renzi adinolfi

1. COSA CI RACCONTANO LE INTERCETTAZIONI DEL RENZI-GATE, A DIR POCO, INQUIETANTI E RIVELATRICI, AUTORIZZATE DAI PM DI NAPOLI? CHE IN RIVA ALL’ARNO DELLA FRATELLANZA, CON UN PARLAMENTO ESAUTORATO DI FATTO DA NAPOLITANO C’ERA UN “MONDO DI MEZZO” CHE TRAMAVA AI LIVELLI PIÙ ALTI. E CHE SAPEVA CHE A PALAZZO CHIGI SI STAVA PREPARANDO UN ALTRO RIBALTONE ALLE SPALLE DEGLI ELETTORI. E CHE BERLUSCONI ERA DELLA PARTITA

renzi e napolitanorenzi e napolitano

DAGOANALISI

 

A dare ascolto al poeta romanesco Trilussa l’unico animale degno “de bazzica’ la Cammera” è la mosca: “L’idee de l’onorevole la Mosca/ Perché vola, s’intrufola s’ingegna/ e in fatto di partiti, di chi sia/ passa sopra a qualunque porcheria”.

 

E il richiamo all’onorevole mosca cocchiera di Trilussa, ronzante nel lercio antico della politica, non è dovuto soltanto all’amichevole epiteto - “stronzo” - con cui il generale della Finanza, Michele Adinolfi, si congeda al telefono con il premier in pectore Matteo Renzi.

MICHELE ADINOLFI MICHELE ADINOLFI

 

La conversazione sconvolgente (e profetica) dell’allora segretario del Pd con il comandante delle Fiamme gialle della Toscana che punta a diventarne il capo supremo è bocciato da Saccomanni e Napolitano - intercettata dai carabinieri e rivelata da “il Fatto” di Marco Travaglio -, è, infatti, dell’11 gennaio 2014.

 

E trentasei giorni dopo, esattamente il 17 gennaio del 2014, il capo dello Stato affidava l’incarico a Renzi di formare un nuovo governo, ma senza alcun passaggio parlamentare. Fuori cioè da ogni prassi o regola stabilita dalla nostra Carta costituzionale.

 

mar25 marra elia valori cossiga michele adinolfimar25 marra elia valori cossiga michele adinolfi

Un’anomalia. Un “pasticcio Napolitano”, con due pericolosi precedenti alle spalle: l’esecutivo Mario Monti (2011-2013), che occupò  il posto del decapitato Silvio Berlusconi, e quello di Enrico Letta (28 aprile 2013-22 febbraio 2014).   

 

Già, l’inquilino di palazzo Chigi, il giovane  Enrico Letta, bollato come “incapace” dal segretario del suo partito. Ma a quanto si legge nel brogliaccio delle intercettazioni, non con l’avallo del Quirinale di Bellanapoli. Un presidente che, almeno a sentire la “cricca” renziana riunita nell’ex ristorante dei tempi della dolce vita, la “Taverna Flavia” di Mimmo Cavicchia, era ricattabile a causa del figlio Giulio. Anche lui, il capo dello Stato, costretto così a piegarsi al voto frettoloso e “bulgaro” della direzione del Pd: 136 sì e 16 no. In pratica il “giglio tragico” riunito al Nazareno toglieva, la fiducia parlamentare al “suo” premier in carica, ma senza che il Parlamento e la pubblica opinione ne conoscessero le reali motivazioni politiche.

Giorgio Napolitano e Enrico Letta Giorgio Napolitano e Enrico Letta

 

Cosa ci raccontano soprattutto le intercettazioni, a dir poco, inquietanti e rivelatrici, autorizzate dal tribunale di Napoli? Che in riva all’Arno della fratellanza e nella sub-capitale dei Palazzi c’era un “mondo di mezzo” che tramava ai livelli più alti. E che sapeva - a differenza delle forze di maggioranza e di opposizione – che a palazzo Chigi si stava preparando un altro ribaltone alle spalle degli elettori. E che Silvio Berlusconi era della partita.

giulio con il padre giorgio napolitano e  ignazio marinogiulio con il padre giorgio napolitano e ignazio marino

 

Tant’è che cinque giorni dopo la telefonata Renzi-Adinolfi, il 16 gennaio, fu annunciato l’incontro al Nazareno tra l’ex Cavaliere e il segretario del Pd. Con il gen. Adinolfi che fa il tifo per la “cacciata” di Letta che “non molla” la poltrona. E che adesso si difende spiegando che le sue affermazioni al telefono “erano cose che si leggevano sui giornali”! Ma quali quotidiani avevano anticipato il patto occulto del Nazareno? Ah saperlo!

 

giulio napolitanogiulio napolitano

La domanda, comunque, è rimasta nella penna dell’intervistatrice del Corriere di “Machete” Fontana che, ovviamente, non ha ritenuto il “caso” delle intercettazioni, degno della prima pagina. E “la Repubblica” di Ezio Mauro e Sorgenio De Benedetti, che sbatte in prima pagina il “mostro” evasore Flavio Briatore, si mette al passo con il concorrente neghittoso rimandando lo stesso “caso” a due pagine interne. Con tutte le grandi firme giudiziarie solitamente impegnate a tampinare le varie (e avariate) P2,P3,P4 -  le Sarzanini e i Bonini -, lasciati momentaneamente a riposare in redazione.

 

ezio mauroezio mauro

Possiamo immaginare quale rilevanza sarebbe stata data alle indagini avviate dai giudici di Napoli se tra gli attovagliati alla “Taverna Flavia” ci fosse stato anche un Luigi Bisignani.

 

Ma nella la Repubblica del sommo Eugenio Scalfari è diventato un santo da onorare anche quel Denis Verdini, ex macellaio di Forza Italia, che oggi al Senato fa da gruccia al governo Renzi, ma per anni è stato vituperato e mandato al rogo sulle forche caudine (di carta) repubblichine.      

 

RENZI 
LOTTI
RENZI LOTTI

Ecco l’Italietta di Renzi che ci raccontano le intercettazioni. Quasi un remake aggiornato dello sgangherato film di Mario Monicelli, “Vogliamo i colonnelli”. Carte che forse non hanno alcuna rilevanza penale, ma politicamente palesano, se ancora ce ne fosse stato bisogno, tutto lo “squallore” di una classe di governo che - tanto per dirne solo una -, ancora non ha convocato il sottocapo della Guardia di Finanza, Michele Adinolfi, per avere almeno una sua smentita giurata sul capo dello Stato tenuto sotto ricatto, a causa di alcune presunte marachelle del figlio Giulio.

 

renzi berlusconirenzi berlusconi

Anche perché abbiamo il sospetto che altre carte sul “delitto imperfetto” del Nazareno non resteranno a lungo nei cassetti degli inquirenti. Ma al ministero del Tesoro e delle Finanze, guidato dall’imbelle Carlo Padoan, forse sono ancora impegnati a digerire i pacchi indigesti di nomine (lottizzate) che gli sono cucinate a palazzo Chigi dal consigliore del premier, Andrea Guerra, e dal suo braccio destro Luca Lotti, per convocare il gen. Adinolfi e chiedergli spiegazioni sul suo ciarlare al telefono da confidente-delatore del premier Renzi.

 

Quando Massimo D’Alema guidava il governo, palazzo Chigi fu definita dal giurista Guido Rossi, una “merchant bank che non parlava inglese”. Oggi in quelle stesse stanze trasformate in una setta di potere si parla soltanto toscano in omaggio, appunto, alla povera Italietta “alla carbonara” che malamente rappresenta il piccolo Ceasescu di Rignano sull’Arno.  

 

    

 

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