ECCO A COSA SERVE L’ARTE - DOPO LA STRAGE DEI MINATORI ITALIANI IN COLORADO IL MILIARDARIO ROCKEFELLER S’INVENTO’ MECENATE PER RIFARSI UN’IMMAGINE: IL MOMA DI NEW YORK È FRUTTO DEL DOLORE DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA

Gian Antonio Stella per ‘Il Corriere della Sera'

Difficile bollarli come sovversivi comunisti: Giuseppe Petrucci aveva quattro anni, la sorellina Lucia due, il piccolo Francesco solo quattro mesi. E il loro omicidio, che non poteva esser spacciato per il prezzo necessario a domare i minatori in sciopero, colpì l'America come una scudisciata. E obbligò il potentissimo John D. Rockefeller a tentare di rifarsi una faccia puntando tutto sulla neonata Fondazione Rockefeller. Che avrebbe dato vita al MoMa, il museo di arte moderna. Frutto, in qualche modo, del dolore dell'emigrazione italiana.

Successe a Ludlow, esattamente cento anni fa. Quel borgo oggi abbandonato alle pendici delle Montagne Rocciose, quasi ai confini del Colorado verso il New Mexico, era abitato allora da migliaia di immigrati polacchi, greci, messicani e italiani che lavoravano nelle miniere di carbone. In gran parte quelle della Colorado Fuel and Iron, la più grande impresa del settore, che apparteneva a quello che era l'uomo più ricco del mondo, John D. Rockefeller senior, che ne aveva affidato la gestione al figlio «Jr».

Abitava a New York, John D. Rockefeller jr. A tremila chilometri. E avrebbe ammesso di non sapere nulla delle condizioni di vita dei minatori. Guadagnavano un salario da fame pagato in buoni-acquisto negli spacci che appartenevano alla stessa Company, vivevano in baracche affittate ancora dalla Colorado Fuel and Iron, lavoravano in condizioni così pericolose che nel solo 1913 nelle «mines » del Colorado, con un tasso di mortalità doppio rispetto al resto dell'America, erano morti in 104. E quelli che sopravvivevano erano malati di silicosi e avevano gli occhi pesti fotografati dal grande Lewis Hine.

Scesero in sciopero nel settembre 1913. La compagnia li buttò subito fuori di casa e loro si trasferirono in un accampamento di fortuna. E lì, come testimoniano le foto, passarono l'inverno. Un inverno tremendo. Tra montagne di neve. Mentre cresceva la tensione tra loro in sciopero e i crumiri rastrellati dall'azienda che aveva assoldato per la loro difesa mercenari dell'agenzia «Baldwin-Felts», incaricati anche di provocare i ribelli sparando ogni tanto sulle tende per attirarli in uno scontro che avrebbero fatalmente perduto.

Non bastasse, gli uomini della Guardia civile inviati dal governatore Elias Ammons, finirono per schierarsi dalla parte della Company. Sempre più in difficoltà, i minatori guidati da un greco, Louis Tikas, cominciarono ad armarsi di vecchi schioppi e revolver e scavare trincee sotto le tende per potersi difendere meglio.

Finché il 20 aprile, stanco delle trattative e del braccio di ferro col sindacato United mine workers, l'ufficiale Karl Linderfelt diede alle milizie e ai mercenari l'ordine di spazzare via i minatori e il loro campo di tende. La sparatoria, tra chi era armato con vecchie carabine e chi aveva i blindati con le Gatling e le mitragliatrici ultimo modello, durò l'intera giornata. Il macchinista del treno sul quale era caricato il carbone tentò di mettersi in mezzo tra i minatori e i miliziani per contenere lo scontro. Le donne, i vecchi e i bambini si rifugiarono terrorizzati nelle trincee. Ma ogni resistenza fu inutile. Il campo fu spazzato via. Le tende incendiate. E il fuoco assassinò anche quelli che erano chiusi sotto, nelle buche.

La cronaca del New York Times del 22 aprile, ripresa in un furente saggio dello scrittore Hans Ruesch, diceva: «Quarantacinque morti, tra cui 32 donne e bambini, una ventina di dispersi e altrettanti feriti è il bilancio della battaglia di 14 ore tra truppe statali e scioperanti nella proprietà della "Colorado Fuel and Iron Company", una holding di Rockefeller.

Il campo di Ludlow è una massa di macerie carbonizzate che nascondono una vicenda di orrori che non ha l'eguale nella storia della lotta industriale. Nelle trincee che si erano scavate per proteggersi dalle pallottole, donne e bambini sono morti come topi in trappola, uccisi dalle fiamme. Una trincea scoperta questo pomeriggio conteneva i corpi di dieci bambini e due donne».

Quante furono le vittime, e quante fossero dell'una e quante dell'altra parte, in realtà, non è mai stato del tutto accertato. C'è però una lapide dedicata ad alcuni dei morti. Piena di italiani. Giovanni Bartolotti che lasciò vedova la moglie Virginia, Carlo e Fedelina Costa con i figlioletti Onofrio e Lucia e poi il ventiduenne Francesco Rubino e poi i bambini dei Petrucci, che probabilmente erano partiti da qualche contrada laziale. Avevano quattro bimbi, i Petrucci. Il più grandicello, Bernardo, era morto di malattia, forse broncopolmonite. Gli altri tre furono uccisi dall'incendio. Resta una loro foto. Lucia è seduta su una seggiolina, Giuseppe a terra, Bernardo e l'ultimo nato, Francesco, su un mastello rovesciato.

I commenti dei giornali contro quell'insensata carneficina di persone che chiedevano solo un orario di otto ore, il divieto di far lavorare i bambini e una paga decente in dollari e non in buoni, furono durissimi. Sul posto si precipitò per il Metropolitan il grande John Reed che scrisse un reportage rabbioso dal titolo «La guerra del Colorado». La rivista The Masses mise in copertina un minatore che reggeva tra le braccia una bimba morta. Il New York World pubblicò una vignetta in cui al vecchio Rockefeller mostravano preoccupati un titolo: «Guerra civile di Rockefeller in Colorado. Uccisi donne e bambini!».

E insomma la famiglia, con tutti i suoi miliardi di dollari, si sentì di colpo così esposta al disprezzo della pubblica opinione che il vecchio John D. convocò in fretta e furia il numero uno dei public relation man dell'epoca, Ivy Lee: «Cosa dobbiamo fare?». Rispose: «Mostratevi generosi. Puntate sulla Fondazione. Fatene un'occasione di beneficenza, di cultura, di promozione dell'arte». E fu lì, dicono gli storici, che i Rockfeller imboccarono la strada che pochi anni dopo li avrebbe portati a dare vita al Museum of Modern Art. Il MoMa. Non erano riusciti forse, certi Papi impresentabili, a far dimenticare le loro nefandezze commissionando opere meravigliose?

 

tilda swinton moma MOMA NEW YORKarmory party al moma wttw John Davison Rockefeller Colorado Fuel and Iron Unknown

Ultimi Dagoreport

simone canettieri giorgia arianna meloni

DAGOREPORT - MASSÌ, CON I NEURONI SPROFONDATI NELLA IRRITABILITÀ PIÙ SCOSSA, ARIANNA MELONI AVEVA URGENTE BISOGNO, A MO’ DI SOLLIEVO, DELL’ARTICOLO DI DEBUTTO SUL “CORRIERONE” DI SIMONE CANETTIERI - MESSA DALLA SORELLA GIORGIA A CAPO DELLA SEGRETERIA DI FDI, ARIANNA NON NE HA AZZECCATA UNA - ALLA PARI DI QUALSIASI ALTRO PARTITO DI MASSA, OGGI FDI SI RITROVA ATTRAVERSATO DA UNA GUERRIGLIA INTESTINA FATTA DI COLPI BASSI, RIPICCHE E SPUTTANAMENTI, INTRIGHI E COMPLOTTI – DALLA SICILIA (CASINO CANNATA-MESSINA) A MILANO (AFFAIRE MASSARI-LA RUSSA), FINO AL CASO GHIGLIA-RANUCCI, DOVE IL FILO DI ARIANNA SI È ATTORCIGLIATO PERICOLOSAMENTE INTORNO AL COLLO - CHE LA SORELLINA NON POSSIEDA LA ‘’CAZZIMMA’’ DEL POTERE, FATTA DI SCALTREZZA E ESPERIENZA, SE N'E' AMARAMENTE ACCORTA ANCHE LA PREMIER. E PUR AMANDOLA PIÙ DI SE STESSA, GIORGIA L’AVREBBE CHIAMATA A RAPPORTO PER LE SCELTE SBAGLIATE: SE IL PARTITO VA AVANTI COSÌ, RISCHIA DI IMPLODERE… - VIDEO

carlotta vagnoli flavia carlini

COME SIAMO POTUTI PASSARE DA ELSA MORANTE E MATILDE SERAO A CARLOTTA VAGNOLI? È POSSIBILE CHE SI SIA FATTO PASSARE PER INTELLETTUALI DELLE FEMMINISTE INVASATE CHE VERGAVANO LISTE DI PROSCRIZIONE ED EVOCAVANO METODI VIOLENTI E LA GOGNA PUBBLICA DIGITALE PER “FARE GIUSTIZIA” DEI PROPRI NEMICI? LA CHIAMATA IN CORREITÀ DEL SISTEMA EDITORIALE CHE HA UTILIZZATO QUESTE “VEDETTE” LETTERARIE SOCIAL DA MILIONI DI FOLLOWER PER VENDERE QUALCHE COPIA IN PIÙ – VAGNOLI PUBBLICA PER EINAUDI, FLAVIA CARLINI HA VERGATO UN ROMANZO INCHIESTA SULL’ITALIA DEL GOLPE INFINITO PER SEM (FELTRINELLI) . MA SULLA BASE DI COSA? BASTA AVERE UN MINIMO SEGUITO SOCIAL PER ESSERE ACCREDITATI COME SCRITTORI O DIVULGATORI?

silvia salis giorgia meloni elly schlein matteo renzi

DAGOREPORT - IN ITALIA, DOPO TANTI OMETTI TORVI O INVASI DI VANITÀ, SI CERCANO DONNE FORTI. DONNE COL PENSIERO. DONNE CHE VINCONO. E, NATURALMENTE, DONNE IN GRADO DI COMANDARE, CAPACI DI TENER TESTA A QUELLA LADY MACBETH DELLA GARBATELLA CHE DA TRE ANNI SPADRONEGGIA L’IMMAGINARIO DEL 30% DEGLI ELETTORI, ALIAS GIORGIA MELONI - IERI SERA ABBIAMO ASSISTITO ATTENTAMENTE ALLA OSPITATA DI SILVIA SALIS A “OTTO E MEZZO”, L’EX LANCIATRICE DI MARTELLO CHE DALLA LEOPOLDA RENZIANA E DAL CONI DELL’ERA MALAGÒ HA SPICCATO IL VOLO NELL’OLIMPO DELLA POLITICA, SINDACO DI GENOVA E SUBITO IN POLE COME LEADER CHE SBARACCHERÀ ELLY SCHEIN E METTERÀ A CUCCIA LA CRUDELIA DE MON DI COLLE OPPIO - DOPO MEZZ’ORA, PUR SOLLECITATA DA GRUBER E GIANNINI, CI SIAMO RITROVATI, ANZICHÉ DAVANTI A UN FUTURO LEADER, DAVANTI A UNA DONNA CHE DAREBBE IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA ALL'AUTORE DE "IL MANUALE DELLA PERFETTA GINNASTICATA" - ECCITANTE COME UN BOLLETTINO METEO E LA PUBBLICITÀ DI TECHNO-GYM, MELONI PUO' DORMIRE SONNI TRANQUILLI - VIDEO

john elkann donald trump

DAGOREPORT – ITALIA, BYE BYE! JOHN ELKANN NON NE PUÒ PIÙ DI QUESTO DISGRAZIATO PAESE CHE LO UMILIA SBATTENDOLO PER 10 MESI AI "SERVIZI SOCIALI", COME UN BERLUSCA QUALSIASI, E STUDIA LA FUGA NEGLI STATI UNITI - PRIMA DI SPICCARE IL VOLO TRA LE BRACCIA DEL SUO NUOVO IDOLO, DONALD TRUMP, YAKI DEVE LIBERARSI DELLA “ZAVORRA” TRICOLORE: CANCELLATA LA FIAT, TRASFORMATA IN UN GRUPPO FRANCESE CON SEDE IN OLANDA, GLI RESTANO DUE GIORNALI, LA FERRARI E LA JUVENTUS – PER “LA STAMPA”, ENRICO MARCHI È PRONTO A SUBENTRARE (MA PRIMA VUOLE SPULCIARE I CONTI); PER “REPUBBLICA”, IL GRECO KYRIAKOU È INTERESSATO SOLO ALLE REDDITIZIE RADIO, E NON AL GIORNALE MANGIASOLDI E POLITICAMENTE IMPOSSIBILE DA GOVERNARE) - DOPO IL NO DI CARLO FELTRINELLI, SAREBBERO AL LAVORO PER DAR VITA A UNA CORDATA DI INVESTITORI MARIO ORFEO E MAURIZIO MOLINARI – SE IL CAVALLINO RAMPANTE NON SI TOCCA (MA LA SUA INETTA PRESIDENZA HA SGONFIATO LE RUOTE), PER LA JUVENTUS, ALTRA VITTIMA DELLA SUA INCOMPETENZA, CI SONO DUE OPZIONI IN BALLO…

italo bocchino giorgia arianna meloni

DAGOREPORT – PER QUANTO SI SBATTA COME UN MOULINEX IMPAZZITO, ITALO BOCCHINO NON RIESCE A FARSI AMARE DALLA FIAMMA MAGICA DI GIORGIA MELONI: LUI SI PRODIGA NELL'OSPITATE TELEVISIVE CON LODI E PEANA ALLA STATISTA DELLA SGARBATELLA, MA È TUTTO INUTILE: TROPPO CHIACCHIERATO E CON UN GIRO DI AMICIZIE DISCUTIBILI, L'EX DELFINO DI FINI NON ENTRA A ''PA-FAZZO CHIGI'' – LE SUE DICHIARAZIONI SIBILLINE SUL CASO GHIGLIA NON L’HANNO AIUTATO: HA SPECIFICATO, NON A CASO, CHE IL SUO INCONTRO CON  IL COMPONENTE DEL GARANTE DELLA PRIVACY ALLA SEDE DI FDI È DURATO “VENTI MINUTI AL MASSIMO”, METTENDO IN DIFFICOLTÀ ARIANNA MELONI – SE È TANTO "IMPRESENTABILE", PERCHÉ NON LO CACCIANO DA DIRETTORE EDITORIALE DEL "SECOLO D'ITALIA"? SAREBBE UN GIOCO DA RAGAZZI ESTROMETTERLO. MA QUANTI SEGRETI CONOSCE L’EX SANCHO PANZA DI FINI, APPASSIONATO DI INTELLIGENCE E VICINO A LOBBISTI CONSIDERATI IMPRESENTABILI DALLA FIAMMA MAGICA DELLA MELONA? - VIDEO

giovambattista fazzolari roberto carlo mele

FLASH – I DAGO-LETTORI HANNO FATTO IL LORO DOVERE: HANNO SCOPERTO L'IDENTITÀ DELL’UOMO CHE DUE GIORNI FA ERA ATTOVAGLIATO CON GIOVAMBATTISTA FAZZOLARI DA “VITTI”, A PIAZZA SAN LORENZO IN LUCINA. SI TRATTEREBBE DI ROBERTO CARLO MELE, ESPONENTE DI SPICCO DI FRATELLI D’ITALIA (FIGURA NELL'ESECUTIVO DEL PARTITO COME SEGRETARIO AMMINISTRATIVO). COME “FAZZO”, DEVE AMARE MOLTO LA RISERVATEZZA, VISTO CHE ONLINE NON SI TROVANO SUE FOTO – ANCHE “L’UOMO PIÙ INTELLIGENTE” CHE CONOSCE GIORGIA MELONI (PENSA GLI ALTRI), SEMPRE RESTIO AI SALOTTI, HA FATTO IL SUO INGRESSO UFFICIALE NELLA ROMANELLA POLITICA DEL “FAMOSE DU’ SPAGHI”…