il campione di sumo hakuho

COME TE NE-SUMO MAI - STORIA DELLA LEGGENDA DEL SUMO HAKUHO, CHE SI RITIRA A 36 ANNI: HA VINTO 45 TORNEI, È IL PIÙ GRANDE LOTTATORE ESISTITO IN DUE MILA ANNI - PER DIECI ANNI IL SUO CORPO È RIMASTO INTONSO, GRAZIE A FORTUNA E COSTANZA: SEMPRE LO STESSO PESO, DAI 154 AI 156 CHILOGRAMMI. POI SONO ARRIVATI GLI INFORTUNI ALLE GINOCCHIA, LO STOP PER IL COVID E LA DECISIONE DI DIRE ADDIO - E PENSARE CHE DA RAGAZZO ERA ALTO UN METRO E NOVANTA PESAVA APPENA 62 CHILI… - VIDEO

 

Michele Farina per www.corriere.it

 

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Se ne va il più grande di sempre: in duemila anni di sumo, non c’era mai stato un campione come lui. E per decenni a venire, prevedono gli esperti del Sol Levante, mai ci sarà. Non si alzerà più alle 5 del mattino per cominciare l’allenamento, non ingollerà più quelle diecimila calorie da bruciare ogni giorno.

 

A 36 anni, Hakuho va in pensione. Dopo più di mille vittorie sul ring, 1.187 giganti di muscoli e grasso (quasi completamente sottocutaneo, a differenza della ciccia di noi comuni mortali) issati di peso dalla sabbia e lanciati oltre l’anello magico dell’arena.

 

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Nessun Yokozuna (grande campione) ha mai vinto 45 grandi tornei (honbasho) come lui. L’ultimo lo scorso luglio, nel «tempio» di Nagoya, a Tokyo, dove Hakuho ha sollevato e stracciato come al solito i rivali con un inappellabile 15 a 0. La stessa forza di sempre, ma le ginocchia sempre più fragili.

 

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I maggiori nemici del lottatore di sumo sono gli infortuni. Per dieci anni il corpo di Hakuho è rimasto intonso. Fortuna e costanza: anno dopo anno lo stesso peso, dai 154 ai 156 chilogrammi. La stessa elasticità.

 

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Poi sono cominciati i primi scricchiolii alla base di tutto. Agli alluci. E poi le ginocchia hanno iniziato a cedere. Poi ci si è messo anche il Covid, interrompendo la routine degli allenamenti e degli incontri.

 

Anche Hakuho si è ammalato, nel gennaio scorso, ed è guarito. Ma l’anno scorso il Gran Consiglio degli Yokozuna gli ha lanciato un raro avvertimento dopo che l’uomo di Ulan Bator (diventato cittadino giapponese nel 2019) aveva saltato sei tornei consecutivi: torna a combattere altrimenti sei fuori e ti togliamo lo scettro.

 

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Il gigante famoso per i suoi attacchi fulminei ha abbozzato, stretto i denti, all’inizio del 2021 si è fatto operare al ginocchio destro. E questa estate ha sconfitto all’ultimo respiro Terunofuji, mongolo non ancora ventenne a cui è stato conferito il titolo di Yokozuna (il 73° in duemila anni).

 

Un altro emigrato di Ulan Bator: nelle fessure dei suoi occhi «il vecchio» Hakuho deve aver intravisto qualcosa della sua giovinezza. Il padre, Jigjidiin Monkhbat, leggendario lottatore della Mongolia e medaglia d’argento alle Olimpiadi del 1968, avrebbe desiderato che giocasse a basket.

 

Lui invece a 15 anni volle trasferirsi in Giappone per darsi anima e corpo alla «lotta degli dei». Che non è una disciplina per mingherlini.

 

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Quel ragazzo alto un metro e novanta pesava appena 62 chilogrammi. I maestri del suo Miyagino (una delle 50 scuole di sumo aperte in Giappone) scossero la testa. Lui prese a cuocere pentoloni di riso per gli atleti più anziani e a fare le pulizie nelle camere, come si conviene agli aspiranti lottatori.

 

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Il suo nome di battesimo, Davaajargal, fu cambiato in Hakuho (l’uccello bianco della mitologia cinese). E nel giro di tre anni lo spilungone mise su chili e potenza, facendosi strada tra i migliori. Altri tre anni e l’Uccello bianco fece il suo ingresso nella Makuuchi, la serie A del sumo, riuscendo a battere il grande Asashoryu, il primo mongolo a diventare Yokozuna.

 

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Un altro passaggio di testimone e uno spettacolo straordinario. Fu in quel periodo che chi scrive vide combattere la promessa e il veterano, uno contro l’altro nel corso di un grande torneo nel «tempio» di Nagoya.

 

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Il sumo, anche per chi ne sa poco o nulla, sa essere ipnotizzante: un insieme di lenti rituali (il lancio del sale dietro le spalle, il capo che si china verso l’avversario prima della lotta). E pochi secondi in cui si decide tutto. Massa e velocità, la pesantezza dell’essere umano che sprigiona l’agilità di una pantera. Un simbolo ancestrale del Giappone, anche se negli ultimi anni sempre più spesso i grandi lottatori sono stati stranieri: uomini dell’Asia Centrale, bulgari, cinesi, brasiliani, georgiani.

 

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Quello che all’inizio del Novecento era lo sport nazionale del Sol Levante è diventato folklore per turisti, soppiantato dal baseball e dal football. Dieci anni fa uno scandalo di tornei truccati aveva messo in ombra il sumo agli occhi dei giapponesi. L’Uccello Bianco gli ha ridato smalto. E ora potrà aprire la sua scuola: «Voglio dare agli altri almeno un po’ di quanto ho ricevuto».

 

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