di maio salvini trump conte

DAGONEWS SULL'ARRIVO DI XI JINPING: COSA È SUCCESSO E COSA SUCCEDERÀ DOPO LA STORICA FIRMA DI UN ACCORDO CHE È MOLTA IMMAGINE E POCA CICCIA - IL RUOLO DI GERACI, L'ARRIVO DI GIORGETTI, LA SQUADRA SALVINIANA DI POLITICA ESTERA E LE PRESSIONI AMERICANE - IN CAMBIO DELLA RESISTENZA AI CINESI, L'AMBASCIATORE EISENBERG HA PROMESSO A SALVINI UN VIAGGIO A WASHINGTON DOPO LE EUROPEE - SE IL M5S DIVENTA DAVVERO IL TERZO PARTITO, IL GOVERNO HA PIÙ CHANCES DI SOPRAVVIVERE!

DAGONEWS

 

Il giorno è finalmente arrivato. Dopo un mese di panico governativo, il ''Presidente Ping'', come lo chiama Di Maio, oggi arriva a Roma e il famigerato protocollo della Via della Seta (''Belt and Road Initiative - BRI) sarà firmato.

paolo gentiloni con xi jinping al forum per la via della seta 3

 

Nelle scorse settimane, Trump ha chiamato più volte l'ambasciatore americano a Roma, Lewis Eisenberg, e la pressione per far saltare la visita in pompa magna è stata molto forte, a tutti i livelli e su tutti i componenti del governo. Che però, alla fine, ha tenuto duro. Non per una questione di principio – coi principi i governi ci fanno il sugo – ma per una mera considerazione utilitaristica/realistica.

 

Non solo Francia, Germania e Regno Unito (e i precedenti governi italiani) hanno fatto gli accordi che gli è parso e piaciuto con la Cina, senza ricevere grossi ricatti americani. Ma sono gli stessi Stati Uniti che lavorano da mesi per chiudere con un trionfale incontro di pace la guerra commerciale tra Trump e Xi. Metti che l'Italia per ubbidire a Trump avesse rotto col presidente cinese, e tra un mese ci ritroviamo il puzzone della Casa Bianca sorridente con lui, che figura avremmo fatto?

 

XI JINPING

Resta però il pasticcio di un governo che si è fatto cogliere totalmente in contropiede, con il caso Via della Seta che è montato prima sui giornali e poi è dilagato per due settimane durante le quali nessuno aveva davvero il controllo della ''narrazione'', con il governo che scattava in tutte le direzioni come un pollo a cui avevano appena tagliato la testa.

 

La responsabilità di tanta improvvisazione sarebbe soprattutto di due persone, cioè dell'ex sconosciuto – oggi arcinoto – sottosegretario Michele Geraci, e dell'ambasciatore italiano in Cina, Ettore Sequi.

LUIGI DI MAIO IN CINA CON MICHELE GERACI

 

Di Maio dopo il suo viaggio a Pechino aveva dato carta bianca a Geraci, visto che di politica estera non capisce una mazza e contava che il palermitano, formalmente in quota Lega, avrebbe riferito a Salvini eventuali sviluppi. Invece l'economista sinofilo è andato avanti nelle trattative senza informare né Salvini né Conte, ma neanche la Farnesina e il Quirinale.

 

michele geraci matteo salvini

 

 

Finché la questione non è arrivata alle lunghe ''orecchie'' dei servizi segreti americani in Cina, che hanno avvertito Washington: un nostro alleato sta discutendo un accordo che farebbe nascere un rapporto privilegiato con la Cina, proprio mentre noi stiamo mettendo nell'angolo Pechino sul piano commerciale (e non solo, vedi Huawei). A quel punto è partita la scarica di ''paletti'' che in via ufficiosa e pure molto ufficiale le autorità statunitensi hanno messo all'Italia.

 

Dopo l'intervento di Mattarella, il Memorandum of Understanding è stato annacquato e reso ''passabile'' agli occhi di Washington, ma non troppo da scatenare il ritiro della delegazione cinese. Sono stati messi chiari limiti sul 5G e sulla strategicità delle infrastrutture portuali di Trieste e Genova, e sono saltate per ora le firme su altri MoU ''a cascata'', come quello sulla collaborazione tra il ministero della Difesa e quello con Leonardo-Finmeccanica.

 

michele geraci giuseppe conte giorgetti aquilanti

Al presidente cinese che il documento sia stato ritoccato importa fino a un certo punto. Gli interessa soprattutto l'elemento politico, l'immagine che questa visita proietterà verso il mondo. La Cina che entra in Europa dalla porta principale, non più dai container stipati di merce con cui ha ammazzato la manifattura occidentale. Un'immagine che può servire da esempio anche per altri Paesi del G7 o dell'Unione Europea che pensano di sottoscrivere accordi simili (e non sono pochi a guardarsi intorno da quando gli USA con Obama hanno mollato l'Europa al suo destino).

 

L'ambasciatore Eisenberg in queste settimane ha trovato come sponda Giorgetti e Tria, che gli hanno assicurato che l'accordo non contiene nulla di davvero vincolante. Salvini ormai non può più considerare Geraci come uno dei suoi, e ha dato a Giorgetti il compito di seguire la faccenda. Non a caso il leghista sta mettendo in piedi una squadra di nomi in grado di gestire le questioni più delicate di politica estera, capeggiata dalla new entry, l'ex grillino Marco Zanni, e dal suo consigliere diplomatico Stefano Beltrame.

XI JINPING DONALD TRUMP

 

Da qui al 27 maggio, giorno del voto europeo, Salvini si metterà a cercare alleanze all'estero, per creare in Parlamento un gruppo autonomo e sedersi al tavolo della politica comunitaria che conta. Per farlo, l'ha capito, prima o poi dovrà rompere con la sua alleata di sempre Marine Le Pen, che a Bruxelles sarà persona non grata finché vivrà.

 

In cambio della sua resistenza all'accordo coi cinesi, Eisenberg avrebbe promesso al leghista che organizzeranno una visita a Washington con tutti gli onori, subito dopo le elezioni europee.

GIORGETTI A NEW YORK

 

E a proposito di dopo le elezioni, che succederà al governo? Se il M5S dovesse davvero diventare il terzo partito dopo Lega e Pd, come suggeriscono gli ultimi sondaggi (da prendere con le pinze visto che alle politiche hanno sempre sottostimato i 5 Stelle), allora andrebbe rinegoziato il Contratto di Governo con la Lega legittimata a imporre la sua linea politica all'esecutivo.

 

Se invece il M5S dovesse restare il secondo partito, ci sarebbe poco spazio di manovra e le divergenze tornerebbero a logorare ogni giorno l'agenda politica, rimettendo in campo l'ipotesi delle elezioni anticipate.

 

MARCO ZANNI MATTEO SALVINI CLAUDIO BORGHI

Su tutto aleggia sempre il fantasma della Legge di Bilancio e dei numeri horror da far quadrare. Salvini manda messaggi al Colle in cui promette di saper mettere in piedi un centrodestra moderato che punta sugli investimenti (anche stranieri) nel nostro Paese e che sia favorevole a un raccordo con l'Unione Europea in chiave ''riformista''. La parola ovviamente non ha un connotato liberale ma di riforma dell'impianto istituzionale europeo, secondo una linea pop-sovranista. Nella speranza di recuperare flessibilità sui nostri disastrati conti e di non finire di nuovo umiliati sotto le grinfie del Moscovici di turno.

Marco Zanni

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