“SONO UN ARBITRO, NON UNA ARBITRA" – PARLA MARIA SOLE FERRIERI CAPUTI, LA PRIMA DONNA ITALIANA AD AVER ARBITRATO UNA SQUADRA DI SERIE A SIA PURE IN COPPA ITALIA: “SESSISMO? PIÙ RISCHI NELLE SERIE MINORI. QUALCHE GIOCATORE MALEDUCATO L'HO TROVATO, MA IL PROBLEMA VERO È CHI STA FUORI. L'INSULTO DEL TIZIO ATTACCATO ALLA RETE DI UN CAMPETTO CON VENTI SPETTATORI LO SENTI. E FA MALE. PIÙ DI UN CORO IN UNO STADIO DA 20MILA PERSONE. ANCHE PERCHÉ NEL CAMPETTO DI PERIFERIA SEI DA SOLO..."

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Carlos Passerini per il “Corriere della Sera”

 

maria sole ferrieri caputi in cagliari cittadella di coppa italia 2 maria sole ferrieri caputi in cagliari cittadella di coppa italia 2

Si chiama Maria Sole Ferrieri Caputi, è livornese, ha 31 anni ed è la prima donna italiana ad aver arbitrato una squadra di serie A. È successo in Cagliari-Cittadella 3-1 di mercoledì, sedicesimi di Coppa Italia: una partita che segna la storia del nostro calcio. E che Maria Sole - confidano i vertici arbitrali e conferma chi era in campo - ha gestito con una personalità sorprendente per una debuttante: tre gol annullati, tre ammonizioni, pochi fischi ma giusti. Sempre vicina all'azione, ha sfoderato sorrisi e nervi saldi anche nei momenti più delicati del match.

 

Lei aveva già diretto in serie B, ma una squadra di A mai: come è stato il salto?

«Devo dire la verità, non è stato diverso dal solito. Un po' di emozione prima, perché cambia il contorno, ma dentro al campo è tutto uguale. Ci tenevo a fare bene perché sapevo che stavo rappresentando un movimento intero, quello delle donne che arbitrano a tutti i livelli. Io sono solo la punta dell'iceberg di un mondo che sta crescendo.

 

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Sono soddisfatta, ma ho ancora tanto da imparare». Come fa una ricercatrice all'Università di Bergamo a conciliare un impiego tanto impegnativo con la professione di arbitro?

«Viaggiando tanto e facendo molti sacrifici, come tutti quelli che arbitrano dalle giovanili alla serie A. Lavoro a Bergamo in un centro studi di diritto del lavoro e sto completando il dottorato. Ho una vita piena, ma sono felice».

 

Due nomi e due cognomi. A Cagliari c'era chi diceva: non solo c'è un arbitro donna, è pure nobile.

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«Sì, qualche origine nobile c'è, ma di 400 anni fa. Vengo da una famiglia normalissima. Sono cresciuta a due passi dal Picchi. Ci andavo fin da piccolina con mio papà a tifare il Livorno. La mia passione è iniziata lì».

 

E quella per l'arbitraggio quando?

«Da bimba volevo giocare a calcio, ma la mamma non voleva. Erano altri tempi, non si vedeva di buon occhio una ragazzina che correva dietro a un pallone. Oggi per fortuna è diverso. A sedici anni mi sono iscritta al corso arbitri della sezione di Livorno. Un colpo di fulmine».

 

 Prima partita?

«Antignano Banditella-Sorgenti, categoria Esordienti, gennaio 2007. È andata bene. Ho espulso il portiere e la sua mamma mi ha aspettato fuori. Poi, quando ha visto tutti i miei parenti che erano venuti a vedere me, almeno una decina, è andata via».

 

Problema serissimo, quello della violenza sugli arbitri. E purtroppo sottovalutato. Serve più rigore.

«Martedì e mercoledì in serie A c'è la campagna "Rosso a chi tocca" per sensibilizzare sul tema, che riguarda soprattutto gli arbitri più giovani. Inaccettabile quello che succede ogni domenica sui campetti. Adesso basta».

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Lei è stata mai aggredita, ha subito episodi violenti?

«Per fortuna no. In pericolo per davvero non mi sono mai sentita. Qualche giocatore maleducato l'ho trovato, ma il problema vero è chi sta fuori. Il giocatore lo gestisco. Ma la voce sguaiata, l'insulto del tizio attaccato alla rete di un campetto con venti spettatori lo senti. E fa male. Più di un coro in uno stadio da 20mila persone. Anche perché nel campetto di periferia sei da solo».

 

E insulti sessisti?

«Anche lì più sali di categoria e meno guardano questo aspetto, se sei uomo o donna. A livello professionistico paradossalmente è tutto più semplice, in quel senso». Anche gli allenatori spesso fanno pessima figura. «Se esagerano, li butto fuori: è semplice».

 

Modelli?

«La francese Frappart ha fatto scuola per tante ragazze, come la nostra Vitulano. In generale tutte quelle colleghe che hanno fatto da apripista. Gli uomini? Quelli di serie A sono tutti diversi come stile, ma tutti bravissimi».

 

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E lei che tipo di arbitro è?

«Onestamente non lo so, direi naturale, spontanea. Quel che sento di fare, lo faccio. Tutto qua».

 

Che ne pensa della Var? Un gol a Cagliari l'ha tolto con la tecnologia...

«È una garanzia. Ho esperienza limitata, cerco di non sbagliare, ma so di avere una specie di angelo custode che mi corregge se serve».

 

Cosa dice alle ragazze che vogliono cominciare?

«Che è una grande occasione di crescita, per mettersi alla prova con se stesse e con gli altri. Impari a non accontentarti, a fare sacrifici. E a fare gioco di squadra. Noi siamo una grande associazione. A volte si pensa che l'arbitro sia un uomo solo, ma non è così: gli obiettivi di uno sono gli obiettivi di tutti, di tutta la squadra».

 

 A quando quindi una donna in serie A?

«Speriamo presto».

 

A proposito: arbitro o arbitra?

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«Arbitro. Personalmente lo preferisco. Come preferisco sindaco a sindaca. Novanta volte su cento quando mi dicono arbitra è per sottolineare che sono una donna. Quindi preferisco arbitro. Credo che quando non ci sarà più l'esigenza di sottolinearlo, allora vorrà dire che ci sarà davvero parità».

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