EURO-FOLLIE - LA LEGGE CHE PRESCRIVE IL "PAREGGIO DI BILANCIO" LO SCRIVE SOLO NEL TITOLO: NEL TESTO SI PARLA DI “EQUILIBRIO”! – CHI HA RAGIONE TRA COLORO CHE VOGLIONO RISPETTARE I VINCOLI DELL’UE E CHI CHIEDE UNA DEROGA?

Guido Gentili per ‘Il Sole 24 Ore'

La leggenda del pareggio di bilancio, il mistero del saldo strutturale e l'Ufficio a rischio flop. In pieno allarme deflazione e disoccupazione e mentre l'Eurogruppo invita l'Italia al rispetto degli impegni e insieme alle riforme, a cavallo tra leggi italiane e regole europee, tutte molto complicate, il partito dei vincolisti si confronta con quello dei deroganti nella corsa alla ricetta perfetta.

Le buone ragioni non mancano nell'uno come nell'altro schieramento. È la sintesi (coniugare la stabilità dei conti con la crescita) che è difficile. Questa spetterebbe alla politica. Nei giorni scorsi è stata anche approvata alla Camera - 301 sì, 134 no - una risoluzione, cioè un atto di indirizzo che impegna il governo a battersi in Europa per una maggiore flessibilità.

Ma è proprio la politica, spesso, a dimenticare cosa essa stessa aveva deciso, o non deciso, in precedenza. In un volteggiare di parole che finiscono al tappeto prima ancora di aver potuto cominciare a sbattere i famosi "pugni sul tavolo" a Bruxelles o di cui, al contrario, non se ne valorizza la forza.

Il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione con la riscrittura degli articoli 81, 97, 117 e 119 appare come un dato consolidato. Ma a ben vedere non è proprio così. La Legge Costituzionale 20 aprile 2012, approvata a tempi record e con l'attivo concorso di destra, sinistra e centro, prescrive la parola "pareggio" solo nel titolo: «Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale». Se già la parola "principio" rimanda ad una tendenza, il "pareggio" evoca un saldo pari a zero tra entrate e uscite. Ma non c'è, il pareggio vero.

L'articolo 1 dispone che «Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi oneri provvede ai mezzi per farvi fronte».

Dunque, non «pareggio» ma «equilibrio». Un'astuzia politica, mentre è aperto il confronto sulla reale apertura dei varchi in cui il Parlamento potrebbe ritrovare uno spazio di manovra. Viceversa, quando si prescrive che «ogni legge che importi nuovi oneri provvede ai mezzi per farvi fronte», non c'è possibilismo interpretativo che tenga. Nel perentorio «provvede»,in pratica, figura il vincolo ineludibile e attuale delle coperture finanziarie che si staglia dietro il piano del Governo Renzi per ridurre l'Irpef a 10 milioni di italiani.

Il vecchio articolo 81 prescriveva un permeabile «deve indicare». Le parole in questo caso hanno un senso. E una storia lunga. Nel 1946, ai lavori della Costituente, non passò la formula di Costantino Mortati e Ezio Vanoni appoggiata da Luigi Einaudi: «Le leggi le quali importino maggiori oneri finanziari devono provvedere ai mezzi necessari per fronteggiarli».

Fu Aldo Bozzi a far approvare la formula «deve indicare». Al che Einaudi profetizzò: «non credo sia difficile per un governo ottemperare una simile norma».
Il concetto di «equilibrio» di bilancio (oggi senza indicazione di un tetto alle tasse che potrebbe ora entrare nel Def) d'altra parte fa il paio con un'altra formula che ricorre nella cervellotica strumentazione europea. Entriamo così nella sfera del pareggio di bilancio, sì, ma «strutturale» di cui parla anche il temuto Fiscal compact.

La legge di attuazione (n. 243, 24 dicembre 2012) della norma sul nuovo articolo 81 spiega che per «saldo strutturale» va inteso il saldo del conto delle amministrazioni pubbliche «corretto per gli effetti del ciclo economico al netto delle misure una tantum e temporanee». Per il Fiscal compact la regola del pareggio di bilancio si intende (anche) rispettata se il disavanzo «strutturale» dello Stato è pari all'obiettivo di «medio termine» specifico per ogni paese con un deficit che non eccede lo 0,5%. E l'obiettivo di «medio termine», nella legge di attuazione, è indicato come «il valore del saldo strutturale».

A sua volta il Fiscal compact prevede (risultato ottenuto dal Governo Monti) un tracciato - da negoziare a Bruxelles passo per passo - di aggiustamenti e correttivi sulla base di valutazioni articolate, per l'Italia da valorizzare. Sono i «margini di flessibilità» di cui parla il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan sui tempi dell'«aggiustamento strutturale».
Ma il «saldo strutturale» (per il quale le Camere a maggioranza assoluta possano autorizzare scostamenti temporanei anche ricorrendo all'indebitamento per fronteggiare eventi straordinari) non esiste in natura. Come disse il senatore Enrico Morando, ora viceministro dell'Economia.

Sappiamo cos'è il pareggio nominale: esiste quando la somma delle spese è uguale alla somma delle entrate. Non sappiamo invece cos'è il «pareggio strutturale»: «ci vuole qualcuno che ce lo dica - spiegò Morando - quando l'obiettivo è conseguito e quando non è conseguito, perché il pareggio strutturale è frutto di un complesso calcolo che, nelle sue procedure, può anche essere modificabile nel tempo».

Già, chi ce lo dice e chi certifica in sostanza in Italia i conti, dato che i governi hanno spesso fatto ricorso alla sopravvalutazione della crescita del Pil (o alla sottovalutazione in caso di decrescita) per rendere più sostenibile il quadro programmatico? Mentre il Presidente della Repubblica Napolitano, in risposta a una lettera del capogruppo di Fi Brunetta, assicura la sua «vigilanza» su conti e coperture, si prospetta anche per questa via un minuzioso confronto con Bruxelles che già dal 2011 aveva chiesto un'autorità contabile indipendente.

Prevista dalla legge sul pareggio di bilancio in Costituzione, la normativa di attuazione ha stabilito la nascita dell'Ufficio parlamentare di bilancio, «organismo indipendente per l'analisi e la verifica degli andamenti di finanza pubblica e per l'osservazione delle regole di bilancio» che «opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e valutazione». Compresa la possibilità di segnalare al Parlamento gli scostamenti rispetto alle cifre dei governi.

L'Upb sarà un ufficio composto da 3 membri nominati d'intesa dai Presidenti delle Camere nell'ambito di un elenco di 10 soggetti indicati dalle Commissioni Bilancio di Senato e Camera a maggioranza di 2/3 dei rispettivi componenti. Sono stati selezionati i 66 nominativi che hanno i requisiti previsti (nomi noti e no). Oggi si riuniscono le due Commissioni per indicare i 10 candidati tra cui i Presidenti delle Camere sceglieranno i 3 timonieri.

La procedura, tipica di un bicameralismo perfetto in via di estinzione, è ad alto rischio di dosaggio politico e soggetta alla pratica dei veti incrociati. Sarebbe stato meglio (lo aveva suggerito anche Bankitalia) procedere alla nomina di un organo monocratico, con un solo timoniere al comando, ma questa strada è stata scartata.

Di sicuro l'Upb, che avrebbe dovuto essere in funzione dall'inizio del 2014, non entra nella partita del Def e del Programma nazionale di riforma (Pnr) che il Governo sta per presentare indicando per il 2014 una crescita del Pil pari a +0,8% contro l'irrealistico +1,1% del governo Letta. Per il futuro si vedrà.

Certo la sostenibilità della regola del debito del Fiscal Compact presuppone una crescita ben più forte del Pil. Comunque ad oggi resta il richiamo (che la Commissione europea trasmise al Governo Letta sulla Legge di stabilità 2014) secondo il quale le previsioni del governo «sono state elaborate senza il coinvolgimento di altre istituzioni».

 

G nter Verheugen il palazzo della commissione europea a bruxelles RENZI VAN ROMPUY OLLI REHN parlamentoRENZI E PADOAN ANGELA MERKEL SHINZO ABE MATTEO RENZI ALL AJA SACCOMANNI E LETTA RENZI, MERKEL

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni maurizio belpietro francesco saverio garofani sergio mattarella

DAGOREPORT - IL “PIANO DEL QUIRINALE PER FERMARE MELONI” NON ESISTE: LO “SCOOP” DELLA “VERITÀ” È STATO CONFEZIONATO CON L’OBIETTIVO DI PRENDERE DI MIRA SERGIO MATTARELLA, COME MASSIMA RAPPRESENTANZA DI QUEL "DEEP STATE" CHE I CAMERATI DI PALAZZO CHIGI HANNO SUL GOZZO – LA STATISTA DELLA SGARBATELLA SOGNA L’EGEMONIA ISTITUZIONALE: BOCCIATO IL PREMIERATO, VUOLE CAMBIARE CON LA FORZA IL SISTEMA MODIFICANDO LA LEGGE ELETTORALE E INSERENDO IL NOME DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SULLA SCHEDA (COSI' DA BYPASSARE DI FATTO I POTERI DI NOMINA DEL PREMIER CHE SPETTANO AL COLLE) - MA NON TUTTO FILA LISCIO: LEGA E FORZA ITALIA SI OPPONGONO PERCHE' NON VOGLIONO ESSERE CANNIBALIZZATI DA FDI E IN CAMPANIA E PUGLIA SI PROSPETTA UNA BATOSTA PER IL CENTRODESTA - DA QUESTO DERIVA QUEL NERVOSISMO, CON VITTIMISMO PARACULO ANNESSO, CHE HA SPINTO GIORGIA MELONI A CAVALCARE IL “COMPLOTTO DEL COLLE” – E SE FDI, PER BOCCA DI BIGNAMI E MALAN, NON AVESSE RINCULATO, DAL QUIRINALE SAREBBE PARTITO UN SILURO A TESTATA MULTIPLA...

francesco saverio garofani sergio mattarella giorgia meloni maurizio belpietro

DAGOREPORT - MA QUALE “COMPLOTTO DEL QUIRINALE CONTRO GIORGIA MELONI”! DIETRO ALLA DIFFUSIONE DELLE PAROLE DI FRANCESCO SAVERIO GAROFANI ALLA “VERITÀ” DI BELPIETRO C'E' UNA “GOLA PROFONDA” UN PO’ PASTICCIONA, CHE SI E' FATTA SGAMARE IN MEZZA GIORNATA - DAGOSPIA È IN GRADO DI AGGIUNGERE ALCUNI DETTAGLI SULLA CENA DI GIOVEDÌ 13 NOVEMBRE ALLA TERRAZZA BORROMINI. A TAVOLA C’ERANO SEDICI PERSONE: OLTRE ALL’ORGANIZZATORE, LUCA DI BARTOLOMEI E A FRANCESCO GAROFANI, C’ERANO MANAGER, CONSULENTI, UN AD DI UNA BANCA, DUE CRONISTI SPORTIVI E…UN GIORNALISTA CHE IN PASSATO HA LAVORATO IN UN QUOTIDIANO DI DESTRA, GIA' DIRETTO DA BELPIETRO. SARÀ UN CASO CHE LA MAIL A FIRMA “MARIO ROSSI”, DA CUI È NATO LO “SCANDALO”, SIA STATA INVIATA ANCHE AL MELONIANO "IL GIORNALE" (CHE PERO' L'HA IGNORATA)? - IL CONTESTO ERA CONVIVIALE, SI PARLAVA DI CALCIO E DEL PD, MA GAROFANI NON HA MAI PRONUNCIATO LA PAROLA “SCOSSONE”, CHE INFATTI NELLA MAIL ORIGINALE NON C’È - L’AUDIO? ANCHE SE CI FOSSE, BELPIETRO NON POTREBBE PUBBLICARLO PERCHÉ SAREBBE STATO CARPITO ILLEGALMENTE...

maurizio belpietro giorgia meloni la verita

DAGOREPORT - IL GIOCO DI PRESTIGIO DI MAURIZIO BELPIETRO: LO "SCOOP" SUL PRESUNTO “PIANO DEL QUIRINALE PER FERMARE LA MELONI” È BASATO SULLE PAROLE “PROVVIDENZIALE SCOSSONE”, CHE IL CONSIGLIERE DEL COLLE, FRANCESCO SAVERIO GAROFANI, AVREBBE PRONUNCIATO ALLA CENA DOPO L’EVENTO IN RICORDO DI AGOSTINO DI BARTOLOMEI. MA NELLA MAIL ANONIMA CHE SEGNALA LA VICENDA A "LA VERITA'" QUELLE DUE PAROLE NON SONO VIRGOLETTATE: SEMBRANO ESSERE UN RAGIONAMENTO DELL’AUTORE, IL MISTERIOSO "MARIO ROSSI" – “LINKIESTA”: “PER CAPIRE COSA PENSI MELONI BISOGNA LEGGERE ‘LA VERITÀ’, ESATTAMENTE COME PER CAPIRE COSA PENSI GIUSEPPE CONTE BISOGNA LEGGERE ‘IL FATTO’. QUANTI SI BEVONO OGGI LA FAVOLA DELLA SVOLTA ATLANTISTA ED EUROPEISTA DI MELONI, FAREBBERO BENE A LEGGERE ‘LA VERITÀ’, SMACCATAMENTE FILO-PUTINIANO, NO VAX E NO EURO. LA VERITÀ DEL GOVERNO MELONI STA LÌ”

tommaso cerno antonio giampaolo angelucci alessandro sallusti il giornale

FLASH! – COME PREVISTO, ANTONIO E GIAMPAOLO ANGELUCCI HANNO DECISO CHE, A PARTIRE DAL PRIMO DICEMBRE, AVVERRÀ IL CAMBIO DI DIREZIONE DE “IL GIORNALE” CON L’ARRIVO DI TOMMASO CERNO CHE, A SUA VOLTA, VERRÀ RIMPIAZZATO A “IL TEMPO” DA DANIELE CAPEZZONE – MALGRADO LA PROPOSTA DI ANDARE ALLA DIREZIONE EDITORIALE DE “IL GIORNALE”, AL POSTO DI VITTORIO FELTRI, CHE PASSEREBBE A QUELLA DI “LIBERO”, ALESSANDRO SALLUSTI NON L’HA PRESA BENE: IL BIOGRAFO DI GIORGIA MELONI LO CONSIDERA UNA DIMINUTIO PER IL SUO PRESTIGIO E MIREREBBE A DARE VITA A UN PROGETTO MEDIATICO CON NICOLA PORRO…