starbucks bicchieri di natale

“STARBUCKS ODIA GESU’” - BUFERA NEGLI USA SUL COLOSSO DEL CAFFÈ CHE PER NATALE HA ELIMINATO OGNI RIFERIMENTO RELIGIOSO DALLE TAZZE PER “RAPPRESENTARE TUTTE LE STORIE” - TRUMP INVITA A BOICOTTARE STARBUCKS

Francesco Borgonovo per “Libero Quotidiano”

 

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Basta un bicchiere a contenere tutta la civiltà occidentale. Una superficie curva, completamente rossa e lucida. Uniforme. Nessun particolare che salti agli occhi, nessuno slogan, nessun disegno.
 

Solo il brand - il marchio dell' azienda - a fornire una spettrale parvenza d' identità. Ecco il nuovo contenitore che Starbucks, la catena multinazionale di caffetterie, ha progettato in occasione del Natale.

 

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Domanda: da che cosa dovremmo dedurre il carattere natalizio del bicchiere? Risposta: dal fatto che è rosso, e il rosso richiama il Natale. Certo, come no: il rosso richiama il Natale. Esattamente come richiama il sangue, il sesso, l' Unione Sovietica...
 

Jeffrey Fields, vicepresidente di Starbucks, non ha dubbi sulla sua decisione: «Per il Natale volevamo delle tazze con un design semplice, in grado di rappresentare tutte le storie, non solo quella dei cristiani».
 

Presto spiegato, quindi, il motivo della scelta: non si possono fare differenze tra le diverse culture. Un prodotto va venduto a tutti e una caratterizzazione identitaria troppo marcata è d' intralcio.

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Un musulmano, per esempio, potrebbe trovare irritante sorseggiare il suo frappuccino da una tazza decorata col faccione rubicondo di Babbo Natale. Risultato: si tolgono tutti i simboli, si lascia soltanto una superficie, la più neutra possibile.

 

Non può sfuggire tuttavia la micidiale assurdità che promana dalla frase di Fields. Come si fa a proporre un bicchiere natalizio che richiami «altre storie» che non siano quella cristiana?
 

A Natale si festeggia la nascita di Gesù, punto. Non si può celebrare la festività eliminando i riferimenti religiosi. Come non si potrebbe festeggiare Hanukkah recidendo i legami con l' ebraismo. Eppure Starbucks intende provarci, assecondando le peggiori tendenze «umanitarie» di quello che Edward Luttwak anni fa ha chiamato il «turbo capitalismo».

 

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Un capitalismo degenerato e nichilista che macina come chicchi di grano tutte le diversità, che annienta le culture e le identità, che sbriciola le comunità e impone il feticcio del Prodotto Unico: splendente, bombato, senza asperità. Il nulla sferico.
 

«Starbucks ha tolto il Natale dalle sue tazze perché odia Gesù», ha tuonato Joshua Feuerstein - cristiano evangelicale dell' Arizona in un video su Facebook. Ma costui si sbaglia.
 

Starbucks non odia nessuno, si limita a vendere caffè e cappuccini. Anzi, con tutta probabilità i suoi dirigenti credono che cancellando i simboli del Natale occidentale eviteranno di contribuire allo «scontro di civiltà». Agiscono per «non offendere», rispettano il politicamente corretto. Si preoccupano dell' ambiente, e studiano bicchieri riciclabili; si preoccupano della pace, per cui cancellano i riferimenti identitari.
 

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No, Starbucks non odia Gesù né il Natale. Semplicemente, è preda di un' ideologia che ha bisogno di eliminare le culture, le tradizioni e i popoli. La sua soglia di sopportazione dell' identità è così bassa che non vengono cancellati solamente i simboli religiosi (in primis quelli cristiani, perché nessuno li difende con decisione).
 

Ma pure quelli del capitalismo vecchio stampo. Una delle icone del Natale - nella forma in cui lo vive oggi l' Occidente - è appunto Babbo Natale. Come noto, nell' immaginario mondiale Santa Claus appare con le sembianze che gli ha dato la Coca-Cola. Il signore attempato e rubizzo è stato creato nel 1931 dalla D' Arcy Advertising Agency.

 

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Archie Lee, il responsabile pubblicitario della Coca-Cola, affidò al disegnatore Haddon Sundblom il compito di rinnovare la figura di Babbo Natale, e l'artista lo fece ispirandosi a un suo amico, il venditore in pensione Lou Prentiss. In pratica, Starbucks sta cancellando un brand creato da un' altra multinazionale. Non ce l' hanno con Gesù, ma con tutto ciò che abbia un vago odore di identità.
 

Come ha scritto uno dei massimi esperti di brand al mondo, Wally Olins, il brand serve ad «avere il senso della propria individualità e appartenenza, e darlo a vedere». Il capitalismo americano di un tempo lo sapeva, non a caso ieri il primo a criticare Starbucks è stato Donald Trump, che di quel capitalismo è la personificazione.
 

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«Ho uno degli Starbucks più redditizi nella mia Trump Tower» ha detto il magnate.
«Dovremmo boicottare Starbucks? Non lo so, ma intanto non rinnoverò loro il contratto di locazione. Se divento presidente, torneremo tutti quanti ad augurarci "Merry Christmas"».
 

Trump difende l' identità americana, creata anche dal brand della Coca-Cola. Perché stigmatizzare la scelta di Starbucks non significa banalmente opporsi alle multinazionali cattive o ai perfidi capitalisti.

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Significa capire che l' ideologia cosmopolita e politicamente corretta supera anche queste categorie, e livella tutto. Cancella ogni forma di tradizione, che sia stabilita da un libro sacro o da un pubblicitario. E lo fa in nome della tolleranza e del rispetto fra i popoli: creano il deserto, e lo chiamano pace.

 

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