NON SOLO DON CAMILLO, ANCHE PEPPONE NON PAGA L’ICI! - ALTRO CHE VATICANO. I SINDACATI VANTANO UN PATRIMONIO IMMOBILIARE IMMENSO, MA NON PAGANO UN SOLO EURO DI ICI - LA CHIESA, COSTRETTA A DICHIARARSI DISPONIBILE A SGANCIARE QUALCHE SOLDINO, SI VENDICA SUBITO SEGNALANDO CHE NON SOLTANTO I BENI ECCLESIASTICI SONO ESENTATI DAL PAGAMENTO DELLE TASSE SUGLI IMMOBILI…

1- È PARTITA LA CACCIA A CHI NON PAGA L'ICI.
Antonio Castaldo per Corriere.it

È partita la caccia a chi non paga l'Ici. Si allarga il fronte politico di chi vorrebbe maglie più strette per far pagare le tasse anche alla Chiesa. Il presidente della Cei Bagnasco venerdì ha mostrato disponibilità «a valutare la chiarezza della norma». Ma allo stesso tempo l'Avvenire passa al contrattacco segnalando che non soltanto i beni ecclesiastici sono esentati dal pagamento delle tasse sugli immobili.

In effetti l'elenco è lungo, e comprende tutti gli edifici di proprietà di organizzazioni internazionali e Stati esteri (compreso però il Vaticano), così come le fondazioni culturali e liriche, le Camere di Commercio, le università, le scuole. Anche i musei, ma a patto che non comprendano attività commerciali come book-shop o caffetterie (il che li esclude praticamente tutti). Sono poi esentate tutte le associazioni impegnate nel sociale, e in questo novero finiscono anche attività ricreative, come buona parte dei 5.500 circoli Arci.

LE STIME - Ma torniamo ai beni ecclesiastici. Secondo stime dell'Anci aggiornate al 2007 - quando ancora esisteva l'Ici sulla prima casa - l'esenzione vale 400 milioni di euro l'anno, al netto dell'inflazione e della rivalutazione degli estimi catastali prevista dalla manovra.

Come è noto, solo i luoghi di culto, di pertinenza religiosa o che svolgono funzioni di assistenza ai bisognosi sono esentati dalla legge. Ma da più parti sono stati sollevati dubbi sul rispetto delle norme. Al punto che lo stesso Bagnasco ha chiesto che vengano sanzionati gli eventuali abusi. Il controllo «fiscale» sui beni della Chiesa spetterebbe alle amministrazioni, che però su questo fronte fanno poco o nulla.

Secondo alcune rilevazione, addirittura il 20% del patrimonio immobiliare italiano farebbe capo alla Chiesa. Il catasto comprenderebbe 100mila fabbricati, il cui valore si aggirerebbe attorno ai 9 miliardi di euro. Le stime di settore parlano di circa 115mila immobili, quasi 9mila scuole e oltre 4mila tra ospedali e centri sanitari. Solo a Roma ci sono 23mila tra terreni e fabbricati, 20 case di riposo, 18 istituti di ricovero, 6 ospizi. Ma di questi quanti realmente dovrebbero essere tassate?

L'INCHIESTA DEI RADICALI - I Radicali da anni, spesso come voce solitaria, segnalano l'anomalia dei beni di proprietà della chiesa sfruttati a fini commerciali e tuttavia esentati dall'Ici. Il consigliere comunale di Milano Marco Cappato ha presentato un'interrogazione per conoscere quali solo i beni della Chiesa e quanti controlli fiscali sono stati fatti fino ad oggi e con quale risultato: «Non ho ancora ricevuto risposta - spiega - nell'attesa ho chiesto conferma del trattamento riservato ad alcuni dei beni ecclesiastici chiedendo se fossero esentati. Ed ottenuta risposta positiva, abbiamo provveduto noi a fare una piccola verifica».

Il segretario dei Radicali Mario Staderini si è presentato in alcuni studentati e convitti ecclesiastici chiedendo una stanza per qualche notte. Ha così scoperto che in qualche caso, dietro la parvenza di una struttura religiosa, si celava un vero e proprio albergo, con tanto di tariffe perfettamente in linea con i costi del mercato. Il tutto filmato da una telecamera nascosta.

LA FISSAZIONE - Per Avvenire bisognerebbe diffidare dalla «Fissazione radicale». Come spiega il direttore Marco Tarquinio, quella in corso è un'offensiva contro la solidarietà: «I promotori della nuova campagna anti-Chiesa, che ha risposto acremente agli appelli del mondo cattolico per misure fiscali pro famiglia e anti evasione, vogliono in realtà tassare la solidarietà». Il giornale dei vescovi ribadisce che l'esenzione compensa il welfare erogato dalle strutture ecclesiastiche.

LE ALTRE ESENZIONI - In un altro articolo appare anche una breve elencazione degli «esenti meno noti», ossia «partiti, circoli culturali e sindacati». Tesi poi ribadita anche da alcuni esponenti politici di primo piano, come Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo alla Camera del Pdl: «Esistono esenzioni fiscali per le attività non lucrative - prosegue - di cui beneficiano non solo le confessioni religiose ma ad esempio anche i sindacati e la vasta galassia dell'associazionismo».

Avvenire cita il caso delle sedi associative che diventano ristoranti: «Vi è mai capitato di entrare in un locale dove si ascolta musica, si mangia e si beve allegramente? Prima di entrare vi fanno pagare una piccola quota associativa con tanto di tesserina? Bene, quel locale, noto circolo di una nota associazione ricreativa, non paga l'Ici». E in un duello che inevitabilmente riporta la memoria ai tempi di don Camillo e Peppone, passa poi alle case del popolo. «Così pure i partiti politici», aggiunge il quotidiano, elencando le categorie che, in virtù della loro funzione sociale, sarebbero esenti dall'imposta.

I PARTITI PAGANO - Quindi anche il Partito Radicale, che da anni è l'alfiere della caccia all'esenzione, non pagherebbe l'Ici? «Non è affatto vero - replica Staderini - per la nostra sede noi paghiamo eccome, anche 2-3mila euro all'anno». È ancora più preciso il tesoriere del Pd, Antonio Misiani: «La normativa vigente prevede che i partiti politici siano soggetti al pagamento dell'Ici, salvo diversa deliberazione delle amministrazioni comunali». Che però vengono gestite dai partiti medesimi. Allo stesso tempo, tutte le sigle sindacali hanno provveduto a fare lo stesso comunicato: «Paghiamo regolarmente l'Ici». Su un patrimonio che del resto, restando solo ai confederali, sfiora quota diecimila immobili.

2- LA CGIL: 3000 SEDI IN TUTTA ITALIA E NEPPURE UN EURO DI ICI
Riccardo Ghezzi per http://www.questaelasinistraitaliana.org/2011/tremila-sedi-in-tutta-italia-non-un-euro-di-ici-altro-che-vaticano-e-la-cgil/

Altro che Vaticano. I sindacati vantano un patrimonio immobiliare immenso, ma non pagano un solo euro di Ici. Questo grazie ad una legge, la numero 504 del 30 dicembre 1992 (in pieno governo Amato), che di fatto impedisce allo Stato italiano di avanzare richieste ai sindacati.

E i soldi sottratti, o meglio non percepiti, dalle casse statali sono davvero tanti: la Cgil, ad esempio, sostiene di avere circa 3mila sedi in tutta Italia, ma si tratta di una specie di autocertificazione, in quanto i sindacati non sono assolutamente tenuti a presentare i loro bilanci. Solo un altro dei tanti privilegi dell'"altra Casta", come è stata brillantemente definita dal giornalista dell'Espresso Stefano Liviadotti, che con tale formula ha dato il titolo al suo libro/inchiesta sulla Triplice.

Se la Cgil dichiara 3mila sedi, la Cisl addirittura 5mila. E la Uil sarebbe in possesso di immobili per un valore di 35 milioni di euro.
La legge, però, paragona in modo del tutto immotivato i sindacati alle Onlus, ossia alle organizzazioni di utilità sociale senza scopo di lucro.
Senza scopo di lucro? I sindacati? Un paradosso.

Ma c'è di più. Cgil, Cisl, Uil, Cisnal (poi diventata Ugl) e Cida hanno ereditato immobili dai sindacati del Ventennio fascista, senza dover pagare tasse. Tutto secondo legge, in questo caso la 902 del 1977, che con l'articolo 2 disciplina la suddivisione dei patrimoni residui delle organizzazioni sindacali fasciste.

Non c'è da stupirsi: soltanto nella scorsa legislatura, 53 deputati e 27 senatori, quindi 80 parlamentari in totale, provenivano dalla Triplice. Logico che in parlamento si facciano leggi "ad personam", o meglio ad usum sindacati.
I regali più importanti, inutile dirlo, arrivano però sempre quando al governo c'è una coalizione di centro-sinistra.

Eccone alcuni: nel maggio 1997 il governo Prodi, per iniziativa del ministro della Funzione pubblica, Franco Bassanini, ha tirato fuori dal cilindro la legge 127, la quale grazie all'articolo 13 libera le associazioni dall'obbligo di autorizzazione nelle attività e nelle operazioni immobiliari. Con la finanziaria del 2000 vengono invece istituiti fondi per la formazione continua gestiti da sindacati e associazioni degli imprenditori. Ancora con il governo Amato, nel 2001 è fissato l'importo fisso per i patronati calcolato su tutti i contributi obbligatori versati da aziende e lavoratori agli enti.

Attraverso i patronati, i Caf (Centri di assistenza fiscale) e le deleghe sindacali sulle pensioni giungono fiumi di denaro nelle casse dei sindacati. Un meccanismo infallibile: i patronati si occupano di previdenza, richieste di aumento e pratiche di invalidità. E per ogni pratica l'Inps rimborsa.

L'assistito del patronato è però logicamente anche un potenziale cliente dei Caf: i Centri di assistenza fiscale, nati ovviamente con la sinistra al governo (Amato, anno 1992), compilano le dichiarazioni dei redditi e le spediscono via internet all'Inps. Ad ogni spedizione corrisponde un rimborso, anche se i costi sono pressoché azzerati.

In soccorso dei Caf è arrivato persino il decreto legislativo 241 del 1997, governo D'Alema, che concedeva loro l'esclusiva sulla verifica dei dati inseriti sui 730. Costringendo il Ministero delle Finanze a elargire un rimborso per ogni 730 inviato dai Caf.

Peccato che tale decreto sia stato "bastonato" nel 2006 dalla Corte di Giustizia Europea, senza che nessun quotidiano nazionale sempre attento alle sanzioni europee ne abbia dato notizia. Ma su internet la notizia si trova.
Alla fine le entrate che derivano dai tesseramenti, la cui revoca è pressoché impossibile, sono quelle meno importanti.
Allora, i sindacati davvero meritano agevolazioni fiscali?

 

 

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