giancarlo giorgetti mario draghi

CHI È IL SENATORE CHE STAVA PER STRAPPARE UN APPLAUSO A MARIO DRAGHI CON IL SUO INTERVENTO? – IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO NON È ADUSO AI RITI DEL PALAZZO E GIANCARLO GIORGETTI HA DOVUTO FERMARLO GIUSTO UN ATTIMO PRIMA CHE BATTESSE LE MANI: “NON LO FARE, NON SI FA MAI DAI BANCHI DEL GOVERNO” - LA MARATONA DELLE PRIME DUE GIORNATE IN AULE DELL’EX PRESIDENTE ELLA BCE

GIANCARLO GIORGETTI E MARIO DRAGHI LEGGONO DAGOSPIA

Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”

 

Ieri alla Camera Mario Draghi ha evitato di fare ciò che l' altro ieri stava per fare al Senato. Durante il dibattito a Palazzo Madama era accaduto infatti che il presidente del Consiglio avesse trovato di suo gradimento un intervento, e fosse sul punto di battere le mani per manifestare il suo consenso.

 

MARIO DRAGHI ALLA CAMERA

Non si saprà mai chi fosse il senatore, è certo invece che sia stato Giancarlo Giorgetti a fermare il capo dell' esecutivo un istante prima che applaudisse. «Non lo fare, non si fa mai dai banchi del governo», ha sussurrato al premier il ministro dello Sviluppo Economico che gli stava seduto a fianco.

 

Insomma, la prima volta in Parlamento a Draghi non è servita solo per ottenere la fiducia, è stata anche una sorta di apprendistato rapido rispetto alle regole del Palazzo.

mario draghi federico d'inca'

Per esempio: se l' altro ieri al Senato - mentre scrosciavano gli applausi al termine del suo discorso - il capo del governo aveva chiesto «ditemi quando mi posso sedere», ieri a Montecitorio gli hanno detto quando restare seduto.

 

Perché appena terminata la replica, il premier riteneva che il rito si fosse esaurito, aveva raccolto i suoi appunti e si accingeva a lasciare l' emiciclo. Appena Federico D' Incá ha intuito cosa stava per succedere, l' ha afferrato per la giacca. Un gesto impercettibile, che il titolare per i Rapporti con il Parlamento ha accompagnato con la spiegazione.

 

«Presidente, deve restare ancora in Aula. Bisogna attendere le dichiarazioni di voto».

Il tour de force è stato stancante e insieme un condensato di emozioni, come lo stesso Draghi ha ammesso dopo due giorni di dibattito che ha trovato «interessante».

 

giancarlo giorgetti mario draghi stefano patuanelli luciana lamorgese roberto garofoli marta cartabia

E il giudizio è quanto meno un indizio, un modo di iniziare a conoscerlo per molti dei suoi stessi ministri, che con lui ancora non sanno come comportarsi. D' altronde sono due mondi diversi, storie che hanno avuto rari incroci. Al punto che il premier - quando parla coi politici della sua squadra - si rivolge dando e ricevendo il «lei», eccezion fatta per Giorgetti che conosce da quando stava a Bankitalia e per Renato Brunetta che conosce da una vita.

 

Se questa è la distanza dai ministri, figurarsi quella dai parlamentari: così per quarantott' ore in Parlamento lui ha ascoltato loro per capirli e loro hanno guardato lui per studiarlo. Al termine della missione i deputati, come fossero investigatori privati, di Draghi hanno scoperto che indossa un orologio con funzioni di telefono, «ma siccome non l' ha mai usato vuol dire che il suo numero ce l' hanno solo la moglie, la Merkel e Mattarella».

giancarlo giorgetti mario draghi stefano patuanelli

 

Ed è vero che non ha mosso ciglio, nemmeno quando è accaduto ciò che aveva già messo in preventivo, «perché ci sarà chi mi insulterà». L' unica volta che si è acceso è stato quando il renziano Roberto Giachetti l' ha paragonato a Francesco Totti, e al tifo per la Roma dicono che non sappia mai resistere.

 

Per il resto è rimasto impassibile e i parlamentari anziani, in modo bipartisan, hanno infine immaginato cosa Draghi abbia potuto commentare al termine della discussione: «Ma chi me l' ha fatta fare a venire in questa gabbia di matti».

 

VITTORIO COLAO FEDERICO D'INCA'

Ma è una libera interpretazione di chi in varie legislature ne ha viste tante eppure non le aveva viste tutte. È stato per via di certi interventi dadaisti, a volte surrealisti, in un caso incomprensibile. Almeno all' inizio.

 

È stato quando il vice capogruppo dei grillini Riccardo Ricciardi ha cominciato a dire che delle riforme cinque stelle non si poteva toccare nulla e tutti immaginavano che non avrebbe dato la fiducia al governo. E invece no, cioè sì, votava sì e Draghi per una volta ha mosso il capo si è girato verso Luigi Di Maio e gli ha chiesto chi fosse il deputato.

Non si conosce la risposta del ministro degli Esteri.

 

Si sa qual è il commento di Bruno Tabacci, che ha dimestichezza e confidenza con il presidente del Consiglio e prevede che «dopo due giornate così Mario qui dentro non lo vedremo più per un bel po'. Avrà fatto il pieno».

 

mario draghi e giancarlo giorgetti in senato

Ha fatto intanto il pieno di voti di fiducia e incassato il no di Giorgia Meloni, che al termine della sua appassionata spiegazione ha avvisato Draghi di stare attento: «Vedrà che quando inizierà il semestre bianco, molti di quelli che oggi la applaudono saranno dissidenti». Non è la prima volta, anche durante le consultazioni la leader di Fratelli d' Italia si era lasciata andare a «un consiglio non richiesto»: «Ovviamente se posso, presidente. Ecco, fossi in lei metterei dei limiti ai partiti, dei paletti da non fare oltrepassare. Altrimenti le prendono il dito, il braccio e tutto il resto».

giancarlo giorgetti mario draghi

Ultimi Dagoreport

emanuele orsini romana liuzzo luiss sede

FLASH! – IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA, EMANUELE ORSINI, HA COMINCIATO IL "RISANAMENTO" DELL’UNIVERSITÀ "LUISS GUIDO CARLI" ALLONTANANDO DALLA SEDE DELL’ATENEO ROMANO LO SPAZIO OCCUPATO DALLA "FONDAZIONE GUIDO CARLI" GUIDATA DALL’INTRAPRENDENTE ROMANA LIUZZO, A CUI VENIVA VERSATO ANCHE UN CONTRIBUTO DI 350 MILA EURO PER UN EVENTO ALL’ANNO (DAL 2017 AL 2024) - ORA, LE RESTA SOLO UNA STANZETTA NELLA SEDE LUISS DI VIALE ROMANIA CHE SCADRÀ A FINE ANNO – PRIMA DELLA LUISS, LA FONDAZIONE DELLA LIUZZO FU "SFRATTATA" DA UN PALAZZO DELLA BANCA D’ITALA NEL CENTRO DI ROMA...

rai giampaolo rossi gianmarco chiocci giorgia meloni bruno vespa scurti fazzolari

DAGOREPORT - RIUSCIRÀ GIAMPAOLO ROSSI A DIVENTARE IL CENTRO DI GRAVITÀ DELL’INDOMABILE BARACCONE RAI? - IL “FILOSOFO” DEL MELONISMO HA TENUTO DURO PER NON ESSERE FATTO FUORI DAL FUOCO AMICO DEL DUPLEX SERGIO-CHIOCCI. A “SALVARE” IL MITE ROSSI ARRIVÒ IL PRONTO SOCCORSO Di BRUNO VESPA, CON IL SUO CARICO DI MEZZO SECOLO DI VITA VISSUTA NEL FAR WEST DI MAMMA RAI - A RAFFORZARE LA SUA LEADERSHIP, INDEBOLENDO QUELLA DI CHIOCCI, È INTERVENUTA POI LA FIAMMA MAGICA DI PALAZZO CHIGI, “BRUCIANDO” IN PIAZZA IL DESIDERIO DI GIORGIA DI ARRUOLARLO COME PORTAVOCE - L’OPERAZIONE DI ROSSI DI ESSERE IL BARICENTRO IDEOLOGO E PUNTO DI RIFERIMENTO DI TELE-MELONI, SI STA SPOSTANDO SUI TALK-SHOW E L’INTRATTENIMENTO, A PARTIRE DALLA PROBABILE USCITA DI PAOLO DEL BROCCO, DA UNA DOZZINA DI ANNI ALLA GUIDA “AUTONOMA” DELLA CONSOCIATA RAI CINEMA, IN SCADENZA AD APRILE 2026 - IL NOME CHE SCALPITA PER ANDARLO A SOSTITUIRE, È UN AMICO FIDATO DI ROSSI, L’ATTUALE DIRETTORE DEL DAY-TIME, LO SCRITTORE-POETA-CANTANTE-SHOWMAN ANGELO MELLONE - MENTRE A RAI FICTION...

roberto vannacci matteo salvini giorgia meloni

DAGOREPORT - UNO SPETTRO SI AGGIRA MINACCIOSO PER L'ARMATA BRANCA-MELONI: ROBERTINO VANNACCI - L’EX GENERALE DELLA FOLGORE STA TERREMOTANDO NON SOLO LA LEGA (SE LA VANNACCIZZAZIONE CONTINUA, ZAIA ESCE DAL PARTITO) MA STA PREOCCUPANDO ANCHE FRATELLI D’ITALIA - IL RICHIAMO DEL GENERALISSIMO ALLA DECIMA MAS E ALLA PACCOTTIGLIA DEL VENTENNIO MUSSOLINIANO (“IO FASCISTA? NON MI OFFENDO”)  ABBAGLIA LO “ZOCCOLO FASCIO” DELLA FIAMMA, INGANNATO DA TRE ANNI DI POTERE MELONIANO IN CUI LE RADICI POST-MISSINE SONO STATE VIA VIA DEMOCRISTIANAMENTE “PETTINATE”, SE NON DEL TUTTO SOTTERRATE - IL PROGETTO CHE FRULLA NELLA MENTE DI VANNACCI HA COME TRAGUARDO LE POLITICHE DEL 2027, QUANDO IMPORRÀ A SALVINI I SUOI UOMINI IN TUTTE LE CIRCOSCRIZIONI. ALTRIMENTI, CARO MATTEO, SCENDO DAL CARROCCIO E DO VITA AL MIO PARTITO - INTANTO, SI È GIÀ APERTO UN ALTRO FRONTE DEL DUELLO TRA LEGA E FRATELLI D’ITALIA: LA PRESIDENZA DEL PIRELLONE…

berlusconi john elkann

FLASH! – “AHI, SERVA ITALIA, DI DOLORE OSTELLO...”: DA QUALE FANTASTICA IPOCRISIA SPUNTA LA FRASE “MESSA IN PROVA” PER LIQUIDARE IL PATTEGGIAMENTO DI JOHN ELKANN, CONDANNATO A 10 MESI DI LAVORO DAI SALESIANI? - QUANDO TOCCÒ AL REIETTO SILVIO BERLUSCONI DI PATTEGGIARE CON LA GIUSTIZIA, CONDANNATO A UN ANNO DI LAVORO PRESSO UN OSPIZIO DI COLOGNO MONZESE, A NESSUNO VENNE IN MENTE DI TIRARE FUORI LA FRASE “MESSA IN PROVA”, MA TUTTI TRANQUILLAMENTE SCRISSERO: “SERVIZI SOCIALI”…

bomba doha qatar trump netanyahu epstein ghislaine maxwell

DAGOREPORT - COME MAI DONALD TRUMP,  PRESIDENTE DELLA PIÙ GRANDE POTENZA PLANETARIA, NON È NELLE CONDIZIONI DI COMANDARE SUL PREMIER ISRAELIANO BENJAMIN NETANYAHU? - COME E' RIUSCITO "BIBI" A COSTRINGERE L’IDIOTA DELLA CASA BIANCA A NEGARE PUBBLICAMENTE DI ESSERE STATO PREAVVISATO DA GERUSALEMME DELL'ATTACCO CONTRO ALTI ESPONENTI DI HAMAS RIUNITI A DOHA? - DATO CHE IL QATAR OSPITA LA PIÙ GRANDE BASE AMERICANA DEL MEDIO ORIENTE, COME MAI LE BOMBE SGANCIATE VIA DRONI SUI VERTICI DI HAMAS RIUNITI A DOHA SONO RIUSCITE A PENETRARE IL SISTEMA ANTIMISSILISTICO IRON DOME ('CUPOLA DI FERRO') DI CUI È BEN DOTATA LA BASE AMERICANA? - TRUMP ERA STATO OVVIAMENTE AVVISATO DELL’ATTACCO MA, PUR CONTRARIO A UN BOMBARDAMENTO IN CASA DI UN ALLEATO, TUTTO QUELLO CHE HA POTUTO FARE È STATO DI SPIFFERARLO ALL’EMIRO DEL QATAR, TAMIN AL-THANI - SECONDO UNA TEORIA COMPLOTTISTICA, SOSTENUTA ANCHE DAL MOVIMENTO MAGA, NETANYAHU AVREBBE IN CASSAFORTE UN RICCO DOSSIER RICATTATORIO SUI SOLLAZZI SESSUALI DI TRUMP, FORNITO ALL’EPOCA DA UN AGENTE DEL MOSSAD ''SOTTO COPERTURA'' IN USA, TALE JEFFREY EPSTEIN...