FIALE DI FIELE - MISTERO NELLA CAMPAGNA DI VACCINAZIONE ANTI-COVID: 780 MILA DOSI SONO “SPARITE”: A CHI SONO ANDATE? NON CERTO O NON TUTTE A PERSONALE “IN PRIMA LINEA” COME DA PIANO STRATEGICO DEL MINISTERO - POTREBBERO ESSERE ANDATI AGLI ISCRITTI DI ORDINI PROFESSIONALI COLLEGATI AL MONDO SANITARIO (ANCHE SOLO AI LABORATORI DI RICERCA) O ISCRITTI AGLI ORDINI MA IN PENSIONE - PERCHÉ LA FRANCIA HA VACCINATO IL DOPPIO DEGLI ANZIANI RISPETTO ALL’ITALIA

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Federico Fubini e Simona Ravizza per il "Corriere della Sera"

 

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Tra due giorni, i Paesi europei conteranno due mesi esatti dall' inizio della campagna vaccinale più complessa della loro storia.

 

E pur nel ritardo complessivo di tutto il continente, non è andata nello stesso modo per tutti. L' Italia nelle prime tre settimane è partita più veloce della media europea, ma da allora ha iniziato a rimanere un po' indietro. La Francia è partita piano, mentre dalla terza settimana ha recuperato. Oggi Italia e Francia viaggiano quasi appaiate: la prima ha vaccinato almeno con una dose il 6% della popolazione, la seconda il 5,9%.

 

Questi dati non rispondono però a una domanda essenziale, vista la capacità di Covid-19 di discriminare in base all' anno di nascita dei contagiati: chi ha già ricevuto le somministrazioni? Saperlo è utile, perché in Italia l' 86% delle vittime del virus aveva 70 anni o oltre. Quante dosi sono state date agli anziani, visto che il Paese anche di recente ha continuato a perderne oltre diecimila al mese? E quante ai giovani?

 

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Pochissimi Paesi europei informano sulla scomposizione dei vaccini in base all' età. Il ministero della Salute tedesco, a ripetute richieste del «Corriere» in proposito, non ha mai risposto. Italia e Francia invece sono molto trasparenti, ma proprio la ricchezza dei loro dati - del ministero della Salute e di Geodès Santé Publique - fa emergere differenze radicali nell' approccio fra i due Paesi. A ieri, la Francia aveva vaccinato un esercito di anziani in più rispetto all' Italia: con almeno una dose, ne aveva messi un po' meglio al sicuro quasi 900 mila settantenni o oltre in più. In realtà probabilmente lo scarto è maggiore, perché il ministero della Salute di Roma informa solo sul totale di dosi somministrate per età e molti anziani nelle case di riposo ne hanno ricevute già due.

 

Ne ha coperti almeno 485 mila in più nella fascia dei settantenni (70-79) e almeno 406 in più fra chi ha ottant' anni e oltre, pur con dimensioni della popolazione quasi uguali in queste fasce d' età. Dato che quasi nove vittime su dieci di Covid fanno parte di quelle generazioni, la differenza può avere implicazioni serie.

 

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Com' è stato possibile? Senz' altro, ci sono scelte di priorità diverse fra Roma e Parigi ed entrambe sembrano scientificamente difendibili. In Italia il piano del ministero della Salute del 12 dicembre ha teso a proteggere prima tutto il «personale socio-sanitario» definito «in prima linea», a prescindere dall' età degli addetti. L' intenzione era di fare tutto perché il sistema sanitario continuasse a funzionare e di intervenire su coloro che possono diffondere più facilmente il virus (per esempio, un infermiere ventenne asintomatico, ma contagioso, che giri in corsia fra degenti anziani). In Francia invece un comitato di esperti della Haute Autorité de Santé ha raccomandato di dare priorità alle persone di oltre 75 anni, poi a quelle di oltre 65 anni e in terzo luogo ai professionisti del settore sanitario o socio-sanitario «di almeno 50 anni» o a rischio per altri motivi (elencando 60 studi scientifici a supporto del proprio parere).

 

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Ma davvero è tutto qua? Lo squilibrio nella distribuzione dei vaccini in Italia per ora è davvero importante. I settantenni (70-79 anni) in Italia hanno ricevuto appena il 3,7% delle dosi anche se sono il 10% della popolazione e uno su dieci fra loro, se contagiato, muore. In Italia anche i ventenni (20-29) sono il 10% della popolazione, eppure hanno ricevuto il 10% delle dosi benché fra loro muoia appena un contagiato su mille. Quanto agli ottantenni, fra i quali i decessi avvengono in due casi di contagio su dieci, a lunedì avevano avuto molte meno dosi dei trentenni (che pure muoiono in sei casi su mille).

Bisogna dunque chiedersi se qualcosa è andato storto.

 

Perché sia i dati sia le testimonianze dal mondo ospedaliero lo fanno pensare. Non è chiaro ad esempio perché il «personale socio-sanitario» abbia ricevuto a ieri 2,25 milioni di dosi, quando in base ai dati ufficiali Istat l' intero personale sanitario italiano pubblico e privato (medici generici e specializzati, infermieri, odontoiatri, ostetriche, farmacisti) risulta di 725 mila persone. Per vaccinarle tutte con doppia iniezione - come sarebbe stato comprensibile - bastavano 1,4 milioni di dosi.

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Invece questo gruppo sociale «socio-sanitario» ne ha assorbite ottocentomila in più: numero quasi uguale a quello degli anziani italiani protetti in meno rispetto ai loro coetanei francesi.

 

Dove sono finite quelle ottocentomila dosi? Non certo o non tutte a personale «in prima linea» come da piano strategico del ministero. In parte, sembrano andati agli iscritti di un certo numero di ordini professionali collegati più o meno direttamente al mondo sanitario (anche solo ai laboratori di ricerca), o iscritti agli ordini ma in pensione, o a almeno parte dei circa 350 mila addetti amministrativi della sanità pubblica o privata. Una volta stabilita la connessione sociale o professionale, i criteri d' accesso per chi faceva parte degli «insider» di alcuni gruppi sono diventati straordinariamente elastici. In una certa logica molto italiana (e molto iniqua) a tanti, troppi è diventato impossibile dire di no. E gli anziani più fragili possono attendere: loro qui, in fondo, sono «outsider».

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