, raccontano a Palazzo Grazioli, avrebbe mollato il grillismo di destra per continuare il montismo (con o senza Monti) all'indomani delle elezioni politiche. Vero? O ennesimo bluff? In ogni caso, la conferma il pensiero unico del Colle raccoglie sempre più consensi. Persino Vittorio Feltri, sul Giornale un tempo anti-montiano, ha invitato i lettori "a turarsi il naso" e scegliere il male minore: la Grande Coalizione, "un'ammucchiata" per respingere indietro il diavolo a tre teste: Grillo, Di Pietro e Vendola.

A dare vigore alla ragnatela "responsabile" (ieri sui quotidiani, varie le interviste a moderati di ABC per un "governo dei responsabili" anche dopo il 2013) è stata poi la resurrezione di Monti a Bruxelles. In una notte, si è passati dalla prospettiva del voto anticipato a ottobre al consolidamento della sobrietà. E anche il Professore ha ritrovato la sua intoccabilità. Che ne ha fatto le spese è stato il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, accusato di lesa maestà e "fuoco amico" (Il Corriere della Sera).

Insuperabile ovviamente, visto il nuovo corso, la Repubblica di Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari: "Esternazioni irresponsabili", a firma di Tito Boeri. L'economista teorizza la dittatura perpetua dei tecnici: "Confindustria, a quanto pare, ha nostalgia dei governi politici. Lo si capisce non solo dal voto insufficiente attribuito al governo Monti, ma anche dal suo condividere ‘al 100%' le affermazioni del segretario della Cgil, Susanna Camusso, quando invoca un cambiamento di metodo nello stile di governo".

Insomma, dopo lo spavento per le amministrative, i partiti hanno ripreso con coraggio ad apparecchiare il tavolo dell'inciucione permanente, su impulso di Napolitano e Monti. Il premier potrebbe pure ripensare alla sua decisione di qualche mese fa (farsi da parte per il 2013) e accettare un nuovo mandato. A patto che glielo chiedano in coro i partiti di ABC. Non il replay di un film già visto nel 2000. Recentemente Castagnetti del Pd ha rivelato che dopo il governo D'Alema la prima scelta fu Monti e non Amato.

Ma il Professore rifiutò: "Sono un uomo di centro, non di parte". In questi mesi, Monti ha retto l'urto dei partiti e oggi ha la consapevolezza di durare fino al 2013. Un premier abile, che sa quando è il momento di lasciare scatenare la Casta. Sulla Rai per esempio, come ha notato ieri Pierluigi Battista sul Corriere della Sera. Con lo spread alle stelle, i partiti "esautorati dalle funzioni di governo, si estenuano nella loro occupazione preferita: spartirsi ossessivamente la Rai".

 

 

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