FUORI BARCA, IMPALLINATO RENZI, ALLA GUIDA DEL PD VA ENRICO LETTA (ARTEFICE CON ZIO GIANNI DEL NAPOLITANO-BIS)

Maria Teresa Meli per il Corriere della Sera

«Basta: questo è un gruppo dirigente destituito di ogni autorità. Bisogna cambiarlo, non si può più andare avanti così»: Matteo Orfini dà uno sguardo alle macerie del Pd. Sono lì davanti ai suoi occhi, dopo l'ennesima votazione andata male. «Non c'è una leadership, per questo non andiamo da nessuna parte», ripete tra sé e sé Andrea Orlando. Pier Luigi Bersani ascolta i suoi dirigenti e poi decide di gettare la spugna: si dimetterà dopo le elezioni del capo dello Stato.

Il Pd non esiste più. O quasi. Comunque nessun parlamentare è disposto a difenderne il diritto all'esistenza. «Che ci stiamo a fare qui?», si lamenta Stefano Fassina. «Ci stiamo suicidando», mormora Claudio Burlando. Il quadro, a dire la verità, è sconfortante. «Manca il partito, rischiano di rimanere solo le macerie», dice Matteo Renzi da Firenze. «Siamo come la Somalia», sibila sconsolato uno dei luogotenenti di Bersani. E aggiunge: «Siamo tante tribù l'una contro l'altra armata».

La mancanza di una guida pesa, eccome se pesa, sul Partito democratico. In mattinata il segretario ha accennato alle sue dimissioni: «Finite le votazioni per il presidente della Repubblica mi prenderò le mie responsabilità e trarrò le dovute conseguenze». Non pronuncia quella parola - dimissioni - solo perché in una situazione disastrata prima del voto su Prodi quel termine è impronunciabile.

Chi sarà il reggente? Enrico Letta, si vocifera. Ma il diretto interessato fa finta di niente. È chiaro, però, che il vice segretario sarà alla fine costretto a reggere la baracca finché non arriva il nuovo leader. Sarà Matteo Renzi, pensano in molti. E in tanti cercano di evitare questo esito impallinando Romano Prodi nel segreto dell'urna. Era il candidato del sindaco di Firenze, merita la batosta: è un segnale al primo cittadino del capoluogo toscano perché capisca che il Pd non potrà mai e poi mai essere suo.

Segnale ricevuto e incassato. Insieme alle voci, messe in moto ad arte, che lo vogliono come il vero autore dello scherzetto a Prodi. Non è colpa di Renzi, è ovvio, che, anzi è la vittima di questa ennesima manovra congressuale del Partito democratico. L'ex premier, in realtà, se la prende con quello che considera il vero responsabile di questa situazione. Ovvero Bersani.

Al telefono con il segretario del Pd usa toni duri e sbrigativi: «Ti devi prendere la responsabilità di quello che è successo. Mi avete messo nel tritacarne senza che nessuno ve lo avesse chiesto». Prodi è fuori di sé. Bersani abbozza e respira a fatica: tra breve non sarà più il segretario del Partito democratico, ma per adesso gli tocca ancora portare la croce. Senza lamentarsi, se non con i fedelissimi, quando, slacciandosi l'ultimo bottone della camicia e allentando la cravatta, sospira forte e dice: «Ho voglia di mollare. C'è la ditta da salvare».

Il suo avversario, dall'altra sponda dell'Arno non è contento di quello che succede: «Non voglio ereditare solo macerie», sbuffa. Come a dire che non è colpa sua se la situazione è quella che è, se il Pd ormai rotola su un piano inclinato. Cade Prodi e Renzi reagisce veloce: «Bisogna che stasera trovino un nome subito, sennò è l'ennesima figuraccia per la politica. Poi avremo poco da lamentarci se Grillo va avanti».

Renzi affida le sue riflessioni ai fedelissimi, ma anche ai colonnelli di Bersani. Con il segretario, invece, non parla: «Lui mi ha messo un dito nell'occhio, chiamandomi arrogante e indecente, e io non gli telefono di certo. Se vuole mi chiama lui». Il «lui» in questione, però, non alza la cornetta, né digita il numero del sindaco di Firenze sul cellulare. È stanco, sconfitto e scoraggiato. Non vuole né può combattere questa ennesima battaglia. Non ha voglia di ingaggiare un altro, un ennesimo, braccio di ferro con il partito.

Però della questione del segretario bisognerà pur parlare: «Lui - dice il sindaco di Firenze ai suoi - si è bruciacchiato. Voleva mettermi un dito nell'occhio e invece ha finito per bruciarsi». Poi Renzi continua a seguire il filo dei suoi pensieri ad alta voce, mentre i fedelissimi del sindaco annuiscono con la testa. «Ora bisogna che si dimetta. Capisco che la sua classe dirigente ha paura di cadere con lui, e per questo mira a tenerlo lì ad oltranza, ma non è più possibile andare avanti in questo modo».

A Firenze si ragiona così, ma anche a Roma si stanno affrontando gli stessi problemi. Ormai è solo una questione di tempi e di modi. Si tratta di sapere se è più opportuno abbandonare il ring adesso, o aspettare di aver portato a casa presidenza della Repubblica e governo. In realtà non tutti sono disposti ad attendere l'esito dell'attuale vicenda politica, c'è chi non vuole attendere oltre.

Chi ritiene che sia meglio chiudere la pratica subito, con le dimissioni di Bersani, piuttosto che andare per le lunghe, travolgendo istituzioni, alleati e interlocutori politici nella valanga rovinosa del congresso del Pd. E il segretario trae le uniche conclusioni possibili: dimissioni, per quanto posticipate in attesa del presidente della Repubblica.

 

ZANDA ENRICO LETTA IL BIGLIETTO DI ENRICO LETTA A MARIO MONTI ENRICO LETTA E MARINI ENRICO LETTA GIORGIA MELONI ENRICO LETTA MARIO DRAGHI GIANFRANCO FINI LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO ENRICO LETTAENRICO LETTA NICOLA LATORRE LUIGI ZANDA

Ultimi Dagoreport

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni antonio tajani quirinale alfredo mantovano

DAGOREPORT - NON CI SARÀ ALCUNA ROTTURA TRA MARINA E PIER SILVIO: NONOSTANTE LA NETTA CONTRARIETÀ ALLA DISCESA IN POLITICA DEL FRATELLINO, SE DECIDESSE, UN GIORNO, DI PRENDERE LE REDINI DI FORZA ITALIA, LEI LO SOSTERRÀ. E L’INCONTRO CON LA CAVALIERA, SOLLECITATO DA UN ANTONIO TAJANI IN STATO DI CHOC PER LE LEGNATE RICEVUTE DA UN PIER SILVIO CARICATO A PALLETTONI, È SALTATO – LA MOLLA CHE FA VENIRE VOGLIA DI EMULARE LE GESTA DI PAPI E DI ‘’LICENZIARE’’ IL VERTICE DI FORZA ITALIA È SALTATA QUANDO IL PRINCIPE DEL BISCIONE HA SCOPERTO IL SEGRETO DI PULCINELLA: TAJANI SOGNA DI DIVENTARE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NEL 2029, INTORTATO DA GIORGIA MELONI CHE HA PROMESSO I VOTI DI FRATELLI D’ITALIA. UN SOGNO DESTINATO A SVANIRE QUANDO L’EX MONARCHICO SI RITROVERÀ COME CANDIDATO AL QUIRINALE UN ALTRO NOME CHE CIRCOLA NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, QUELLO DI ALFREDO MANTOVANO…

giorgia meloni alfredo mantovano francesco lollobrigida carlo nordio andrea giambruno

DAGOREPORT - NON SI PUO' DAVVERO MAI STARE TRANQUILLI: MANTOVANO, IL SAVONAROLA DI PALAZZO CHIGI – D'ACCORDO CON GIORGIA MELONI, PRESA LA BACCHETTA DEL FUSTIGATORE DI OGNI FONTE DI ''DISSOLUTEZZA'' E DI ''DEPRAVAZIONE'' SI È MESSO IN TESTA DI DETTARE L’ORTODOSSIA MORALE  NON SOLO NEL PARTITO E NEL GOVERNO, MA ANCHE SCONFINANDO NEL ''DEEP STATE''. E CHI SGARRA, FINISCE INCENERITO SUL "ROGO DELLE VANITÀ" - UN CODICE ETICO CHE NON POTEVA NON SCONTRARSI CON LA VIVACITÀ CAZZONA DI ALCUNI MELONIANI DI COMPLEMENTO: CI SAREBBE LO SGUARDO MORALIZZATORE DI MANTOVANO A FAR PRECIPITARE NEL CONO D’OMBRA PRIMA ANDREA GIAMBRUNO E POI FRANCESCO LOLLOBRIGIDA – IL PIO SOTTOSEGRETARIO PERÒ NON DORME SONNI TRANQUILLI: A TURBARLI, IL CASO ALMASRI E IL TURBOLENTO RAPPORTO CON I MAGISTRATI, MARTELLATI A TUTTA CALLARA DA RIFORME E PROCURE ALLA FIAMMA...

pier silvio berlusconi silvia toffanin

L’IMPRESA PIÙ ARDUA DI PIER SILVIO BERLUSCONI: TRASFORMARE SILVIA TOFFANIN IN UNA STAR DA PRIMA SERATA - ARCHIVIATA LA FAVOLETTA DELLA COMPAGNA RESTIA ALLE GRANDI OCCASIONI, PIER DUDI HA AFFIDATO ALL'EX LETTERINA DELLE SUCCULENTI PRIME SERATE: OLTRE A “THIS IS ME”, CON FASCINO E MARIA DE FILIPPI A MUOVERE I FILI E SALVARE LA BARACCA, C'E' “VERISSIMO” CHE OCCUPERÀ TRE/QUATTRO PRIME SERATE NELLA PRIMAVERA 2026. IL PROGRAMMA SARÀ PRODOTTO DA RTI E VIDEONEWS CON L’OK DELLA FASCINO A USARE LO “STUDIO-SCATOLA" UTILIZZATA DA MAURIZIO COSTANZO NEL FORMAT “L’INTERVISTA” - COSA C'E' DIETRO ALLE MANOVRE DI PIER SILVIO: E' LA TOFFANIN A COLTIVARE L'AMBIZIONE DI DIVENTARE LA NUOVA DIVA DI CANALE 5 (CON I CONSIGLI DELLA REGINA DE FILIPPI) O È LA VOLONTÀ DEL COMPAGNO DI INCORONARLA A TUTTI I COSTI, COME UN MIX DI LILLI GRUBER E MARA VENIER? 

wang

DAGOREPORT - CICLONE WANG SUL FESTIVAL DI RAVELLO! - PERCHÉ NEGARLO? E' COME VEDERE GIORGIA MELONI COL FAZZOLETTO ROSSO AL COLLO E ISCRITTA ALL’ASSOCIAZIONE DEI PARTIGIANI - YUJA WANG, LA STELLA PIU' LUMINOSA DEL PIANISMO CLASSICO, ENTRA IN SCENA STRIZZATA IN UN VESTITINO DI PAILLETTES CHE SCOPRE LE COSCE FINO ALL'INGUINE, TACCHI “ASSASSINI” E LA SCHIENA NUDA FINO ALL’OSSO SACRO. MA NON STIAMO ASSISTENDO ALLE SCIOCCHEZZE DA DISCOTECA DI CERTE “ZOCCOLETTE” DEL POP IN PREDA A SFOGHI DI TETTE, SCARICHI DI SEDERONI, SCONCEZZE DA VESPASIANO; NO, SIAMO NEL MONDO AUSTERO E SEVERO DEI CONCERTI DI “CLASSICA”: RACHMANINOFF, PROKOFIEV, MOZART, CHOPIN, CAJKOVSKIJ. MA ALLA WANG BASTA UN MINUTO PER FAR “SUONARE” LE COSCE DESNUDE METTENDOLE AL SERVIZIO DELLE EMOZIONI E DELL’INTERPRETAZIONE MUSICALE, CONFERMANDO IN PIENO LE PAROLE DI LUDWIG VON BEETHOVEN: “LA MUSICA È LA MEDIATRICE TRA LA VITA SPIRITUALE E LA VITA SENSUALE” - VIDEO