"LA VERONICA? FORSE, PER NON ALIMENTARE LA MIA FALSA FAMA DI SEDUTTORE, ERA MEGLIO CHIAMARLA FILIBERTO!" - ADRIANO PANATTA FA 70! - BORG, LA BERTE’ E QUELLO “SCIROCCATO” DI RENATO ZERO, VILLAGGIO E TOGNAZZI CHE VOMITA IN UN CESPUGLIO, LE DONNE -  "NON SONO PIGRO, È CHE MI HANNO DIPINTO COSÌ. IL ROMANO, DISINCANTATO, ACCIDIOSO... MA DE CHE ? CERTO NON ERO BORG, MA NON FAREI MAI CAMBIO. E POI AVEVO TANTI INTERESSI..". - HO SEMPRE SNOBBATO WIMBLEDON, LEVAVA L’ARTE AL GIOCO" - ECCO IL SUO PIU' GRANDE RIMPIANTO - VIDEO

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GAIA PICCARDI Per il Corriere della Sera

 

Adriano, sono settanta.

«Ma di cosa parliamo?».

panatta panatta

 

Settant' anni giovedì.

«Cerchi rogne?».

Daaai. Giro di boa importante: tentiamo un bilancio?

«Il bilancio facciamolo tra dieci anni, se ci arrivo. I 70 non me li sento addosso. Tocco ferro: sono ipocondriaco da sempre, ma sto bene. Ogni tanto ho un po' di mal di schiena. L'ha usata parecchio, Panatta, mi ha detto il dottore. Verissimo. Però il tennis, alla fine, è stato gentile con me».

 

Festa a sorpresa?

«Dio me ne scampi! Una cena tranquilla, a Forte dei Marmi, con i nipoti, i figli e la mia compagna. Come se nulla fosse». Eppure nulla non è. Cominciamo da Roma, Parigi o dalla Davis in Cile? Tutto nel '76.

 «Possiamo fare finta che non ho mai vinto nulla e parlare d'altro?».

adriano panatta borg adriano panatta borg

 

È una vecchia gag ma proviamoci.

«È vero: non ho una coppa. Ho perso tutto».

 

Non è possibile.

 «Non è un vezzo, giuro. Ho fatto tanti di quei traslochi in vita mia...».

adriano panatta l'equipe adriano panatta l'equipe

 

Sparita anche la maglietta rossa che a Santiago si dice abbia fatto infuriare Pinochet?

«Tutto! Non sono un feticista, l'idea del salotto-museo mi fa orrore. Non l'ho mai detto a nessuno, conservo un'unica cosa: la pallina del match point contro Vilas a Roma, una Pirelli. Se la fece regalare mio padre Ascenzio, custode del Tc Parioli. Quando è mancato, riordinando casa, l'ho trovata. Poi è sparita di nuovo, misteriosamente. L'ha ripescata di recente mia figlia Rubina in un cassetto. È sbiadita, dura come un sasso. E con il tempo si è rimpicciolita, come i vecchi».

 

 I trofei, il boom del tennis alla fine degli Anni 70, la grande popolarità ancora oggi: di cosa va più fiero, Adriano?

«Penso di essere stato una brava persona, con tutti. Non ho sospesi. Non sono vendicativo, non serbo rancore. Ho avuto parecchie delusioni però poi scordo tutto: nomi, cognomi, motivo dei contrasti... Comunque ho una certezza: ho avuto più amici che nemici».

 

adriano panatta adriano panatta

E che amici. Paolo Villaggio.

«Un uomo di cultura mostruosa e intelligenza straordinaria. Un fratello, un fuoriclasse, un genio assoluto. Paolo sosteneva ci fossimo conosciuti a Cortina, dove a metà pomeriggio faceva aprire i ristoranti per mangiare polenta e capriolo. Ci divertivamo con poco, non parlando mai né di cinema né di tennis. Lo adoravo perché sapeva sempre sorprendermi. Fu lui a presentarmi Fabrizio De Andrè, che scoprii essere timidissimo».

 

Ugo Tognazzi.

adriano panatta adriano panatta

«Irresistibile, quando era in forma. Dopo Roma e Parigi, mi ero messo in testa di vincere Montecarlo. Nell'81 sto giocando bene, sono tirato a puntino: arrivo in semifinale contro il solito Vilas. La vigilia piombano in riviera Paolo e Ugo.

 

Voglio cenare alle otto e andare a letto presto, dico. Come no. Si presentano alle undici, ci sediamo a tavola a un'ora assurda, la serata finisce alle tre del mattino tirando fuori Ugo che vomita da un cespuglio. Il giorno dopo, non vedo palla: Vilas mi massacra».

 

Quindi è vero: se fosse stato meno viveur e meno pigro avrebbe vinto molto di più.

«Questa è una leggenda da sfatare: io non sono pigro, è che mi hanno dipinto così. Il romano, disincantato, accidioso... Ma de che ? Certo non ero Borg, ma non farei mai cambio. Non mi allenavo come Vilas, però nemmeno passavo le giornate a poltrire. La verità è che avevo un gioco molto rischioso, da equilibrista, senza margini, che mi richiedeva di essere sempre al cento per cento. E poi avevo tanti interessi, mica solo il tennis. Certo tornassi indietro, sono sincero, alcune cose non le rifarei».

calopresti villaggio panatta calopresti villaggio panatta

 

Ed eccoci a Wimbledon '79, a quel quarto di finale perduto con il carneade Pat Du Pré.

«Non me lo perdono, il più grande rimpianto della carriera. Ho sempre snobbato Wimbledon, non me ne fregava niente: gli inglesi, le loro tradizioni, l'erba su cui la palla rimbalzava da schifo... Levava la parte artistica dal gioco, la odiavo».

 

Avanti due set a uno, con la prospettiva di Tanner in semifinale e poi della nemesi Bjorn Borg, spesso battuto.

«Gira il coltello nella piaga?».

Ha mai sognato di rigiocare il match con Du Pré?

«Uff! Tante di quelle volte...».

 

ADRIANO PANATTA E ALESSANDRO DI BATTISTA GIOCANO A PADEL ADRIANO PANATTA E ALESSANDRO DI BATTISTA GIOCANO A PADEL

 E come finisce? Almeno nel sogno vince?

«Mai. Mi sveglio sempre un attimo prima. Un paio di volte mi sono sognato in campo con un mestolo in mano: un'angoscia! Tu pensa la testa...».

 

Panatta e le donne. Ha più sedotto o è stato più sedotto?

«Quando ero giovane venivo più sedotto. Ma non parlo mai di donne: detesto gli uomini che lo fanno, anche se sono semplici apprezzamenti. Lo trovo così di cattivo gusto».

 

Eppure il colpo che più la caratterizza porta un nome da femmina, veronica.

«Ah, la veronica non si insegna: viene naturale. Quella per annullare il match point a Pavel Hutka, seguita da una volée in tuffo, al primo turno di Parigi '76, è forse la più celebre. Il nome veronica lo inventò il giornalista Rino Tommasi. Forse, per non alimentare la mia falsa fama di seduttore, era meglio chiamarla Filiberto!».

 

laura delli colli adriano panatta foto di bacco laura delli colli adriano panatta foto di bacco

Il più grande di sempre?

«Facile, Roger Federer. Le statistiche a favore di Djokovic non mi interessano. Io guardo il complesso: lo stile, la mano, la completezza. Federer è, e sempre sarà, quello che gioca a tennis meglio di tutti gli altri».

 

Perché Borg, che pure ha conquistato dieci titoli del Grande Slam di più di lei, la pativa così tanto?

panatta meloccaro panatta meloccaro

«Perché lo facevo giocare male. Attaccavo, prendevo rischi, gli rompevo gli schemi. E non mi facevo intimidire dalla sua aria ieratica: essere ironico e dissacrante mi ha permesso di non prendere le cose troppo sul serio (né lui né me stesso) e di cogliere dietro la maschera di ghiaccio le sue insicurezze. Bjorn è un matto calmo. Serissimo quando giocava, un pazzo totale fuori dal campo. Ci stiamo simpatici da sempre, senza sapere perché. Ancora oggi mi diverto a insultarlo: Bjorn non sei mai stato capace, gli dico, e lui ride, ride moltissimo...».

 

 Si aspetta gli auguri di Loredana Bertè, la donna che amò Panatta e sposò Borg?

PANATTA PANATTA

«Ma no, dai, è passato tanto tempo. Però con Loredana ci siamo voluti bene. È il '72 o il '73, non ricordo. Stiamo insieme. Ti presento un amico, mi fa. Arriviamo in Cinquecento a Piazza Venezia. Sotto il balcone del Duce ci aspetta uno sciroccato vestito da marziano: stivali, tuta, mantello... È Renato Zero».

 

La sua Roma in disfacimento.Chi vedrebbe bene come sindaco?

«Sono stato consigliere comunale nella giunta Rutelli, so per esperienza che è una città difficilissima da governare: solo il Tuscolano è grande come Firenze, cento comuni, una provincia sconfinata... Troppi meandri incancreniti. Vedere Roma ridotta così, oggi che vivo a Treviso, mi fa male ma non voglio giudicare la sindaca Raggi, che non conosco. Ci vorrebbe una svolta coraggiosa e non vedo nessuno con le caratteristiche adatte. I 5 Stelle non li capisco: il mestiere di politico non si improvvisa».

 

Nicola Zingaretti segretario del Pd le piace?

bertolucci panatta bertolucci panatta

«Lo conosco bene, è una brava persona. Ripenso a me: ero convinto di poter cambiare il mondo ma le variabili che ti circondano in politica sono milioni. Ogni giorno ti accorgi di quante ingiustizie sociali ci sono, ed è impossibile metabolizzarle se hai una certa sensibilità».

 

Francesco Guccini, fresco 80enne, sostiene che l'uomo è l'unico animale che sa di dover morire.

«Non è vero: anche gli elefanti se ne accorgono».

Crede che nell'aldilà continuerà a giocare a tennis, Panatta?

«C'è un aldilà? Mi farebbe molto piacere crederci. Nel dubbio, però, la racchetta me la porto».

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