LA LEGGE NON E’ UGUALE PER TUTTI: ALLEGGERITA LA WEB-TAX PER L’’’IRLANDESE’’ GOOGLE - VIA L’OBBLIGO DI APRIRE LA PARTITA IVA PER QUALUNQUE IMPRESA STRANIERA

Alessandro Barbera per ‘La Stampa'

Via l'obbligo di aprire la partita Iva per qualunque impresa straniera, la contestata tassa anti-Google assume sempre più i contorni di un provvedimento ad aziendam. Per capire con esattezza cosa sarà la webtax all'italiana bisognerà però attendere il testo che il governo presenterà oggi nel maxiemendamento in aula, quello sul quale ci sarà il voto di fiducia.

Fra pasticci, dietrofront e nella fretta di chiudere la seduta notturna, martedì la maggioranza è infatti riuscita ad approvare due testi parzialmente sovrapponibili: la rappresentazione plastica di un governo che non è stato in grado di governare il lavoro in Commissione.

In ogni caso non si tratterà della prima bozza liberticida, quella che obbligava all'apertura di una partita Iva in Italia qualunque impresa che volesse vendere prodotti via internet nel Belpaese. Si è fatto sentire il niet di Matteo Renzi, che per ben due volte si è dichiarato contrario all'emendamento di alcuni deputati della sua stessa area e del presidente della Bilancio, Francesco Boccia.

Una cosa è certa: d'ora in poi Google dovrà aumentare la quantità di fatturato dichiarato in Italia, e per questo pagherà più tasse. Vediamo perché. Dopo una lunga trattativa fra favorevoli e contrari, la maggioranza ha trovato un compromesso restringendo l'obbligo di possedere partita Iva in Italia solo per i soggetti che vendono «pubblicità on line» direttamente o indirettamente. Non solo Google, ma è evidente che oggi, fra i soggetti che operano sulla rete, il gigante di Mountain View la fa da padrone.

Chi avrà a che fare con Google dovrà pagare i servizi con strumenti tracciabili, ovvero bonifico bancario, in Posta (ebbene sì, c'è anche la Posta) o tramite carta di credito. Il pasticcio tuttora irrisolto sta nel fatto che i due emendamenti non coincidono nella definizione di partita Iva: l'emendamento Fanucci la cita in senso generico, senza specificare quindi se italiana od europea. Il secondo, a firma Covello, parla esplicitamente di partita Iva «italiana».

Se il governo farà propria questa seconda formulazione il rischio di procedura di infrazione da parte dell'Unione europea resta in piedi, visto che il commissario lituano per la fiscalità Algirdas Semeta ha pronta una lettera di richiamo per violazione dei principi comunitari. «La norma deve rispettare il principio della non-discriminazione fiscale e della libera circolazione di merci e capitali», spiegavano ieri all'Ansa fonti comunitarie.

Il passaggio decisivo che costringerà Google e le altre multinazionali dei servizi on line a pagare più tasse in Italia è però un altro, ed è la parte in cui l'emendamento Covello obbliga Google a introdurre «indicatori di profitto diversi» per il calcolo dell'attività svolta in Italia.

Per capirsi: fino ad oggi la società di Brin e Page ha potuto pagare imposte solo sulla base del numero di dipendenti che ha nella sua sussidiaria italiana e non, come pretenderebbe l'Amministrazione fiscale, sulla base del presunto fatturato raccolto in Italia e che invece la società fattura in Irlanda. La norma ora li costringerà a fare i conti con «le funzioni effettivamente svolte», un concetto non troppo lontano da quello del fatturato.

 

 

GoogleSTEFANO FASSINA E FRANCESCO BOCCIAFrancesco Boccia

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